Gramsci Oggi Coscienza rivoluzionaria, antimperialismo e Liberazione della Palestina L’ultimo massacro colonialista di Israele eufemisticamente giustificato come “Margine di Protezione” e minimizzato come conflitto dall’imperialismo, ha portato al rinnovamento della Resistenza palestinese. Decine di anni di concessioni politiche finite nella stagnazione di quel discorso incardinato sulla soluzione imposta dall’imperialismo dei due Stati che alla fine si è arenato, mentre i palestinesi sono, ancora una volta, uniti dietro la Resistenza. E anche se il Presidente dell’Autorità Palestinese, Mahmoud Abbas, rimane invischiato nelle solite congetture diplomatiche e cerca di coprire con l’oblio il recente massacro premeditato, i palestinesi e la Resistenza cercano invece di utilizzare i nuovi spazi politici per riconoscersi nell’unità e configurare una lotta che vada oltre la percezione di una minaccia isolata. La Resistenza dei palestinesi è stata deprivata di molti fattori soprattutto, dalle implicazioni del carattere colonialista dell’oppressione sostituiti dal più conveniente termine di occupazione militare. La descrizione della questione palestinese imposta dal dominio occidentale ha contribuito alla frammentazione non solo della memoria dei palestinesi, ma anche della coscienza rivoluzionaria. Dato che ogni aggressione è descritta come un incidente isolato, invece che come la continuazione e l’accelerazione del colonialismo sionista attraverso la violenza supportata dall’imperialismo, la coscienza rivoluzionaria deve essere sempre reintegrata ed ampliata al fine di migliorare le condizioni per la liberazione Scritto da George Habash quando era imprigionato in Siria e successivamente ampliato in un primo documento da Ghassan Kanafani, il Manifesto del Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (FPLP), “Strategia per la liberazione della Palestina”, è un importante documento storico che delinea i diversi fattori che minacciano l'esistenza della resistenza e della coscienza rivoluzionaria. Quest’anno in cui ricorre il 45° anniversario della sua pubblicazione, coincide anche con la necessità di pilotare in modo costruttivo le nuove opportunità aperte dall’ultimo massacro sionista per esprimere la resistenza dall'interno dell'esperienza palestinese. Per decine d’anni è stata evidente la tendenza dei leader palestinesi a cercare una legittimazione da parte dei loro oppressori. Ne sono derivati il soffocamento delle aspirazioni e la repressione ideologica delle masse per favorire entità politiche che dipendono dallo stato coloniale e dagli Stati Uniti. Con negoziati trincerati all'interno del discorso politico palestinese ufficiale un'imposizione esterna mantenuta forzatamente interna a scapito di tutti i palestinesi , la marginalizzazione della Resistenza diviene molto pronunciata. I processi di colonizzazione sono stati accelerati in un quadro politico di concessioni approvate dall'Autorità Palestinese. I negoziati hanno avuto la precedenza senza fermare ulteriori processi di colonizzazione e di espropriazione e la Resistenza è stata indebolita dai leader palestinesi che cercano di stabilire una legittimazione dipendente da entità quali lo stato di Israele, gli Stati Uniti e le Nazioni Unite tutti complici della dominazione imperialista e del lento sterminio dei palestinesi. La Resistenza è stata quindi scambiata per una sorta di sottomissione disposta ad accettare ulteriori stanziamenti coloniali e negoziati con Israele che, in accordo con suoi alleati, detta i parametri politici che li trasformano in un processo aperto utile all’espansione coloniale fino al suo completamento. I manifesti delle principali fazioni palestinesi condividono tutti un valore comune quello della liberazione attraverso la resistenza armata combinata con un importante e strategico approccio ideologico. La Carta Nazionale Palestinese del 1964 rifiutò esplicitamente il riconoscimento del piano di spartizione delle Nazioni Unite del 1947, approvò la resistenza armata come la via per la liberazione e sottolineò l'importanza dell’internazionalismo, definito come " atto di difesa reso necessario dalle esigenze di auto-difesa". Il sionismo, inoltre, fu classificato come un’estensione dell’imperialismo internazionale: “Israele è lo strumento del movimento sionista ed è la base umana e geografica dell’imperialismo internazionale”. La Convenzione di Hamas del 1988 sottolineò inoltre l'infiltrazione imperialista attraverso la colonizzazione sionista della Palestina. L’Articolo 32 del suo statuto dice: “Il sionismo mondiale assieme al potere imperialistico cerca, con un piano ben studiato ed un’intelligente strategia, di rimuovere uno stato arabo dopo l’altro dal cerchio della lotta contro il sionismo in modo da confrontarsi finalmente solamente col popolo palestinese”. Con la liberazione costantemente ostacolata da una violenta imposizione esterna e la sottomissione dei leader palestinesi la più recente, prima dell’aggressione "Margine di Protezione" è stata la formazione di un governo di unità nazionale tra l'autorità palestinese e Hamas, che acconsentì alla soluzione dei due Stati nell'analisi del Manifesto del FPLP sugli impedimenti all’intera liberazione della Palestina, il significato della coscienza rivoluzionaria è di fondamentale importanza perché riconosce le minacce alla resistenza palestinese. Contrariamente alle congetture spacciate dall'imperialismo, la Resistenza palestinese è minacciata dalla violenza sistematica e ciò richiede una pianificazione strategica e la comprensione del pensiero rivoluzionario per promuovere una concreta coscienza rivoluzionaria all'interno delle masse. Preoccupazione principale del Manifesto del FPLP sono le definizioni del nemico e delle forze rivoluzionarie, entrambe considerate fondamenti per stabilire una coscienza di massa rivoluzionaria in un contesto storico. Al fine di stabilire una strategia adeguata per combattere l'imperialismo infiltrato in Palestina è necessario fondere la coscienza rivoluzionaria con una profonda comprensione della storia, in particolare per quanto riguarda la resistenza armata. L'istituzione della lotta rivoluzionaria palestinese aveva chiari obiettivi che si frammentarono all'interno dell’isolamento, sicché la diplomazia è diventata l'opzione preferita nonostante la sottomissione inerente. L'isolamento è stato dannoso per la diffusione del pensiero rivoluzionario, con conseguenti insostenibili eruzioni sporadiche di combattimenti cui mancavano sia la pianificazione che la strategia. Intanto il pensiero rivoluzionario fu confinato nei circoli intellettuali e accademici, escludendo le classi sociali che esprimono la volontà di sostenere una resistenza prolungata per una storica liberazione della Palestina. Ciò ha ben aiutato il colonialismo, ed il suo racconto egemonico che determina la definizione dei palestinesi solo attraverso la leadership palestinese ufficialmente riconosciuta, mentre oscura intenzionalmente il resto, in moda da eliminare ogni possibile riconoscimento e manifestazione degli intenti rivoluzionari palestinesi. Le complicazioni incontrate dalla resistenza palestinese derivavano, dunque, da un insieme di fattori esacerbati da forme di sottomissione, che "confondono il pensiero politico rivoluzionario con i metodi politici superati." Il rifiuto consapevole dell’ipocrisia diplomatica ed l’opposizione unificata a negoziati politici basati sull’invalidazione delle ragioni e della storia dei palestinesi sono, perciò, necessari per rivalutare la Resistenza palestinese come processo concreto che combatte specifiche entità oppressive e che si oppone ai travisamenti ed alle ambiguità diffuse dal “nemico”. A questo proposito, il Manifesto del FPLP si addentra in un'analisi dettagliata, particolarmente rilevante per lo scenario contemporaneo, di ciò che costituisce il nemico. Il riconoscimento del nemico comprende quattro entità specifiche che, combinate, richiedono una resistenza formidabile basata sia sulla lotta rivoluzionaria palestinese che sull’internazionalismo. Secondo il Manifesto, Israele, il Movimento Mondiale Sionista, l’Imperialismo e la Reazione Araba costituiscono le forze principali che impediscono la liberazione della Palestina. Come si vedrà, ogni entità separata costituisce un link che conduce alla dominazione regionale e internazionale, ben diverso dalla frammentazione evocata nel discorso tradizionale derivato dal mito sionista e dalle giustificazioni internazionali dell’oppressione di istituzioni come le Nazioni Unite. Iniziando da Israele, il Manifesto descrive lo stato colonialista come un’entità che basa la sua dominazione su un indottrinamento diffuso sostenuto dalle sue istituzioni. Tuttavia confinare il nemico solo in Israele non solo indebolisce la comprensione della superiorità esibita nei suoi “exploit” militari, ma anche i processi storici e, quindi, internazionali dell’oppressione, che hanno permesso la creazione di uno stato colonialista in Palestina. Da qui anche l'importanza, di dare una definizione di Israele attraverso il colonialismo che si oppone a quella di una isolata occupazione militare, definizione che non è in grado di includere la preoccupazione permanente di Israele sia sul piano ideologico che territoriale. Come dice Nur Masalha (2000), “ La “Grande Israele” è sia un concetto territoriale che ideologico volto ad ottenere la massima espansione territoriale e di dominio imperiale nella regione”. Questa premessa fondamentale espressa da Masalha e sottintesa nel Manifesto, espone la complessità di un’ostilità che si giova dell'intenzionale assenza di confini un riflesso della connessione integrale dello stato sionista al Movimento Sionista Mondiale e alle sue attività di lobbying aggressiva. Come dice il Manifesto, “Nella nostra battaglia con Israele, abbiamo di fronte non solo Israele, ma un Israele la cui struttura si fonda sulla forza del movimento sionista”. La prospettiva qui si allarga a comprendere ciò che il Manifesto chiama "una forza materiale" una struttura, cioè, che collega Israele al movimento sionista internazionale che la conferma con la diffusione della propaganda, la forza militare e le alleanze, che devono essere contrastate strategicamente dalla Resistenza palestinese. Dentro la sua giustificazione, Israele ne impone una ipotetica per generare l’idea di uno stato inerme che è stato preso sotto custodia dai suoi alleati ed è promosso dalle istituzioni internazionali imperialiste che consenta di esprimere "il diritto di Israele a difendersi". Questa strategia è ripetutamente promossa dalle Nazioni Unite ogni volta che si manifesta la furia omicida dello stato colonialista con operazioni che vengono poi isolate in modo da eliminare ogni traccia di contesto storico, tra cui l'ovvio riferimento alla Nakba del 1948. In definitiva, dettami e narrazioni imperialiste guidano ogni discorso che emana da organizzazioni internazionali quando Israele tenta di consolidare la sua posizione nella regione. La definizione dell’imperialismo attraverso la sua dimensione internazionale ed il sistema di riferimento del sionismo è di primaria importanza per la resistenza dei palestinesi. La persistenza di una condizione di soggiogamento con particolare riferimento alla Palestina ed al Medio Oriente si traduce, in questo caso, nel brutale annientamento della legittima resistenza all’espropriazione della terra, lo sfruttamento delle persone e delle risorse. L’illegale esistenza di Israele nella regione costituisce una base di potere tramite il quale l’imperialismo può consolidare le sue conquiste e fomentare ulteriori disordini le cui ramificazioni possono essere viste nel più ampio quadro delle instabilità e delle alleanze che continuano a minacciare le popolazioni civili, facilitando il processo di usurpazione. Mentre Israele agisce come base di potere dell’imperialismo nella regione, l’imperialismo a sua volta ne facilita l’espansione coloniale. La protezione, il rafforzamento, il sostegno ad Israele ed il mantenimento della sua esistenza, sono questioni di importanza fondamentale per gli interessi dell’imperialismo mondiale. A sua volta quella che nel Manifesto si definisce il quarto nemico della resistenza palestinese, la Reazione Araba, è chiaramente un’estensione della base che sostiene gli interessi coloniali ed imperialisti nella regione. “Nella battaglia concreta di liberazione intrapresa dalle masse per distruggere l'influenza imperialista nella nostra Patria, la Reazione Araba non può che essere dalla parte dei propri interessi, la cui prosecuzione dipende dalla persistenza dell’imperialismo, e di conseguenza non può schierarsi con le masse. "Il perpetuarsi del conflitto tra i leader arabi e le masse è un'estensione degli ostacoli alla liberazione palestinese; da cui discendono i continui tentativi di soggiogare i movimenti di resistenza in accordo con le imprese coloniali e imperialiste, nel timore che il trionfo delle masse possa minacciare l'esistenza di autorità oppressive. Data l’estensione regionale ed internazionale delle forze nemiche che si oppongono alla liberazione dei palestinesi, è ancora più importante garantire una chiara strategia volta alla vittoria, quella che si articola dall’interno dell’esperienza palestinese e che evita l’improvvisazione, in particolare, le innovazioni che emanano dalle interpretazioni imperialiste di ciò che dovrebbe essere uno stato palestinese. È necessario, quindi, applicare una coscienza rivoluzionaria dando una teoria alle masse per stabilire una corretta organizzazione, stringere alleanze rivoluzionarie e affermare la resistenza armata come un diritto legittimo per la liberazione. La storia ha provato, particolarmente con l’esperienza di Fidel Castro e la Rivoluzione Cubana, che l’unico mezzo per resistere all’aggressione coloniale ed imperialista è la resistenza armata. Altri processi rivoluzionari in America Latina, come quello di Salvador Allende in Cile, sono stati brutalmente schiacciati principalmente attraverso l'adesione al cosiddetto "quadro democratico", col risultato di (Continua da pagina 25) repressioni, uccisioni e desaparecidos. C’è bisogno della presa di coscienza che, senza liberazione, la retorica della democrazia è limitata alla interpretazione e alla gestione dello sfruttamento della violenza coloniale e imperialista. Nei mesi recenti, il discorso diplomatico ha insistito per risolvere la questione di uno “Stato Palestinese” come appendice, spogliato di autonomia e indipendenza. La tattica, inerente alla corrotta democrazia sposata dall'Occidente, capovolge quella sancita all'interno di movimenti di liberazione. Invece di affermare la giusta posizione della Resistenza, l'Autorità palestinese ha riaffermato la sua complicità, la contrattazione su prigionieri palestinesi per garantire la perpetua espansione coloniale di Israele collaborando con Israele nella detenzione dei palestinesi prima del massacro chiamato Margine di Protezione e, all'interno di un breve lasso di tempo dopo il compromesso del cessate il fuoco, ritornando al discorso dei negoziati, mentre mirava a gettare nel dimenticatoio la rinnovata Resistenza palestinese. Rivisitare il Manifesto del FPLP in un momento così cruciale nella storia palestinese ricorda l'importanza delle classi subalterne il fondamento della rivoluzione abitualmente trascurate a favore di narrazioni egemoniche. Con la leadership palestinese ufficialmente riconosciuta e disponibile ad ulteriori concessioni, tra cui l'approvazione di una infiltrazione internazionale a Gaza, spetta ai movimenti di resistenza e al popolo determinare la lotta di liberazione con tutti i mezzi necessari, compreso il ripudio della legittimità concessa dall'imperialismo alle forze oppressive ovunque in Palestina.
*Ramona Wadi, è una giornalista maltese che ringraziamo anche per questo contributo dopo quello che abbiamo pubblicato sul n. 1 Febbraio 2014 di Gramsci oggi col titolo “Contro il travisamento imperialista del ruolo di Fidel Castro nella Rivoluzione Cubana”. I suoi scritti trattano problemi concernenti la lotta per la memoria in relazione alla Palestina ed al Cile, la legittimità storica, la correlazione tra aiuto umanitario e abusi umani, le Nazioni Unite come istituzione imperialista, l’antimperialismo ed il pensiero politico dell’America Latina. Scrive regolarmente per Middle East Monitor, Upside Down World ed altre riviste, nelle pubblicazioni accademiche per la Holy Land Studies e il Center for Latin American Studies, l’University of California, Berkeley. I suoi articoli sono stati tradotti in Spagnolo, Italiano, Portoghese, Francese, Turco e Farsi.
|