http://www.ilcaffegeopolitico.org L’Iran di fronte all’ISIS Le reazioni dell’Iran all’inasprirsi della crisi irachena. Domenica 29 giugno le fazioni estremistiche che compongono il governo dell’ISIS hanno proclamato la nascita dello stato islamico, definito califfato, dell’Iraq e della Siria consegnando larga parte del territorio iracheno all’estremismo sunnita. La roccaforte sciita dell’Iran non rimarrà certo a guardare di fronte al rischio di perdere per sempre l’influenza su Najaf, città irachena culla dello sciismo.
LA RIVOLUZIONE FALLITA - Nel 1980 il sogno della prima rivoluzione politica islamica, il tentativo degli sciiti di far riferimento all’ayatollah Khomeini e per orientare tutto il mondo islamico verso un nuovo ordinamento geopolitico, naufragò nella guerra contro l’Iraq. L’Iran rivoluzionario si scontrò con la dittatura laica del partito nazionalista Ba’th in un confronto quasi decennale, sino al 1988. La risoluzione 598 dell’ONU fu accettata dai due Paesi, che erano ormai allo stremo delle loro forze, dato l’ingente numero di perdite e le grandi distruzioni portate dalla guerra agli apparati economici dei due Paesi (e dalle quali l’Iraq non si è mai ripreso). L’accettazione della risoluzione 598 non vide l’abbandono dei territori conquistati dall’Iran sino a quel punto ma certamente fu uno dei più duri colpi alla diffusione della rivoluzione sciita di Khomeini, iniziata nel 1979. La rivoluzione era certamente un anelito alla grandezza religiosa dell’ayatollah, ma poteva diventare il mezzo per garantire all’Iran l’egemonia religiosa sul Golfo Persico. In Iraq in fondo si trova Najaf, una delle città sante dell’Iran, e questo ha sempre rappresentato per l’Iran una leva sulla quale poter agire negli affari interni in nome della tutela della popolazione sciita. La distruzione del partito nazionalista Ba’th e la creazione del nuovo Iraq, Stato alleato della potenza statunitense aveva reso il gioco della supremazia iraniana molto più semplice. Il quadro si faceva ancora più favorevole all’Iran con l’inizio della costruzione del suo soft power a partire dal novembre 2013 con l’avvento al potere di Hassan Rohuani. Poi la situazione ha preso un’altra piega con l’avvento del jihadismo in Siria ed Iraq, fino allo scoppio del bubbone con la nascita dell’ISIS (proclamazione ufficiosa, ma comunque reale), che ha già occupato, oltre alle zone di confine con la Siria, la città di Tikrit. LE POSIZIONI STATUNITENSE E RUSSA Il colpo di scena ha suscitato chiaramente le reazioni del mondo intero. La condanna americana è immediatamente corrisposta da una serie di condanne internazionali, tra le quali quella russa (secondo fornitore di armi allo stato iracheno dopo gli Stati Uniti). In particolare, la Russia ha assunto una posizione pesantemente interventista che, oltre alla condanna del proprio Governo, ha inviato una vera e propria task force di venticinque cacciabombardieri Sukhoi in soccorso all’aeronautica irachena per combattere i terroristi, già a partire dal 30 giugno. La reazione di Mosca è certamente comprensibile se inquadrata nel tentativo di sostituirsi agli USA con una politica di interesse nazionale, nel momento in cui Washington non può permettersi di contraddire Putin che appoggia l’Iraq alleato degli USA ed in cui gli USA subiscono un forte dibattito interno fra interventismo repubblicano e diplomatismo democratico. Non dobbiamo poi dimenticare la responsabilità che l’opinione pubblica americana e mondiale attribuisce agli Stati Uniti nella disgregazione del debole stato iracheno nato dall’invasione americana del 2003. In risposta al sostegno russo Obama ha però inviato, ad inizio del mese di luglio, 200 militari come accessoria protezione dell’ambasciata a Baghdad, circa ottanta missili Hellfire per l’aeronautica irachena e una task force di droni armati, ridislocata nella capitale dell’Iraq. L’IRAN L’Iran ha espresso, per bocca di Hassan Rohuani in persona, forte perplessità per gli interventi esterni, in particolare quello americano. Infatti, in una sua dichiarazione rilasciata alla stampa occidentale, immediatamente successiva alla proclamazione del califfato, ha attaccato le posizioni del leader dell’ISIS Abu Bakr al-Baghdadi ed ha bollato le ingerenze esterne all’area del Golfo come destabilizzanti. Tra le influenze negative stigmatizzate dal presidente Rohuani, quella americana, collegata agli stati musulmani sunniti che forniscono petroldollari ai ribelli dell’ISIS, facendo un diretto riferimento all’Arabia Saudita e al Qatar. In particolare, quest’ultimo è il diretto fornitore strategico (quindi di armamenti) dell’ISIS. Così l’Iran ha dato volto e motivazione politica alla strategia di potenza (interventi militari aerei diretti e strategia terrestre di contenimento al confine) che sta esercitando a favore del governo sciita di Nuri al-Maliki, ma nello stesso tempo si propone come moderatore dell’equilibrio geopolitico dell’area Golfo Persico. Infatti, nelle stesse occasioni in cui ha attaccato l’ingerenza sunnita, Rohuani ha richiamato gli stati musulmani alla fratellanza che travalichi la suddivisione fra sunniti, sciiti e kharigiti (in particolare per quanto riguarda l’Oman) ma, si sottintende, con l’Iran, ormai unica potenza regionale stabile, come unico moderatore, salvo poi accettare aiuti strategici dalla Russia, potenza esterna sicuramente non disinteressata agli equilibri dell’Area.
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