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«Un’America più lontana da Israele? Colpa dei no di Netanyahu», dice Stephen Walt Il professore di Harvard sullo stato dei rapporti tra i due storici alleati: «L'Aipac è meno influente che in passato, ma può ancora pesare nelle prossime elezioni» Qual è lo stato delle relazioni tra America e Israele dopo la guerra a Gaza? Gli interessi israeliani negli Stati Uniti influiranno sulle prossime elezioni di midterm? Lo chiediamo a Stephen Walt, docente di relazioni internazionali alla John F. Kennedy School of Government di Harvard. Insieme al collega John Mearsheimer dell’università di Princeton, Walt ha pubblicato nel 2007 il libro La lobby israeliana e la politica estera americana (Mondadori), che analizza i meccanismi con cui la più potente tra le lobby filo-israeliane negli Stati Uniti, l’American Israel Public Affairs Committee (Aipac), influisce sul decision making di Washington. Qual è oggi l’influenza dell’Aipac sulla politica estera americana? Prima di rispondere alla domanda è importante evidenziare come esistano numerose lobby filo-israeliane in America oltre all’Aipac. Ma non si può negare che la sua influenza sulla politica estera americana, soprattutto su quella mediorientale, negli ultimi anni sia spesso stata decisiva. Un esempio recente? Basta pensare che nonostante le divergenze e le tensioni a volte anche pubbliche tra John Kerry e Benjamin Netanyahu il sostegno degli Stati Uniti a Israele non è mai stato messo in discussione. Nessun politico americano si sognerebbe per esempio di usare la minaccia di tagliare i fondi messi ogni anno a disposizione del governo israeliano (tre miliardi di dollari circa) per fare pressione sul paese e ottenere in cambio un atteggiamento diverso da parte di Netanyahu. In un saggio apparso sul New Yorker, Connie Bruck sostiene che l’Aipac ha perso un po’ della sua influenza. È d’accordo? Sì, in parte è vero. L’influenza dell’Aipac rimane significativa, molto significativa, ma ci sono diversi segnali che mostrano come le cose potrebbero iniziare a cambiare. L’esempio più eclatante è quello dell’Iran e della questione del disarmo nucleare. L’Aipac ha cercato di influenzare il Congresso affinché gli Stati Uniti intervenissero militarmente per fermare l’Iran, ma le richieste dell’organizzazione non sono state accolte. L’Aipac si è anche battuta per tentare di raffreddare i contatti diplomatici tra Washington e Teheran, ma senza alcun successo. Questa minor influenza dell’Aipac corrisponde a un cambiamento di umore del pubblico americano nei confronti del governo israeliano? Direi di sì. Da quando io e Mearsheimer abbiamo pubblicato il saggio sono cambiate due cose. La prima è la narrativa dominante su Israele. Molte delle critiche a Israele che si sentono e leggono oggi sui media e nel mondo accademico americano nel 2006 sarebbero state assolutamente impensabili. Ora ci sono molte più persone propense ad alzare la voce, ad attaccare la politica estera israeliana e a vagliare il comportamento del governo americano. Il secondo cambiamento è arrivato a partire dalla prima amministrazione Obama. Quando il presidente si è insediato era genuinamente interessato a facilitare un accordo di pace tra Israele e Palestina. Non ci è riuscito e molti americani ne hanno attribuito la colpa soprattutto a Netanyahu, un premier molto duro che ha più volte “umiliato” Obama in pubblico. Negli ultimi anni si è molto sentito parlare di J-Street, una lobby israeliana spesso più moderata dell’Aipac. La sua ascesa riflette il cambiamento tra l’elettorato americano di cui parlava? In un certo senso sì. Sull’Iran J-Street si è mossa bene e ha sostenuto con un discreto successo la posizione di dialogo con Teheran. Detto questo, e nonostante i successi, J-Street è ancora piccola e marginale. L’Aipac rimane la lobby più influente sulla politica estera americana. L’Aipac si descrive sempre come una lobby bi-partisan. Resterà tale? L’Aipac è ancora fermamente bi-partisan. Ma se fino a dieci-venti anni fa la maggior parte dei politici americani non avrebbe esitato un istante a sostenere un’iniziativa dell’Aipac, oggi non è più così. Il motivo? Una parte sempre maggiore dell’elettorato democrat inizia ad essere critica nei confronti del governo israeliano. Il rapporto tra l’Aipac è i parlamentari liberal non è più scontato: un fatto che potrebbe anche avere ricadute elettorali.
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