Fonte: independent.co.uk
Comedonchisciotte.org
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21 luglio 2014

Il lavaggio della memoria
di Robert Fisk
tradotto da Martinochka

Una volta eravamo soliti tenere i ritagli, una mazzetta di ritagli di giornale su tutto ciò riguardo cui scrivevamo: Israele, Libano, Iran, Striscia di Gaza. Occasionalmente leggevamo persino libri. Probabilmente internet ne è la causa, ma nella maggior parte delle nostre inchieste sembra che la storia sia cominciata solo ieri, o la scorsa settimana.

Per gli snob questa si chiama perdita di memoria istituzionale. Noi giornalisti sembra che ne soffriamo molto di più degli altri. Sospetto invece che i nostri lettori non ne risentano. Eccoci al punto…

“Israele ha ignorato i crescenti appelli internazionali per la tregua e ha dichiarato che non interromperà il suo assalto paralizzante su Gaza fino a che ‘la pace e la tranquillità’ non saranno state raggiunte nelle città meridionali d’’Israele sulla traiettoria di lancio dei razzi palestinesi… ..I delegati arabi hanno incontrato il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite a New York, esortando i membri ad adottare una risoluzione per un’immediata fine degli attacchi israeliani e un cessate il fuoco di tipo permanente.” Questo un resoconto dalla Press Association.

Ora un editoriale dal conservatore Canadian National Post: “Noi (sic) nutriamo una grossa simpatia per la gente comune di Gaza. L’attacco di Israele di questa settimana su un’infrastruttura terroristica all’interno di un’area minuscola e popolatissima dev’essere stato indubbiamente di estrema difficoltà per loro… dal momento che gli ufficiali e gli agenti di Hamas li usano come scudi umani. Ma ricordate: tutto ciò che è stato richiesto di fare per anticipare questi attacchi è stato fatto per fermare la violenza dei palestinesi contro gli israeliani.”

E adesso arriva The Guardian: “Ieri, quando tre dei suoi bambini giacevano morti sul pavimento dell’ospedale, Samouni era in un letto qualche piano più sopra nell’ospedale Shifa, mentre cercava di riprendersi dalle ferite a gambe e spalle, e di confortare suo figlio Mohamed di 5 anni, con un braccio spezzato… ‘è un massacro,’ diceva Samouni. ‘Noi vogliamo solo vivere nella pace’.”

E, giusto per non farci mancare nulla, ecco anche la Reuters: “Ieri nella zona della striscia di Gaza dominata da Hamas, Israele ha trasformato la sua offensiva aerea nella più feroce mai vista in decenni, e si è preparata per un possibile assalto via terra, appena dopo un bombardamento durato 3 giorni che ha ucciso 300 palestinesi… Gli aerei [israeliani] hanno anche attaccato le case di due dei capi del braccio armato di Hamas. I capi non erano sul posto, ma tra i 7 morti c’erano diversi membri delle rispettive famiglie.”

E ultimo ma non per importanza, ecco lo scrittore Robert Fulford per il Canadian Post: “Israele ha già dato prova di sé per essere la nazione più moderata nella storia. Ha stabilito il record imbattuto di moderazione”.

Ora sicuramente voi avete familiarità con tutto ciò che avete letto sopra. Dalla scorsa settimana, Israele ha bombardato continuamente Gaza per evitare che i missili di Hamas colpissero Israele. I palestinesi patiscono in modo sproporzionato, ma tutta la colpa e’ di Hamas. Ma c’è un problema.

Il resoconto della Press Association è stato pubblicato il 6 gennaio 2009 – cinque anni e mezzo fa! L’editoriale del Post il 2 gennaio dello stesso anno. Il comunicato del Guardian il 6 gennaio 2009, quello della Reuters il 30 Dicembre dell’anno precedente – il 2008. Il non-sense di Fulford è stato pubblicato il 5 gennaio 2009.

Curiosamente, nonostante ciò nessuno ci ricorda che la carneficina di questi giorni è un’osceno replay – da entrambi i lati – di ciò che è già successo in precedenza, e sicuramente anche prima di allora. Lo storico di sinistra Illan Pappe, israeliano, ha preso nota di come, il 28 dicembre 2006, l’organizzazione israeliana per i diritti umani B’Tselem ha riportato che 660 palestinesi sono stati uccisi solamente durante quell’anno, soprattutto a Gaza, compresi 141 bambini; e che dal 2000 le forze armate di Israele hanno ucciso almeno 4000 palestinesi con altri 20 mila feriti. Ma a stento c’è mai stato un solo accenno a tutto ciò in un qualsivoglia reportage del recente massacro della guerra di Gaza.

Perché? Perché noi lettori – lasciamo da parte noi giornalisti – ci permettiamo di partecipare a questa che io chiamo una passata di strofinaccio della memoria collettiva? Perché siamo pigri? Perché ce ne freghiamo? O perché temiamo che le spiegazioni sui ricorrenti spargimenti di sangue in Israele possano spingere i lettori a cercare delle ragioni più profonde e che gli “amici” esteri di Israele possano accusare noi poveri indifesi giornalisti di suggerire che Israele – e lasciamo stare Hamas e la sua corruzione – sia coinvolta in una guerra molto ma molto più impietosa, infinitamente più maligna e oscena di quanto viene dipinto nei nostri scialbi reportage in stile di agenzia?

Non c’è nulla di nuovo nel ripulire la memoria. Prendiamo inoltre questo avvertimento di guerra civile in Libano, pubblicata sull’Indipendent: “Per il Libano questi sono tempi duri… da quando la comunità alawita che detiene il potere politico in Syria è in effetti sciita e la maggioranza di siriani è invece sunnita, non è difficile comprendere gli incubi più cupi che affliggono la gente di questa terra. Se il conflitto civile in Iraq si muovesse verso ovest, questo potrebbe aprire delle faglie religiose da Baghdad al Libano… una prospettiva fantastica per l’intero mondo arabo”. Ahimè, questo è stato scritto da me, R. Fisk, il 7 luglio 2006 – quasi esattamente 8 anni fa – e pubblicato a pagina 29.

E giusto per finire, ecco un resoconto di Reuters da Mossul che suonerà anche troppo familiare ai lettori in queste ultime settimane: “I ribelli hanno appiccato incendi alle stazioni di polizia, rubato armi e vagato sfacciatamente per le strade di Mossul, cosicchè la terza città più grande dell’Iraq è sembrata scivolare fuori dal controllo…” Un piccolo problema, chiaramente. Questo comunicato della Reuters è archiviato nel 2004 – 10 anni fa! In quell’occasione, fu l’esercito americano, e non quello iracheno, a riprendere Mossul dalla presa degli insorti (per la seconda volta, tra l’altro).

Ho paura che questo lavaggio della memoria sia piuttosto un fatto di contesto. È tutto incentrato sul modo in cui gli eserciti e i governi vogliono che noi crediamo – o dimentichiamo – ciò che loro fanno, gira tutto sulla copertura storica, e c’entra – e qui cito la favolosa giornalista israeliana Amira Haas – “il monitoraggio dei fulcri di potere”.

La domanda che dovremmo fare – una domanda che molti lettori e spettatori televisivi si sono continuati a porre – è: non eravamo a questo punto già prima? E se sì, qual è il perché di questa perpetuata performance?

Robert Fisk, giornalista inglese da decenni inviato sui fronti di guerra, è noto anche per essere l’unico inviato occidentale ad avere intervistato per tre volte, negli anni ’90, Osama Bin laden. E’ autore di Il martirio di una nazione. Il Libano in guerra e di Cronache mediorientali per Il Saggiatore.

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