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http://www.thedailybeast.com I numeri non raccontano la storia del Medio Oriente Parlare di equivalenze dei pedaggi di morte o delle idee di vendetta nella lotta Israele-Hamas, suona erroneo, le due parti giocano con regole molto diverse. La danza tit-for-tat di animus inconciliabili tra Israele e Hamas, il gruppo terrorista democraticamente eletto che controlla Gaza, continua con centinaia di razzi lanciati contro lo Stato ebraico e altrettanti attacchi aerei che hanno colpito bersagli nella strscia. Circa 90 palestinesi sono stati uccisi da quando Israele ha iniziato la sua controffensiva, tra loro c’erano 22 bambini. Più di 500 sono stati feriti. (Tutte le cifre sono esatte dalle 07:00 EDT di Giovedi.) Non sono state segnalate finora vittime israeliane, anche se un uomo è stato ferito gravemente quando un razzo ha colpito la sua auto. E’ un deja Vu. Sia nel 2008 e ancora nel 2012, Israele ha risposto agli attacchi incessanti di razzi da Gaza, il territorio che aveva da poco abbandonato nella speranza che avesse portato alla costruzione di una nazione palestinese piuttosto che ad una felice base missilistica vicino a casa, scatenando la sua forza aerea, e anche le sue truppe di terra, per porre fine alla grandinata di quello che erano all'epoca 10.000 razzi di Hamas, e ancora ne contiamo. Non diversamente gli obiettivi di questa settimana, gli obiettivi di Israele in queste operazioni sono i nascosti siti di lancio e stoccaggio di razzi, di armi e impianti di produzione, i posti di comando del terrorismo (di solito si trovano all'interno delle abitazioni residenziali) e i tunnel segreti. E proprio come l'attuale Operazione Barriera di Protezione, le incursioni precedenti a Gaza hanno provocato perdite sproporzionatamente sbilanciate tra i palestinesi rispetto ai morti israeliani. Ancora una volta le organizzazioni per i diritti umani, il segretario generale delle Nazioni Unite, e anche il presidente americano, stanno implorando la moderazione di Israele e la consapevolezza della sua superiore potenza militare, esercitata in zone dove i civili sono all'interno della linea di fuoco. Al tempo stesso, però, i portavoce di Hamas continuano a mettere in guardia Israele che cercheranno la vendetta contro lo Stato ebraico e che tutti gli israeliani sono i loro obiettivi prefissati. Parlare di vendetta mette le persone a disagio, e le confonde, troppo, soprattutto nelle controversie tra nazioni. La legge del taglione fornisce la misura di base di come porre rimedio alle perdite, con la sua "vita per vita" rigorosa formulazione ritrovata nel codice di Hammurabi e nell'Antico Testamento. Eppure, la sete di sangue non è l'obiettivo della vendetta; neanche risolvere il punteggio certamente lo è. Ma il vendicatore è tenuto ad un livello di precisione nella rappresaglia che cerca. La perdita di un occhio autorizza il vendicatore a non più, e non meno, dell’occhio o del suo compensativo equivalente, sul malfattore. Solo attraverso la precisione, misura per misura, il malfattore sarà ripagato correttamente e giustamente. E non avendo cercato una vendetta sproporzionata, la vendetta del beneficiario è resa in modo che nessun ulteriore motivo di vendetta sia ancora necessario. Ai sensi dell'articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite, una nazione ha il diritto di difendere i propri cittadini. Ma difendere una nazione in condizioni di guerra non richiede la precisione della giustizia "occhio per occhio". Tra gli individui la vendetta sproporzionata è un invito alla faida; nell'arena globale, tuttavia, la sproporzione è la norma. Lo era il bombardamento alleato su Dresda, le esplosioni atomiche in Giappone, o la "shock and awe" in Iraq, cosìcchè anche a livello globale, si finisce spesso con perdite sbilanciate da un lato, inclusa la perdita insopportabile di vite civili. La situazione a Gaza non è diversa ne praticamente ne moralmente, e non può essere diversa. Le risposte di ritorsione in tali contesti tragici invariabilmente si tradurranno in equazioni che semplicemente non si sommano alle perdite in modo equivalente. Le ottiche possono ingannare. Hamas spara razzi come i brasiliani danzano per strada e da tutte le parti. Ne hanno lanciati migliaia in Israele dal 2005, senza successo, ma indiscriminatamente, senza alcun riguardo per chi potrebbero colpire. The Iron Dome, sempre più, garantisce che i razzi non atterrino. Quando si tratta di attacchi aerei di rappresaglia, Israele chiama i numeri di cellulare dei palestinesi le cui case stanno per essere bombardata; fa anche cadere volantini sui residenti dal cielo, come avvertimento per evacuare la zona. E quando è il momento di sparare, Israele risponde con precisione millimetrica. Purtroppo, ci sono ancora morti civili. Paradossalmente il mondo ritiene Israele, responsabile del fatto che Hamas non è in grado di sparare dritto. La posizione morale di Israele sarebbe più forte se il numero di incidenti fosse più uguale. Ma sotto quale principio morale una nazione deve imitare sia la follia che il depistaggio del suo nemico? Intento e movente contano sempre. Il finale di partita per Hamas, è dichiaratamente sia in parole che in opere, il genocidio ebraico. La parola in questione qui non dovrebbe essere "proporzione", ma piuttosto "asimmetria": non c'è campo di battaglia su cui Israele possa combattere il suo nemico giurato. Con una progettazione spregevole, Hamas insiste a portare il teatro di guerra accanto alla camera da letto di un bambino, o nel seminterrato di una moschea, o in un ospedale, in una scuola. Scudi umani che potrebbero finire nei sacchi di plastica e di una cultura del martirio islamico, è la guerra di trincea che gli israeliani devono affrontare ogni volta che mettono le loro uniformi. I militanti si nascondono, e le loro armi si trovano tra la loro gente. Tenere la traccia delle bombe e la conta dei corpo a Gaza e in Israele sfida la logica dell’analisi. Se la lettura delle perdite è squilibrata, non fatevi ingannare dai numeri. I pedaggi sproporzionati di morte, tragici quanto possono essere, sono una scusa per mettere Israele in una posizione assolutamente indifendibile. http://www.thedailybeast.com Numbers Don’t Tell the Mideast Story
Talk of equivalencies in death tolls or ideas of vengeance are misapplied in the Israel-Hamas fight, where the two sides play by very different rules. The tit-for-tat dance of irreconcilable animus between Israel and Hamasthe democratically elected terrorist group that controls Gazacontinues with 365 rockets having been launched against the Jewish state and more than 200 airstrikes hitting Gazan targets. Approximately 90 Palestinians have been killed since Israel began its counteroffensiveamong them were 22 children. More than 500 have been injured. (All figures are accurate as of 7 p.m. EDT Thursday.) No Israeli casualties have been reported thus far, although one man was reportedly seriously injured when a rocket struck his car. We’ve been here before. Both in 2008 and again in 2012, Israel responded to unremitting rocket attacks from Gazathe territory it had only recently abandoned in hopes that it would lead to the building of a Palestinian nation rather than a missile-happy next door neighborby unleashing its air force, and even its ground troops, to bring an end to the hailstorm of what was at the time 10,000 Hamas rockets, and still counting. Not unlike its objectives this week, Israel’s targets in those operations were concealed rocket-launching sites, weapons storage and manufacturing facilities, terrorist command posts (usually located inside residential houses) and secret tunnels. And just like the present Operation Protective Edge, those earlier incursions into Gaza resulted in disproportionately unbalanced losses among Palestinians when compared to the Israeli dead. Once again human rights organizations, the United Nations secretary-general, and even the American president, are imploring Israel to show restraint and be mindful of its superior military power being exercised in areas where civilians are within the line of fire. At the same time, however, Hamas spokesmen continue to warn Israel that they will seek vengeance against the Jewish state and that all Israelis are their intended targets. Talk of revenge makes people uneasy, and it’s confusing, tooespecially in disputes between nations. The lex talionis provides the basic measurement of how to remedy loss, with its strict “life for a life” formulationfound in Hammurabi’s Code and the Old Testament. Yet, bloodthirstiness is not the objective of vengeance; getting even and settling the score most certainly is. But the avenger is held to a standard of precision in the retaliation he seeks. The loss of an eye entitles the avenger to no more, and no less, than the wrongdoer’s eyeor its compensatory equivalent. Only through measure-for-measure exactness will the wrongdoer be paid back properly and justly. And by not having sought vengeance disproportionately, the revenge taker is made even and no further reason for revenge becomes necessary. Under Article 51 of the United Nations Charter, a nation has the right to defend its own citizens. But defending a nation under wartime conditions does not require the precision of “eye for an eye” justice. Among individuals disproportionate revenge is an invitation to a blood feud; in the global arena, however, disproportion is the norm. Whether it was the Allied bombing of Dresden, the atomic detonations in Japan, or the “shock and awe” of Iraq, getting even, globally, often comes with lopsided casualties on one sideincluding the unbearable loss of civilian lives. The situation in Gaza is no different and, both practically and morally, it can be no different. Retaliatory responses in such tragic settings will invariably result in equations that simply won’t add up to equivalent losses. The optics can be deceiving. Hamas fires rockets the way Brazilians dance: all over the place. They have launched thousands of them at Israel since 2005unsuccessfully but indiscriminately, without any regard to where they might land. (The Iron Dome, increasingly, ensures that those rockets never land.) When it comes to its retaliatory airstrikes, Israel calls the cell phone numbers of the Palestinians whose houses are about to be bombed; they also drop leaflets from the sky warning residents to evacuate the area. And when it is time to fire, Israel retaliates with pinpoint accuracy. Unfortunately, there are still civilian dead. Paradoxically the world is holding Israel responsible for Hamas being unable to shoot straight. Israel’s moral position would be stronger if the casualty count was more equal. But under what moral principle must a nation mimic both the madness and the misdirection of its enemy? Intent and motive always matter. The endgame for Hamas, avowedly in both word and deed, is Jewish genocide. The relevant word here should not be “proportion” but rather “asymmetry”there is no battlefield on which Israel can fight its sworn enemy. By despicable design, Hamas insists on bringing the theater of war right beside a child’s bedroom, or in the basement of a mosque, or in a hospital or school. Human shields that might end up in body bags and a culture of Islamic martyrdom is the trench warfare that Israelis face whenever they put on their uniforms. The militants are hiding, and their weapons are located, among their own people. Keeping track of bombs and body counts in Gaza and Israel defies the logic of analytics. If the ledgers of loss are imbalanced, don’t be fooled by the numbers. Disproportionate death tolls, tragic though they may be, are an excuse to place Israel in an utterly indefensible position.
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