Originale: The New Yorker
Punizione collettiva a Gaza
Tre giorni dopo che il primo ministro Benjamin Netanyahu ha dato inizio all’attuale guerra contro Gaza, ha tenuto una conferenza stampa durante la quale ha detto, in ebraico, secondo il Times of Israel: “Penso che la gente capisca ora quello che dico sempre: “non ci può essere una situazione, in base a qualsiasi accordo, in cui abbandoniamo il controllo della sicurezza del territorio a ovest del fiume Giordano.” Vale la pena ascoltare attentamente quando Netanyahu parla agli israeliani. Quello che sta succedendo oggi in Palestina in realtà non si c’entra con Hamas. Non c’entra con i missili. Non c’entra con gli “scudi umani” o con il terrorismo o i tunnel. Riguarda il controllo permanente della terra palestinese e delle vite palestinesi. Questo è ciò che in realtà dice Netanyahu, ed è ciò di cui ora ammette di avere “sempre” parlato. Riguarda una politica israeliana incrollabile di decenni di rifiuto dell’auto determinazione della Palestina, della sua libertà e sovranità. Quello che fa ora Israele a Gaza è una punizione collettiva. E’ la punizione per il rifiuto di Gaza di essere un ghetto docile. E’ la punizione per l’ardire che hanno i Palestinesi di unirsi, e che hanno Hamas le altre fazioni di reagire all’assedio di Israele e alle sue provocazioni con con la resistenza, armata o no, dopo che Israele ha reagito alla protesta non armata con forza devastante. Malgrado anni di cessate il fuoco e di tregue, l’assedio a Gaza non è mai stato tolto. Tuttavia, come dimostrano le parole di Netanyahu, Israele non accetterà semplicemente il consenso dei Palestinesi alla loro subordinazione. Accetterà soltanto uno “stato” palestinese che venga spogliato di tutti gli attributi di un vero stato: controllo sulla sicurezza, confini, spazio aereo, limiti marittimi, contiguità, e, perciò, sovranità. La farsa durata 23 anni del “processo di pace” ha dimostrato che questo è tutto ciò che Israele offre ora, con il pieno appoggio di Washington. Ogni volta che i Palestinesi si sono opposti al loro destino penoso (come farebbe qualsiasi nazione), Israele li ha puniti per la loro sfrontatezza. Questo non è un fatto nuovo. Il fatto di punire i Palestinesi perché esistono ha una lunga storia. E’ stata la politica di Israele prima che Hamas e i suoi razzi rudimentali fossero lo spauracchio del momento di Israele, e prima che Israele trasformasse Gaza in una prigione a cielo aperto, in un saccone da pugile che riceve tanti colpi, e in un laboratorio di armi. Nel 1948, Israele ha ucciso migliaia di innocenti, e ne ha terrorizzati e fatti traferire altre migliaia, nel nome della creazione di uno stato a maggioranza ebraica in una terra che era per il 65% araba. Nel 1967 ha fatto di nuovo trasferire centinaia di migliaia di Palestinesi, occupando un territorio che in gran parte controlla ancora, dopo 47 anni. Nel 1982, cercando di espellere l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP) e di porre fine al nazionalismo palestinese, Israele ha invaso il Libano, uccidendo 17.000 persone, per lo più civili. Fin dalla fine degli anni ’80, quando in Palestinesi in regime di occupazione sono insorti, per lo più lanciando pietre e mettendo in atto sciopero generali, Israele ha arrestato diecine di migliaia di Palestinesi: oltre 750.000 persone hanno trascorso del tempo nelle prigioni israeliane fin dal 1967, una cifra che equivale al 40% della popolazione adulta di oggi. Queste cose sono venute fuori insieme a racconti di torture che sono confermati da gruppi per i diritti umani come B’tselem. Durante la seconda Intifada, che è iniziata nel 2000, Israele ha invaso di nuovo la Cisgiordania (non la aveva mai lasciata completamente). L’occupazione e la colonizzazione della terra palestinese è continuata senza sosta durante tutto il “processo di pace” degli anni ’90 e continua fino a oggi. E, tuttavia, in America, la discussione ignora questo contesto fondamentale, di costante oppressione, ed è invece troppo spesso limitato alla “autodifesa” e alla presunta responsabilità dei Palestinesi per le loro sofferenze. Negli scorsi 7 anni e più, Israele ha assediato, torturato, attaccato regolarmente la Striscia di Gaza. I pretesti cambiano: hanno eletto Hamas, si sono rifiutati di essere arrendevoli, si sono rifiutati di riconoscere Israele, hanno lanciato i razzi, hanno costruito i tunnel per eludere l’assedio così via. Ma ogni pretesto è un depistaggio, perché la verità dei ghetti che cosa succede quando si mettono in prigione 1,8 milioni di persone in uno spazio di 140 miglia quadrate, cioè circa un terzo dell’area di New York City, senza alcun controllo dei confini, quasi nessun accesso al mare per i pescatori (3 su 20 km. permessi dagli accordi di Oslo), nessun reale ingresso o uscita, e con molti droni che ronzano in cielo notte e giorno è che, alla fine, il ghetto reagirà. E’ stato vero a Soweto e a Belfast, ed è vero a Gaza. Può non piacerci Hamas o alcuni dei metodi che usa, ma non è la stessa cosa che accettare l’affermazione che i Palestinesi dovrebbero supinamente accettare il rifiuto del loro diritto di esistere come popolo libero nella loro patria ancestrale. Questo è esattamente il motivo per cui l’appoggio degli Stati Uniti all’attuale politica israeliana è una follia. Nell’Irlanda del Nord e in Sudafrica la pace è stata raggiunta perché gli Stati Uniti e il mondo si sono resi conto che dovevano fare pressione sulla parte più forte, considerandola affidabile e mettendo fine alla sua impunità. L’Irlanda del Nord e il Sudafrica non sono certo esempi perfetti, ma vale la pena ricordare che, per ottenere un risultato giusto, è stato necessario che gli Stati Uniti trattassero con gruppi come l’Esercito repubblicano irlandese e il Congresso Nazionale Africano, che usavano la guerra di guerriglia e anche azioni terroristiche. Quello era l’unico modo di intraprendere una strada verso la vera pace e la riconciliazione. Il caso della Palestina non è sostanzialmente diverso. Gli Stati Uniti, invece, cercano di far pendere la bilancia dalla parte del più forte. In questa surreale visione capovolta del mondo, sembra quasi come se fossero gli Israeliani a essere occupati dai Palestinesi, e non il contrario. In questo universo distorto, i detenuti di una prigione a cielo aperto stanno assediando una potenza che ha armi nucleari e delle forze armate tra le più evoluti del mondo. Se dobbiamo allontanarci da questa irrealtà, gli Stati Uniti devono o ribaltare le loro politiche o abbandonare la loro pretesa di essere “mediatori onesti.” Se il governo degli Stati Uniti vuole finanziare e armare Israele e ripetere a pappagallo i loro argomenti cruciali che vanno contro la ragione e la legge internazionale, così sia. Ma non dovrebbero rivendicare la loro superiorità morale e parlare solennemente di pace. E non dovrebbero certamente insultare i Palestinesi dicendo che si preoccupano per loro o per i loro figli che oggi muoiono a Gaza. Rashid Khalidi è Professore della cattedra di Studi Arabi intitolata a Edward Said alla Columbia University ed è direttore del Journal of Palestinian Studies (Rivista di studi palestinesi); è stato consulente della delegazione palestinese durante i negoziati israelo-palestinesi di Madrid e di Washington svoltisi dal 1991 al 1993. Il suo libro più recente è: “Brokers of Deceit” [Mediatori di inganni]. Da: Z Net Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: http://zcomm.org/znet/article/collective-punishment-in-gaza
|
|