Originale: Aljazeera
Torturare Gaza
Per la terza volta negli scorsi sei anni, Israele ha crudelmente scatenato tutta la furia della sua macchina militare contro il milione e 700.000 palestinesi indifesi, infliggendo pesanti perdite di vite umane e ulteriore devastazione alla Striscia di Gaza da assediata da lungo tempo e impoverita. Con disprezzo cinico delle realtà di questo ultimo scontro tra Israele e Palestina, invece di condannare l’attuale ricorso alla massiccia violenza come “aggressione” che viola la Carta dell’ONU e i principi fondamentali della legge internazionale, la reazione dei diplomatici occidentali e dei media tradizionali, si sono perversamente schierati con Israele. Dal Segretario Generale dell’ONU al presidente degli Stati Uniti, si è insistito principalmente sul fatto che Hamas deve smettere tutti gli attacchi con i razzi, mentre a Israele si chiede cortesemente come non mai di mostrare il “massimo controllo”. Finora gli attacchi di Israele hanno causato oltre cento morti (molte dei quali sono donne e bambini) e parecchie centinaia di feriti, mentre si riferisce che il lancio di oltre cento razzi da Gaza deve ancora causare una singola morte o ferimento, sebbene ci siano notizie che nove israeliani sino stai feriti mentre fuggivano verso i rifugi. Condanna politica Garantito che tali attacchi indiscriminati di razzi sono forme illegali di resistenza, ma isolare questo tipo di resistenza minore e sottovalutare la violenza maggiore distorce il contesto in modi faziosi e inaccettabili. Sicuramente la maggiore occasione di terrore è quella inflitta sugli abitanti di Gaza inermi come viene rivelato paragonando le cifre delle vittime e certamente la condanna politica da parte dei governi e ancora di più da parte dell’ONU, dovrebbe essere diretta all’aggressore, che si dà il caso sia anche l’unico protagonista politico con i mezzi per porre fine alla violenza crescente. La reazione internazionale a questa ultima crisi conferma a tutti coloro che hanno occhi per vedere, che gli allineamenti geopolitici, non la legge o la giustizia, dominano la diplomazia dei principali stati occidentali e dell’ONU, quando si tratta del Medio Oriente, e specialmente se riguarda Israele e Palestina, e mai così tanto come in rapporto a Gaza. Dopo diversi giorni di attacco da parte di Israele, denominato in modo egocentrico in codice “Margine Protettivo”, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama si è offerto di mediare un ritorno al cessate il fuoco del 2012 che era stato programmato con i buoni uffici dell’Egitto dopo il precedente violento attacco a Gaza. Se il governo degli Stati Uniti, protettore e sostenitore palese di Israele, ha la credibilità di avere un tale ruolo di mediazione, è piuttosto dubbio. E’ possibile che Hamas, indebolito dagli sviluppi della situazione in Egitto e altrove nella regione, e dalla disperazione di una popolo terrorizzato e totalmente vulnerabile, possa accettare una mossa di questo genere anche se venisse escluso dal partecipare direttamente ai negoziati, il che significherebbe dipendere dall’Autorità Palestinese per rappresentare gli interessi di Gaza. Dopo tutto, Hamas, sebbene abbia prevalso in giuste elezioni nel 2006, rimane una “organizzazione terrorista” secondo l’establishment della diplomazia occidentale, anche se è in anni recenti è stato per lo più il bersaglio del terrorismo di stato israeliano, e gli si dovrebbe permettere di agire diplomaticamente in nome di Gaza. Attualmente, il problema potrebbe essere irrilevante, dato che Benjamin Netanyahu aggressivamente insiste che nessuna quantità di pressione internazionale porterà Israele a smettere il suo attacco fino a quando non si ottengano gli obiettivi dell’operazione militare. Un aspetto dell’approccio distorto alla responsabilità della violenza a Gaza è il rifiuto dell’Occidente di tenere conto della relazione esistente tra Margine Protettivo e il rapimento ed uccisione del 12 giugno dei tre coloni adolescenti israeliani e l’aumento della violenza vendicativa, che è culminata nell’assassinio raccapricciante del diciasettenne Mohammed Abu Khdeir. Reazione isterica Senza neanche rivelare le prove che legano Hamas a questo crimine atroce, il governo di Netanyahu e i media israeliani hanno reagito in modo isterico, provocando immediatamente una campagna violenta contro Hamas in tutta la Cisgiordania e a Gerusalemme Est, compresi gli attacchi aerei a Gaza, invitando in modo provocatorio la cittadinanza israeliana a reagire conto i palestinesi. In questa atmosfera infiammata, il governo israeliano ha intrapreso una massiccia campagna di punizione collettiva, un crimine di per se stesso; centinaia di palestinesi che si pensava fossero associati con Hamas, arrestati e messi in prigione; demolizione delle case dei sospetti; uccisione di sei palestinesi, l’isolamento di intere città, attacchi aerei contro Gaza. Tutto questo è stato fatto malgrado l’opinione montante di osservatori indipendenti che il crimine contro i giovani israeliani era stato eseguito da due palestinesi non affiliati ad Hamas, forse con il piano iniziale di trattare per il rilascio di prigionieri palestinesi in cambio. Non è mai stato asserito nei circoli diplomatici occidentali di alto profilo che quel crimine orribile ha fornito a Netanyahu un pretesto per una campagna contro Hamas, che sembra meno motivata da una rappresaglia per il rapimento/uccisione che dall’obiettivo politico di punire la leadership palestinese per aver sfidato il governo di Netanyahu di aver di recente raggiunto una forma di riconciliazione tra l’Autorità Palestinese e Hamas. Ancora più sullo sfondo c’è l’interesse di Israele di allontanare la responsabilità da se stessi per il fallimento dei negoziati di Kerry sfumati alla fine di Aprile. Finora, Israele ha soddisfatto le richieste di controllo di una disponibilità di Hamas per un cessate il fuoco con disprezzo. Voci di una disponibilit di Hamas per un cessate il fuoco sono state ignorate. I capi di Israele hanno reagito in maniera ribelle facendo capire che Margine Protettivo non cesserà fino a quando l’infrastruttura di Hamas non sarà distrutta, probabilmente per assicurarsi che nessun razzo venga mai di nuovo lanciato da Gaza. Quando i civili palestinesi vengono uccisi per i perseguire un obiettivo così vago, questo vien razionalizzato dai funzionari israeliani come un effetto collaterale spiacevole di quello che i capi israeliani sostengono ora sia un’impresa militare legittima. Con una caratteristica affermazione distorta, Netanyahu ha dichiarato: “Non siamo avidi di battaglia, ma la sicurezza dei nostri cittadini e figli ha la precedenza su qualunque altra cosa.” Alcuni dei massimi funzionari israeliani sono andati oltre il primo ministro. Il ministro della Difesa Moseh Yalon ha chiesto la distruzione totale di Hamas, che equivale a cercare una licenza di caccia in relazione alla gente di Gaza intrappolata e alla popolazione oppressa della Cisgiordania e di Gerusalemme Est. Il vice ministro della difesa, Dani Dayon, ha pubblicamente sollecitato Israele a tagliare il combustibile e l’elettricità a Gaza. Se viene attuata una tale misura, essa praticamente garantirebbe una crisi umanitaria mostruosa. Mentre Gaza brucia, i perditempo all’ONU si accontentano di preoccuparsi del testo di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza che è stata proposta. Si è riferito che Israele e gli Stati Uniti stiano usando tutta l’influenza che hanno a loro disposizione per evitare le condanne per gli attacchi aerei israeliani su obiettivi civili a Gaza e che sperano perfino il testo finale di qualsiasi risoluzione includerà la formulazione che ogni stato sovrano abbia il diritto di proteggersi. Sembra ora che non ci sarà alcuna risoluzione, e dato gli Stati Uniti sembra che rifiutino di accettare la formulazione dei redattori della risoluzione. Gesti simbolici In base alla reazione globale deludente per l’aggressione di Hamas, dovrebbe essere chiaro che la lotta palestinese per l’autodeterminazione e la giustizia è necessario che sia intrapresa in tutto il mondo principalmente a livello popolare. Non è mai sembrato così sensato e moralmente necessario che le persone di buona volontà prestino il massimo sostegno alla campagna del BDS (boicottaggio, disinvestimento e sanzioni) che in ogni caso ha continuato a crescere con rapidità. E’ anche ora di chiedere che i governi adottino sanzioni che cerchino di ottenere che Israele si ritiri dall’occupazione della Palestina. Un’ulteriore reazione appropriata sarebbe che l’Assemblea Generale dell’ONU raccomandi che venga imposto a Israele un embargo sulle le armi. Sarebbe un gesto in gran parte simbolico dato che Israele è diventato un grosso produttore fabbricante di armi per molti paesi e fa un discorso per la promozione delle vendite che mette in risalto i benefici di armamenti “testati-sul campo”. E’ dolorosamente evidente che la diplomazia tra stati e l’ONU non sono riusciti a produrre una pace giusta, malgrado decenni di colloqui inutili. E’ ora di riconoscere che questi colloqui sono stati portati avanti in malafede: mentre i diplomatici erano seduti attorno al tavolo, gli insediamenti israeliani si espandevano, le strutture dell’apartheid intensificavano la loro presa sulla Cisgiordania e su Gerusalemme, e Gaza veniva chiusa come un’enclave in ostaggio per essere attaccata da Israele quando vuole e perché ne venga preteso un sacrificio cruento . Perlomeno, il Segretario Generale della Lega Araba, Nabil al-Araby, ha condannato la “pericolosa escalation israeliana”, ha sollecitato il Consiglio di Sicurezza ad “adottare misure per fermare l’aggressione israeliana contro la Striscia di Gaza”, e ha messo in guardia circa le conseguenze umanitarie. La Turchia e l’Iran hanno diffuso dichiarazioni ufficiali su analoghe linee. Attualmente c’è così tanta turbolenza a livello regionale, che è improbabile sperare in qualcosa di più che denunce verbali sporadiche da parte delle autorità della regione che hanno altre preoccupazioni, ma, data la gravità della situazione, è necessario che l’attenzione venga di nuovo focalizzata sulle traversie dei palestinesi. E’ necessario fare urgentemente pressione su Israele per proteggere il popolo palestinese da ulteriori tragedie. I vicini arabi di Israele e gli stati europei che ha lungo dominato nella regione, sono messe alla prova come mai prima a fare la cosa giusta, ma non è sicuro che si decida qualsiasi azione costruttiva a meno che l’opinione pubblica regionale e globale diventi sufficientemente furiosa in modo da esercitare una vera pressione su questi governi. Perseguire tale obiettivo dovrebbe ora diventare la massima priorità del movimento di solidarietà globale palestinese. Richard Falk è Professore Emerito di Legge Internazionale alla Cattedra intitolata a G.Milbank all’Università di Princeton e Ricercatore al centro Orfalea di Studi Globali. E’ anche Inviato Speciale delle Nazioni Unite per i diritti umani dei palestinesi. Da: Z Net Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: http://zcomm.org/znet/article/tromenting-gaza
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