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30 luglio 2014

Gaza, l’asse Hamas-Fatah è ancora in piedi. Lo dice l’Italia, Kerry è d’accordo
di Lorenzo Biondi

Federica Mogherini ha spiegato ieri che il nostro governo sostiene il governo di unità nazionale palestinese. Con cui Israele si rifiutava di trattare. Il dilemma di Netanyahu

Quando questa guerra sarà finita, il governo della Palestina sarà ancora quello nato dall’accordo tra Hamas e Fatah. Questo almeno chiede l’Italia: lo ha spiegato Federica Mogherini ieri alla camera, in uno dei passaggi chiave del suo discorso sulla crisi in Medio Oriente. Una posizione che l’Italia sosteneva già prima di quest’ultimo conflitto. Ma è proprio qui la notizia: alla fine della guerra con Hamas – dice l’Italia – l’interlocutore palestinese di Israele sarà un governo che include Hamas. E l’Italia non è sola, anzi.

Sono in molti a ritenere che – al di là dell’aspetto militare contro Hamas, con la distruzione dei tunnel che portano in territorio israeliano – in questa guerra il governo di Benjamin Netanyahu abbia un obiettivo politico: mandare all’aria il patto tra Hamas e Fatah, che Israele percepisce come un ostacolo verso i negoziati di pace. Per il governo israliano Hamas è un’organizzazione terroristica, con cui non si può trattare. Naftali Bennett, ministro dell’economia e uomo forte dell’ala destra dell’esecutivo, ieri spiegava che l’obiettivo dell’attacco a Gaza dovrebbe essere l’eliminazione di Hamas. Altro che trattativa e unità palestinese.

L’esplosione del conflitto sembrava poter demolire l’accordo Hamas-Fatah. Nei primi giorni di guerra i due partiti palestinesi si sono scambiati reciproche accuse sulla gestione della crisi. Ma col passare dei giorni la situazione è cambiata. La scorsa settimana Fatah ha fatto proprie tutte le richieste di Hamas nel negoziato sul cessate il fuoco, mediato da Egitto e Stati Uniti. È stato un segnale: l’accordo è ancora vivo. Lo ha ribadito poi Khaleed Meshaal, leader politico di Hamas, in una lunga intervista con Charlie Rose della tv pubblica americana: Hamas vuole la nascita di uno stato palestinese, e l’alleanza con Fatah è lo strumento adatto per quello scopo.

L’accordo quindi resiste in Palestina, ma anche a livello di comunità internazionale. Gli Stati Uniti, quando Hamas e Fatah avevano annunciato la nascita del nuovo governo, avevano reagito con sdegno. Ma John Kerry, nelle settimane successive, era stato categorico: Israele deve trattare anche con l’esecutivo di unità nazionale palestinese. Pare che la guerra non abbia intaccato i propositi di Kerry, anzi. Il segretario di stato americano ha lavorato per quasi a un anno ad un accordo di pace tra israeliani e palestinesi. La trattativa era a buon punto, prima della crisi. Ora, al Dipartimento di Stato, è ancora più chiaro che senza un coinvolgimento diretto di Hamas ogni piano di pace è condannato all’insuccesso.

Per Israele è una situazione delicata. Quando si tornerà a trattare, è probabile che Hamas e Fatah saranno sedute dallo stesso lato del tavolo. Forse è anche per questo che ora Bennett e gli altri falchi chiedono di sradicare Hamas da Gaza e rioccupare la Striscia. Una prospettiva costosa e difficile da sostenere. Anche più di un negoziato col nemico islamista.

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