Gramsci Oggi
24 Settembre 2014

Coscienza rivoluzionaria, antimperialismo e Liberazione della Palestina
di Ramona Wadi
Traduzione a cura di Giuliano Cappellini

L’ultimo massacro colonialista di Israele

eufemisticamente giustificato come “Margine

di Protezione” e minimizzato come conflitto

dall’imperialismo, ha portato al rinnovamento

della Resistenza palestinese. Decine di anni di

concessioni politiche finite nella stagnazione di quel

discorso incardinato sulla soluzione imposta

dall’imperialismo dei due Stati che alla fine si è arenato,

mentre i palestinesi sono, ancora una volta, uniti dietro

la Resistenza. E anche se il Presidente dell’Autorità

Palestinese, Mahmoud Abbas, rimane invischiato nelle

solite congetture diplomatiche e cerca di coprire con

l’oblio il recente massacro premeditato, i palestinesi e la

Resistenza cercano invece di utilizzare i nuovi spazi

politici per riconoscersi nell’unità e configurare una lotta

che vada oltre la percezione di una minaccia isolata.

La Resistenza dei palestinesi è stata deprivata di molti

fattori – soprattutto, dalle implicazioni del carattere

colonialista dell’oppressione – sostituiti dal più

conveniente termine di occupazione militare. La

descrizione della questione palestinese imposta dal

dominio occidentale ha contribuito alla frammentazione

non solo della memoria dei palestinesi, ma anche della

coscienza rivoluzionaria. Dato che ogni aggressione è

descritta come un incidente isolato, invece che come la

continuazione e l’accelerazione del colonialismo sionista

attraverso la violenza supportata dall’imperialismo, la

coscienza rivoluzionaria deve essere sempre reintegrata

ed ampliata al fine di migliorare le condizioni per la

liberazione

Scritto da George Habash quando era imprigionato in

Siria e successivamente ampliato in un primo

documento da Ghassan Kanafani, il Manifesto del

Fronte Popolare di Liberazione della Palestina (FPLP),

“Strategia per la liberazione della Palestina”, è un

importante documento storico che delinea i diversi fattori

che minacciano l'esistenza della resistenza e della

coscienza rivoluzionaria. Quest’anno in cui ricorre il 45°

anniversario della sua pubblicazione, coincide anche

con la necessità di pilotare in modo costruttivo le nuove

opportunità aperte dall’ultimo massacro sionista per

esprimere la resistenza dall'interno dell'esperienza

palestinese.

Per decine d’anni è stata evidente la tendenza dei leader

palestinesi a cercare una legittimazione da parte dei loro

oppressori. Ne sono derivati il soffocamento delle

aspirazioni e la repressione ideologica delle masse per

favorire entità politiche che dipendono dallo stato

coloniale e dagli Stati Uniti. Con negoziati trincerati

all'interno del discorso politico palestinese ufficiale –

un'imposizione esterna mantenuta forzatamente interna

a scapito di tutti i palestinesi –, la marginalizzazione

della Resistenza diviene molto pronunciata. I processi di

colonizzazione sono stati accelerati in un quadro politico

di concessioni approvate dall'Autorità Palestinese. I

negoziati hanno avuto la precedenza senza fermare

ulteriori processi di colonizzazione e di espropriazione e

la Resistenza è stata indebolita dai leader palestinesi

che cercano di stabilire una legittimazione dipendente da

entità quali lo stato di Israele, gli Stati Uniti e le Nazioni

Unite – tutti complici della dominazione imperialista e del

lento sterminio dei palestinesi. La Resistenza è stata

quindi scambiata per una sorta di sottomissione disposta

ad accettare ulteriori stanziamenti coloniali e negoziati

con Israele che, in accordo con suoi alleati, detta i

parametri politici che li trasformano in un processo

aperto utile all’espansione coloniale fino al suo

completamento.

I manifesti delle principali fazioni palestinesi condividono

tutti un valore comune – quello della liberazione

attraverso la resistenza armata combinata con un

importante e strategico approccio ideologico. La Carta

Nazionale Palestinese del 1964 rifiutò esplicitamente il

riconoscimento del piano di spartizione delle Nazioni

Unite del 1947, approvò la resistenza armata come la

via per la liberazione e sottolineò l'importanza

dell’internazionalismo, definito come " atto di difesa reso

necessario dalle esigenze di auto-difesa". Il sionismo,

inoltre, fu classificato come un’estensione

dell’imperialismo internazionale: “Israele è lo strumento

del movimento sionista ed è la base umana e geografica

dell’imperialismo internazionale”.

La Convenzione di Hamas del 1988 sottolineò inoltre

l'infiltrazione imperialista attraverso la colonizzazione

sionista della Palestina. L’Articolo 32 del suo statuto

dice: “Il sionismo mondiale assieme al potere

imperialistico cerca, con un piano ben studiato ed

un’intelligente strategia, di rimuovere uno stato arabo

dopo l’altro dal cerchio della lotta contro il sionismo in

modo da confrontarsi finalmente solamente col popolo

palestinese”.

Con la liberazione costantemente ostacolata da una

violenta imposizione esterna e la sottomissione dei

leader palestinesi – la più recente, prima

dell’aggressione "Margine di Protezione" è stata la

formazione di un governo di unità nazionale tra l'autorità

palestinese e Hamas, che acconsentì alla soluzione dei

due Stati – nell'analisi del Manifesto del FPLP sugli

impedimenti all’intera liberazione della Palestina, il

significato della coscienza rivoluzionaria è di fondamentale importanza perché riconosce le minacce

alla resistenza palestinese. Contrariamente alle

congetture spacciate dall'imperialismo, la Resistenza

palestinese è minacciata dalla violenza sistematica e ciò

richiede una pianificazione strategica e la comprensione

del pensiero rivoluzionario per promuovere una concreta

coscienza rivoluzionaria all'interno delle masse.

Preoccupazione principale del Manifesto del FPLP sono

le definizioni del nemico e delle forze rivoluzionarie,

entrambe considerate fondamenti per stabilire una

coscienza di massa rivoluzionaria in un contesto storico.

Al fine di stabilire una strategia adeguata per combattere

l'imperialismo infiltrato in Palestina è necessario fondere

la coscienza rivoluzionaria con una profonda

comprensione della storia, in particolare per quanto

riguarda la resistenza armata. L'istituzione della lotta

rivoluzionaria palestinese aveva chiari obiettivi che si

frammentarono all'interno dell’isolamento, sicché la

diplomazia è diventata l'opzione preferita nonostante la

sottomissione inerente. L'isolamento è stato dannoso

per la diffusione del pensiero rivoluzionario, con

conseguenti insostenibili eruzioni sporadiche di

combattimenti cui mancavano sia la pianificazione che la

strategia. Intanto il pensiero rivoluzionario fu confinato

nei circoli intellettuali e accademici, escludendo le classi

sociali che esprimono la volontà di sostenere una

resistenza prolungata per una storica liberazione della

Palestina. Ciò ha ben aiutato il colonialismo, ed il suo

racconto egemonico che determina la definizione dei

palestinesi solo attraverso la leadership palestinese

ufficialmente riconosciuta, mentre oscura

intenzionalmente il resto, in moda da eliminare ogni

possibile riconoscimento e manifestazione degli intenti

rivoluzionari palestinesi.

Le complicazioni incontrate dalla resistenza palestinese

derivavano, dunque, da un insieme di fattori esacerbati

da forme di sottomissione, che "confondono il pensiero

politico rivoluzionario con i metodi politici superati." Il

rifiuto consapevole dell’ipocrisia diplomatica ed

l’opposizione unificata a negoziati politici basati

sull’invalidazione delle ragioni e della storia dei

palestinesi sono, perciò, necessari per rivalutare la

Resistenza palestinese come processo concreto che

combatte specifiche entità oppressive e che si oppone ai

travisamenti ed alle ambiguità diffuse dal “nemico”. A

questo proposito, il Manifesto del FPLP si addentra in

un'analisi dettagliata, particolarmente rilevante per lo

scenario contemporaneo, di ciò che costituisce il

nemico.

Il riconoscimento del nemico comprende quattro entità

specifiche che, combinate, richiedono una resistenza

formidabile basata sia sulla lotta rivoluzionaria

palestinese che sull’internazionalismo. Secondo il

Manifesto, Israele, il Movimento Mondiale Sionista,

l’Imperialismo e la Reazione Araba costituiscono le forze

principali che impediscono la liberazione della

Palestina. Come si vedrà, ogni entità separata

costituisce un link che conduce alla dominazione

regionale e internazionale, ben diverso dalla

frammentazione evocata nel discorso tradizionale

derivato dal mito sionista e dalle giustificazioni

internazionali dell’oppressione di istituzioni come le

Nazioni Unite.

Iniziando da Israele, il Manifesto descrive lo stato

colonialista come un’entità che basa la sua dominazione

su un indottrinamento diffuso sostenuto dalle sue

istituzioni. Tuttavia confinare il nemico solo in Israele

non solo indebolisce la comprensione della superiorità

esibita nei suoi “exploit” militari, ma anche i processi

storici e, quindi, internazionali dell’oppressione, che

hanno permesso la creazione di uno stato colonialista in

Palestina. Da qui anche l'importanza, di dare una

definizione di Israele attraverso il colonialismo che si

oppone a quella di una isolata occupazione militare,

definizione che non è in grado di includere la

preoccupazione permanente di Israele sia sul piano

ideologico che territoriale. Come dice Nur Masalha

(2000), “ La “Grande Israele” è sia un concetto

territoriale che ideologico volto ad ottenere la massima

espansione territoriale e di dominio imperiale nella

regione”. Questa premessa fondamentale espressa da

Masalha e sottintesa nel Manifesto, espone la

complessità di un’ostilità che si giova dell'intenzionale

assenza di confini – un riflesso della connessione

integrale dello stato sionista al Movimento Sionista

Mondiale e alle sue attività di lobbying aggressiva.

Come dice il Manifesto, “Nella nostra battaglia con

Israele, abbiamo di fronte non solo Israele, ma un

Israele la cui struttura si fonda sulla forza del movimento

sionista”. La prospettiva qui si allarga a comprendere ciò

che il Manifesto chiama "una forza materiale" – una

struttura, cioè, che collega Israele al movimento sionista

internazionale che la conferma con la diffusione della

propaganda, la forza militare e le alleanze, che devono

essere contrastate strategicamente dalla Resistenza

palestinese. Dentro la sua giustificazione, Israele ne

impone una ipotetica per generare l’idea di uno stato

inerme che è stato preso sotto custodia dai suoi alleati

ed è promosso dalle istituzioni internazionali imperialiste

che consenta di esprimere "il diritto di Israele a

difendersi". Questa strategia è ripetutamente promossa

dalle Nazioni Unite ogni volta che si manifesta la furia

omicida dello stato colonialista con operazioni che

vengono poi isolate in modo da eliminare ogni traccia di

contesto storico, tra cui l'ovvio riferimento alla Nakba del

1948. In definitiva, dettami e narrazioni imperialiste

guidano ogni discorso che emana da organizzazioni

internazionali quando Israele tenta di consolidare la sua

posizione nella regione.

La definizione dell’imperialismo attraverso la sua

dimensione internazionale ed il sistema di riferimento del

sionismo è di primaria importanza per la resistenza dei

palestinesi. La persistenza di una condizione di

soggiogamento con particolare riferimento alla Palestina

ed al Medio Oriente si traduce, in questo caso, nel

brutale annientamento della legittima resistenza

all’espropriazione della terra, lo sfruttamento delle persone e delle risorse.

L’illegale esistenza di Israele

nella regione costituisce una base di potere tramite il

quale l’imperialismo può consolidare le sue conquiste e

fomentare ulteriori disordini le cui ramificazioni possono

essere viste nel più ampio quadro delle instabilità e delle

alleanze che continuano a minacciare le popolazioni

civili, facilitando il processo di usurpazione. Mentre

Israele agisce come base di potere dell’imperialismo

nella regione, l’imperialismo a sua volta ne facilita

l’espansione coloniale. La protezione, il rafforzamento, il

sostegno ad Israele ed il mantenimento della sua

esistenza, sono questioni di importanza fondamentale

per gli interessi dell’imperialismo mondiale. A sua volta

quella che nel Manifesto si definisce il quarto nemico

della resistenza palestinese, la Reazione Araba, è

chiaramente un’estensione della base che sostiene gli

interessi coloniali ed imperialisti nella regione. “Nella

battaglia concreta di liberazione intrapresa dalle masse

per distruggere l'influenza imperialista nella nostra

Patria, la Reazione Araba non può che essere dalla

parte dei propri interessi, la cui prosecuzione dipende

dalla persistenza dell’imperialismo, e di conseguenza

non può schierarsi con le masse. "Il perpetuarsi del

conflitto tra i leader arabi e le masse è un'estensione

degli ostacoli alla liberazione palestinese; da cui

discendono i continui tentativi di soggiogare i movimenti

di resistenza in accordo con le imprese coloniali e

imperialiste, nel timore che il trionfo delle masse possa

minacciare l'esistenza di autorità oppressive.

Data l’estensione regionale ed internazionale delle forze

nemiche che si oppongono alla liberazione dei

palestinesi, è ancora più importante garantire una chiara

strategia volta alla vittoria, quella che si articola

dall’interno dell’esperienza palestinese e che evita

l’improvvisazione, in particolare, le innovazioni che

emanano dalle interpretazioni imperialiste di ciò che

dovrebbe essere uno stato palestinese. È necessario,

quindi, applicare una coscienza rivoluzionaria dando

una teoria alle masse per stabilire una corretta

organizzazione, stringere alleanze rivoluzionarie e

affermare la resistenza armata come un diritto legittimo

per la liberazione. La storia ha provato, particolarmente

con l’esperienza di Fidel Castro e la Rivoluzione

Cubana, che l’unico mezzo per resistere all’aggressione

coloniale ed imperialista è la resistenza armata. Altri

processi rivoluzionari in America Latina, come quello di

Salvador Allende in Cile, sono stati brutalmente

schiacciati principalmente attraverso l'adesione al

cosiddetto "quadro democratico", col risultato di

(Continua da pagina 25) repressioni, uccisioni e desaparecidos. C’è bisogno della

presa di coscienza che, senza liberazione, la retorica

della democrazia è limitata alla interpretazione e alla

gestione dello sfruttamento della violenza coloniale e

imperialista.

Nei mesi recenti, il discorso diplomatico ha insistito per

risolvere la questione di uno “Stato Palestinese” come

appendice, spogliato di autonomia e indipendenza. La

tattica, inerente alla corrotta democrazia sposata

dall'Occidente, capovolge quella sancita all'interno di

movimenti di liberazione. Invece di affermare la giusta

posizione della Resistenza, l'Autorità palestinese ha

riaffermato la sua complicità, la contrattazione su

prigionieri palestinesi per garantire la perpetua

espansione coloniale di Israele collaborando con Israele

nella detenzione dei palestinesi prima del massacro

chiamato Margine di Protezione e, all'interno di un breve

lasso di tempo dopo il compromesso del cessate il

fuoco, ritornando al discorso dei negoziati, mentre

mirava a gettare nel dimenticatoio la rinnovata

Resistenza palestinese. Rivisitare il Manifesto del FPLP

in un momento così cruciale nella storia palestinese

ricorda l'importanza delle classi subalterne – il

fondamento della rivoluzione abitualmente trascurate a

favore di narrazioni egemoniche. Con la leadership

palestinese ufficialmente riconosciuta e disponibile ad

ulteriori concessioni, tra cui l'approvazione di una

infiltrazione internazionale a Gaza, spetta ai movimenti

di resistenza e al popolo determinare la lotta di

liberazione con tutti i mezzi necessari, compreso il

ripudio della legittimità concessa dall'imperialismo alle

forze oppressive ovunque in Palestina.


*Ramona Wadi, è una giornalista maltese che

ringraziamo anche per questo contributo dopo quello

che abbiamo pubblicato sul n. 1 Febbraio 2014 di

Gramsci oggi col titolo “Contro il travisamento

imperialista del ruolo di Fidel Castro nella Rivoluzione

Cubana”. I suoi scritti trattano problemi concernenti la

lotta per la memoria in relazione alla Palestina ed al Cile,

la legittimità storica, la correlazione tra aiuto umanitario

e abusi umani, le Nazioni Unite come istituzione

imperialista, l’antimperialismo ed il pensiero politico

dell’America Latina. Scrive regolarmente per Middle East

Monitor, Upside Down World ed altre riviste, nelle

pubblicazioni accademiche per la Holy Land Studies e il

Center for Latin American Studies, l’University of

California, Berkeley. I suoi articoli sono stati tradotti in

Spagnolo, Italiano, Portoghese, Francese, Turco e Farsi.

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