Il Manifesto Mohammed Deif, il leader militare, blocca la tregua umanitaria Il capo delle Brigate Al Qassam è il vero leader del movimento islamista. Mentre l’ufficio politico è pronto a negoziare con Fatah, l’ala militare non intende cedere e dice no al cessate il fuoco se Israele non allenta l’assedio. Gaza City, 31 luglio 2014, Nena News Il vero leader di Hamas in questo momento è Mohammed Deif, il capo delle «Brigate Ezzedin al Qassam», braccio armato del movimento islamico, impegnate nello scontro militare più duro e prolungato avuto con le forze armate israeliane dalla loro formazione nel 1992. I mezzi d’informazione hanno sottovalutato l’importanza del messaggi di Deif che martedì sera hanno diffuso la radio e la televisione di Hamas. Non si è messo in relazione diretta quel messaggio con il caos di annunci e smentite registrato qualche ora prima al Cairo, quando nel pomeriggio è stata riferita la disponibilità di tutte le fazioni palestinesi, Hamas incluso, a fermare le ostilità, seguita da una secca smentita. A bloccare il via libera alla tregua umanitaria di 24 ore, da estendere fino a 72 ore, è stato l’intervento di Mohammed Deif che, a sera, ha addirittura scelto di apparire pubblicamente (cosa rarissima) per ribadire che Hamas non accetterà «nessun cessate-il-fuoco senza la fine dell’aggressione (militare israeliana) e senza l’eliminazione dell’assedio», vale a dire del blocco della Striscia di Gaza da parte di Israele e dell’Egitto. Parole che hanno messo a tacere il leader politico di Hamas Khaled Meshaal e il suo vice Musa Abu Marzouq. Ormai è evidente che in Hamas ha preso il sopravvento l’ala militare. Meshaal e Abu Marzouq, ci spiega una nostra fonte di Gaza che ha chiesto l’anonimato, sono favorevoli a una via d’uscita alla crisi da concordare con le altre forze palestinesi, a cominciare da Fatah di Abu Mazen. «I due ci dice la fonte sono convinti che Hamas non riuscirà ad ottenere ciò che ha chiesto ad inizio dello scontro armato con Israele, a cominciare dall’apertura totale dei valichi, e che l’emergenza umanitaria (provocata dall’attacco di terra israeliano,ndr) se continuerà ad aggravarsi non potrà che ritorcersi contro Hamas». Meshaal ha aggiunto la fonte «ritiene che la situazione si sia comunque mossa e che l’avvio di una trattativa rappresenti comunque un riconoscimento del movimento islamico che, pertanto, potrà uscire dall’isolamento politico in cui è stato tenuto nell’ultimo anno. In questo quadro, pensa Meshaal, la riconciliazione nazionale palestinese va rilanciata e non abbandonata». Risultati, ipotetici, che non sono neppure presi in considerazione dall’ala militare che nelle tre settimane di scontro con Israele ha conquistato ulteriori posizioni in Hamas e messo nell’angolo Meshaal e Abu Marzouq, a vantaggio dei dirigenti di Gaza, a cominciare dall’ex premier Ismail Haniyeh e dall’ex ministro degli esteri Mahmud Zahar, che ora sta realizzando la sua vendetta politica dopo essere stato messo ai margini due anni fa dai leader in esilio. Mohammed Deif, 54 anni, sfuggito nel settembre 2002 ad un «omicidio mirato» da parte di Israele che lo ha lasciato disabile fisicamente, ha ripreso il pieno controllo del braccio armato di Hamas dopo l’uccisione di Ahmed Jaabari nel novembre 2002 (all’inizio dell’offensiva aerea «Colonna di Difesa»). È stato uno dei teorici, assieme a Nidal Farhat e Adnan al-Ghul, del programma missilistico che ha dotato Hamas di razzi, prodotti localmente o giunti a Gaza attraverso i tunnel con l’Egitto, che nelle ultime tre settimane hanno raggiunto città israeliane distanti anche 200 km dalla Striscia. Razzi che si sono dimostrati un’arma di forte pressione psicologica sulla popolazione di Israele e che unita alle azioni di commando attuate dalle unità speciali di «Ezzedin al Qassam», in cui sono rimasti uccisi numerosi soldati israeliani, hanno fatto crescere il prestigio dell’ala armata del movimento a danno della dirigenza politica. Deif e gli altri comandanti militari affermano che «Hamas sta vincendo» e che le sofferenze della popolazione di Gaza sono un prezzo da pagare per la vittoria finale, anche se a conti fatti il movimento islamico sino ad oggi non ha ottenuto la realizzazione di neanche una delle sue richieste. Dall’altro lato c’è Israele che punta proprio sui bombardamenti sempre più indiscriminati, sull’emergenza umanitaria e le sofferenze di oltre 200mila sfollati per costringere Hamas ad accettare un cessate il fuoco incondizionato. Una tenaglia che schiaccia la popolazione civile palestinese.
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