http://www.ilcaffegeopolitico.org L’Europa perde la pazienza con Israele L’Europa ha perso la pazienza con Israele? Italia e Spagna invitano a non investire in Cisgiordania, Gaza e Golan per non incorrere in possibili diatribe legali su diritti umani e diritto internazionale. Stamattina il quotidiano israeliano Ha’aretz, tramite il suo giornalista Barak Ravid, ha pubblicato notizia dell’avvertimento del Ministero degli Affari Esteri alle aziende italiane di non investire o fare affari con partner israeliani in Cisgiordania, Gaza e Golan per il rischio di incorrere in possibili accuse di violazione del diritto internazionale o di violazione dei diritti umani. Anche la Spagna si è unita all’Italia. La dichiarazione è stata giustificata dalla necessità di ratificare una decisione UE di fine 2012 e senza l’intenzione di boicottare Israele con il quale si intende invece sempre mantenere un buon rapporto di partnership economica. Per quanto l’effetto reale sull’interscambio commerciale e gli investimenti sarà verosimilmente ridotto, tale mossa ha in realtà una serie di significati e implicazioni non sempre immediati: 1) Non va visto come un gesto isolato. A dicembre 2012 l’Unione Europea (UE) ha ratificato un documento che rifiuta finanziamenti a imprese di qualunque nazione che abbiano sede o facciano affari (investimenti, partecipazioni…) con entità israeliane oltre i confini israeliani del 1967, quindi Gaza, la Cisgiordania, il Golan. Il motivo dietro a questa decisione risiede nell’aver ignorato, da parte di Israele, le richieste UE di cessazione della costruzione di insediamenti in Cisgiordania. 2) Di fronte al fallimento, nei mesi scorsi, dell’iniziativa di pace USA guidata dal Segretario di Stato John Kerry, che ha riportato una forte opposizione proprio da parte israeliana, l’UE non ha visto passi che potessero farla ritornare sulla propria decisione. 3) Il fallimento dell’iniziativa di pace ha portato l’Autorità Nazionale Palestinese (ANP) a riprovare la strada del governo di coalizione con il movimento di Hamas, mossa aspramente osteggiata da Israele. Poco tempo dopo, in risposta al rapimento di tre ragazzi israeliani da parte, secondo Israele, di esponenti di Hamas, il governo di Gerusalemme ha lanciato l’operazione Brother’s Keeper (“Guardiano di mio fratello”) in Cisgiordania per la ricerca dei tre giovani e per lo smantellamento delle strutture di Hamas nell’area. L’operazione, condotta con grande dispiegamento di forze, è stata giudicata eccessiva nelle modalità non solo dall’ANP ma anche da vari governi occidentali, fornendo quindi a questi ultimi l’occasione per l’espressione di una maggiore incisività diplomatica, tramite l’avvertimento di oggi (la Francia lo aveva già fatto nei giorni scorsi, Germania e Gran Bretagna ancora prima). L’UE non ha mai approvato l’iniziativa BDS contro Israele, giudicata troppo estrema. La scelta diplomatica fatta vuole invece essere meno aspra ma politicamente più rilevante 4) Come hanno spiegato i Ministri degli Esteri coinvolti, l’avvertimento non è una proibizione, né è rivolta a boicottare Israele in toto, con il quale l’UE è interessata invece a mantenere l’attuale partnership economica. Ma come ha spiegato Lars Faaborg-Andersen, rappresentante dell’UE in Israele, è anche la risposta alla continua costruzione di insediamenti: “Gli stati membri hanno perso la pazienza nel non essere interpellati”. 5) Come detto, le parole usate negli avvertimenti non implicano alcun obbligo, né alcuna possibile sanzione (del resto non esiste una legislazione al riguardo), ma bisogna ricordare che si tratta di linguaggio diplomatico: anche solo citare ufficialmente “rischio di accuse per infrazione del diritto internazionale o di violazione dei diritti umani” significa implicare il fatto che si ritiene che la situazione sul campo possa presentare questi aspetti. In gergo diplomatico è insomma la cosa più vicina a una condanna che ci possa essere senza dirlo direttamente. 6) La vicenda alzerà i toni diplomatici e scatenerà un po’ di polemica tra le parti, con Israele che potrebbe controbattere autorizzando altri insediamenti. Scontenterà d’altra parte anche quella parte dell’opinione pubblica che invece vorrebbe parole più dure. Ma la diplomazia è l’arte di dire cosa si pensa senza offendere pubblicamente la controparte: in altre parole, i Ministri degli Esteri dell’UE sanno bene che alzare troppo i toni servirebbe solo a chiudere ulteriormente il dialogo con Israele sulla questione, con pochi effetti pratici. Sconsigliare ufficialmente gli investimenti, come fatto, ha invece un’impronta potenzialmente più significativa. Realisticamente è difficile che quanto successo porti Israele a cambiare la propria politica sugli insediamenti nel breve periodo, e anzi potrebbe perfino radicalizzarla. Sul lungo potrebbe però essere una testa di ponte che permetta a una parte della sua opinione pubblica di mostrare più incisivamente la necessità di un cambio di rotta. E’ però ancora presto per verificarlo.
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