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30/07/2014

Colpita un'altra scuola dell'Onu, portavoce UNRWA "nessun luogo è sicuro a Gaza"

Peres, l'operazione militare "è esaurita" e "alla fine della giornata" di oggi anche "dall'altra parte si arriverà alla conclusione che la più grande vittoria è porre fine alla guerra". Esponente di Hamas, speriamo in un intervento di Hezbollah. Iniziativa diplomatica del Vaticano.

 E' di almeno 50 morti e 110 feriti, dalla mezzanotte di oggi, il bilancio dei bombardamenti israeliani sulla Striscia di Gaza, intensificati da ieri, dopo la rottura della tregua umanitaria. Sempre oggi, l'esercito israeliano (IDF)  parla di 75 siti colpiti, comprese cinque moschee che, secondo l'IDF, erano usate dai miliziani di Hamas.

Nel computo totale delle vittime, oggi arrivato a quasi 1.300, vanno messi anche alcuni civili, 23 secondo quanto risulta finora, che erano nella scuola dell'Unrwa, l'agenzia Onu per i rifugiati palestinesi, nel campo profughi di Jabaliya. Le persone vi si erano riunite dopo essere stati avvertite dall'IDF che la zona sarebbe stata bombardata. "L'incidente di oggi dimostra che nessun luogo è sicuro a Gaza", ha detto il portavoce dell'Agenzia, Abu Hasna, aggiungendo che "è responsabilità del mondo di dirci ciò che possiamo fare con più di 200mila persone che sono all'interno delle nostre scuole, pensando che la bandiera delle Nazioni Unite le proteggerà". Ieri, lo stesso portavoce dell'Unrwa aveva denunciato il fatto che per la terza volta in due settimane una delle sue scuole era stata usata per nascondere un deposito di razzi.

E mentre a livello internazionale si continua a tentare di fermare il conflitto, all'interno di Hamas, se una delegazione è al Cairo per discutere le possibilità di una tregua, c'è chi ne auspica l'allargamento. Oggi, Moussa Abu Marzouk, uno dei principali aiutanti di Khaled Mashaal, leader politico del Movimento, ha espresso la speranza di un intervento de i libanesi di Hezbollah. "Speriamo - ha detto all'agenzia di stampa russa RIA Novosti - che si apra il fronte libanese e combatteranno" contro Israele.

Da parte israeliana, è di ieri la notizia che il ministero degli Esteri ha informato il primo ministro Netanyahu che è stata avviata la stesura di una risoluzione del Consiglio di sicurezza dell'Onu sui termini per porre fine alla guerra. E' di oggi, invece, un intervento dell'ex presidente della Repubblica, Shimon Peres secondo il quale l'operazione militare "è esaurita" e "alla fine della giornata" di oggi anche "dall'altra parte si arriverà alla conclusione che la più grande vittoria è porre fine alla guerra con negoziati, in una prospettiva di pace". Peres ha anche espresso la convinzione che "la mossa migliore sarebbe quella di restituire Gaza" all'Autorità palestinese, il cui presidente, Mahmoud Abbas "è l'unico che ha l'autorità legittima".

Per la prima volta, infine, si ha conferma ufficiale che anche la Santa Sede sta muovendosi sul piano diplomatico. Intervistato dalla Radio Vaticana, il segretario per i Rapporti con gli Stati, mons. Dominique Mamberti ha infatti dichiarato che "la Santa Sede agisce a diversi livelli. Innanzitutto il Santo Padre stesso ha manifestato in varie occasioni e in modo commosso la vicinanza alle comunità cristiane, in particolare alle famiglie di Mosul, invitando tutti a pregare per loro".

"Da parte nostra - ha detto ancora - quindi la Segreteria di Stato, attraverso i propri canali diplomatici, continua a stimolare l'attenzione delle autorità internazionali e dei governi alla sorte di questi nostri fratelli ed è stata inviata, proprio ieri e oggi, una 'Nota verbale' a tutte le ambasciate accreditate presso la Santa Sede con il testo degli ultimi appelli del Santo Padre concernenti anche più in generale la situazione in Medio Oriente, con la richiesta di far presente il messaggio ai rispettivi governi. Ed è nostro vivo augurio che la comunità internazionale prenda a cuore la questione, giacché sono in gioco principi fondamentali per la dignità umana, il rispetto dei diritti di ogni persona, per una convivenza pacifica ed armoniosa delle persone e dei popoli. L'Iraq e gli altri Paesi del Medio Oriente sono chiamati ad essere un modello di convivenza tra comunità diverse, altrimenti sarebbe una grande perdita e un pessimo presagio per il mondo intero".

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