http://www.vice.com Non tutti gli ebrei sono dalla parte di Israele Sia per molti ebrei e che per i non ebrei l'idea di un ebreo anti-sionista può sembrare una contraddizione in terminiun abuso del famoso aforisma etico del rabbino Hillel: "Se io non sono per me, chi sarà per me?" Ma per Sam Weinstein e per una trentina d'altri, me compreso, uniti in un piccolo fronte ebraico alla manifestazione per Gaza svoltasi sabato scorso a Londra, l'opposizione a Israele è esattamente ciò che le nostre origini richiedono. "Vengo da una tradizione ebraica che ha sempre lottato per i più deboli," mi ha detto Sam mentre srotolava una bandiera dell'Unione internazionale ebraica anti-sionista nel caldo opprimente di sabato. "La stessa tradizione che ha combattuto per la giustizia sociale, perché storicamente siamo noi quelli che vengono uccisi dallo Stato." L'8 luglio Israele ha iniziato l'operazione Protective Edge, un'offensiva militare che ha usato il rapimento e l'omicidio di tre ragazzi a Kfar Etzion, un insediamento della Cisgiordania, come pretesto per il bombardamento e l'invasione della Striscia di Gaza. Da allora, oltre 80.000 persone residenti nella Striscia sono fuggite dalle loro case e più di 500 sono state uccise. La maggior parte erano civili. Per gli ebrei britannici e di altre comunità della diaspora che si oppongono agli attacchi, a peggiorare le cose c'è il fatto che essi vengono condotti in nostro nome, dando per scontato il nostro appoggio totale e inflessibile. Prima della seconda guerra mondiale, molti ebrei rifiutavano di accettare il sionismo come ideologia politica. Ma dal 1948, dalla fondazione dello Stato di Israele, il sostegno è lentamente diventato pressoché unanime. "Lo stato di Israele identifica Israele con tutti gli ebrei," mi ha detto Naomi Winborne Idrissi, co-fondatrice di Jews for Boycotting Israel Goods mentre sfilavamo lungo Downing Street. "Vogliono parlare a nome di noi tutti. Ma noi diciamo che Israele e il sionismo non ci rappresentano." Il rifiuto di essere coinvolti in una causa cieca e distruttivamente nazionalista è il motivo per cui oggi manifestiamo, in quanto ebreisia per esprimere la nostra solidarietà ai palestinesi che per rivendicare la proprietà della nostra identità ebraica. Non è semplice. Sono cresciuto con l'idea che Israele mi rappresentasse. Nel 2002, durante la Seconda Intifada, ero a una manifestazione con 40.000 persone a Trafalgar Square, avvolto in una nebbia di bandiere bianche e blu, genitori orgogliosi e slogan che comprendevo solo a metà. Il 2002 è stato anche l'anno del mio bar mitzvah. Ogni sabato mattina per quasi 12 mesi mi sono seduto nella mia sinagoga dell'Essex per ascoltare i sermoni stantii e unilaterali dell'uomo che avrebbe dovuto insegnarmi i valori ebraici, l'etica e la vita intellettuale. Nei primi anni dell'adolescenza ero un membro della Federazione della gioventù sionista, uno tra le migliaia di ragazzi emotivamente e politicamente ingenui, spediti a campi estivi e a gite in Israele per assaporare la cultura israeliana nel modo più asettico e ideologicamente studiato possibile. In Gran Bretagna, la United Synagogue, la principale associazione ebraica, inserisce "la centralità di Israele nella vita ebraica" tra i suoi valori qualificanti. Il comitato dei deputati britannici, l'organo di rappresentanza degli ebrei britannici, afferma nella sua costituzione che mira a promuovere "la sicurezza e il benessere di Israele." Soffermarsi su questi fatti è l'unico modo per spiegarmi perché tutta quella gente altrimenti normale, tra cui la mia famiglia e i miei amici, mostri il proprio sostegno a qualcosa che sembra così palesemente sbagliato. "La direzione in cui stanno andando ebrei e israeliani è terrificante," ha spiegato Dan Nemenyi, uno dei manifestanti più giovani del blocco. "In Gran Bretagna l'establishment ebraico rimane come al solito di destra, e detiene ancora il potere sulle scuole, sulle sinagoghe e sulla rappresentazione della comunità. In Israele urge una soluzione per la situazione dei palestinesi. Ma la risposta è l'occupazione militare totale e la guerra ogni volta che è necessario." La situazione è deprimente. Il giorno dopo la nostra protesta, davanti all'ambasciata israeliana si è tenuta una manifestazione pro-Israele a cui hanno partecipato 2000 persone. Nella sola giornata di domenica sono stati uccisi più di 100 palestinesi, e almeno 500 sono rimasti feriti. A Shujaiya, sempre nella Striscia di Gaza, il personale medico ha ritrovato 66 cadaveri, 17 dei quali di bambini. Online sono apparsi video di civili in fuga a piedi, carbonizzati, con corpi insanguinati sparsi intorno a loro. I cartelli riciclati portati dai manifestanti non contenevano un solo riferimento a questa realtànessuna traccia di ironia o di vergogna nel proclamare Israele "l'unica democrazia del Medio Oriente." "[Noi] ebrei britannici siamo scesi in piazza perché anche se non viviamo in Israele vogliamo che gli israeliani sappiano che li appoggiamo," mi ha detto uno dei presenti. "Se non siamo lì con il corpo siamo lì con lo spirito. Israele è la nostra terra. E fintanto che continuano a fare la cosa giusta, avranno il nostro appoggio." "Sono qui oggi perché è un momento difficile per Israele," mi ha detto un altro uomo. "Ciò che stanno passando per via dei razzi provenienti da Gaza è assolutamente ripugnante. In quanto ebreo britannico prendere posizione contro questo antisemitismo." Man mano che la manifestazione proseguiva, un numero crescente di contromanifestanti si è raccolto in una piccola area transennata dalla polizia. Quasi tutti sono stati pungolati, fischiati e molestati al loro passaggio. Un manifestante pro-Israele ha strappato una bandiera palestinese di mano a un uomo per poi gettarla in strada tra gli applausi. Un altro è stato trattenuto dalla polizia mentre si dirigeva verso un uomo con due bambini bradendo quello che sembrava un ombrello con i colori palestinesi. "Ho temuto per la mia sicurezza e per quella dei miei figli," mi ha riferito il padre poco dopo. Un altro manifestante, Douaa Elterk, stava attraversando in macchina la folla per partecipare alla controprotesta quando la sua auto è stata attaccata da manifestanti pro-Israele. "Siamo stati assaliti mentre passavamo con la bandiera palestinese," ha detto. "Ci hanno colpiti coi bastoni e una delle nostre bandiere è stata strappata. Ci hanno tirato dell'acqua e ci hanno sputato in faccia. Poi hanno poi bloccato la strada prima che la polizia li obbligasse a proseguire. Gli israeliani hanno striscioni con scritto pace, no alla guerra, ma attaccano chiunque passi di qui. È una tale ipocrisia." Mentre la manifestazione si avviava verso la conclusione, diversi contro-manifestanti giovani e mascherati sono arrivati per affrontare il grosso dei sostenitori di Israele, che si era staccato dalla zona principale. A un certo punto i nuovi arrivati hanno rotto il cordone di polizia e hanno preso a calci il parabrezza di un'auto con una bandiera israeliana. Quando me ne sono andato, ho ricevuto un messaggio da un membro della mia famiglia che mi aveva visto al raduno. "Philip ma da che parte eri oggi???" Qualunque ottimismo si possa trarre da un piccolo gruppo di persone che chiede che un qualcosa non sia fatto nel suo nome, per la maggior parte della diaspora Israele non dovrebbe mai essere condannato pubblicamente.
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