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27th July 2014

Intrappolati a Beit Hanoun
di Charlie Andreasson

Corremmo verso l'ospedale di Beit Hanoun, la nostra missione era quella di assisterne l'evacuazione. Le forze israeliane avevano già distrutto 13 ambulanze in fila. Abbiamo dovuto lavorare velocemente. Ma siamo stati subito intrappolati, Fred e io; non c’erano più ambulanze; era troppo rischioso con i carri armati israeliani e soldati nella zona. Solo tre pazienti erano rimasti, gli altri erano stati evacuati in tempo. Ma c'era ancora un numeroso e stanco personale medico, c'erano i parenti dei tre pazienti, anche dei civili che si erano rifugiati nell’ospedale, convinti che fosse un luogo sicuro, e c'erano i bambini. Tutto sommato, quasi un centinaio di persone.

Il piano superiore era già stato evacuato e i pazienti trasportati giù. Il tetto dell'edificio era già stato colpito più volte, e tutti erano preoccupati. Nel frattempo, i nostri amici, altri attivisti internazionali a Gaza, hanno organizzato rapidamente una conferenza stampa presso il principale ospedale di Gaza, Al-Shifa, dove i media sono sempre presenti, per aumentare la consapevolezza di ciò che stava accadendo a Beit Hanoun.

Un medico a Beit Hanoun ci ha detto che i nostri amici erano in TV. Siamo andati nella stanza in cui diversi medici stavano guardando lo schermo e Fred si avvicinarono per ascoltare più chiaramente. In quel momento, un carro armato israeliano ha sparato al muro proprio sopra di noi al piano di sopra. Frantumi di vetro sono caduti per la stanza, insieme a tutto ciò che era sugli scaffali. La luce si è spenta. Fred, che è rimasto ferito dal vetro, ha cominciato a sanguinare dalla testa; fortunatamente non ci sono stati feriti gravi.

Ho chiamato Joe, che è andato di nuovo sul podio (in TV), con il rapporto diretto di quanto stava accadendo. Ha chiesto che la Croce Rossa e gli altri organismi negoziassero una tregua per evacuare noi, e insieme ad altri ha cercato di costringere il mondo esterno a prestare attenzione ai crimini di Israele in tempo reale. Ma il lavoro non si è fermato lì. Hanno contattato ambasciate, ministeri degli esteri in un certo numero di paesi, la stampa di tutto il mondo, i politici, anche Anonymous. La stampa ha cominciato a chiamarci in ospedale, ricevendo rapporti diretti mentre le armi militari ruggivano in sottofondo, a volte con esplosioni assordanti dopo colpi diretti e con il suono della paura, persone che urlano e pregano.

Ci siamo rifugiati in un corridoio al centro del piano terra. Ogni tanto le finestre andavano in frantumi; tra il fuoco dei carri armati sentivamo anche il crepitio delle mitragliatrici; un fumo che non era da un normale fuoco ha cominciato a penetrare dentro, e la gente, disperata, ha chiesto, preteso, che li portassimo via, che venissero a orenderci ambulanze, o minibus. Se solo fossi stato in grado di evocarle per loro. L'unica cosa che potevamo fare era di comunicare le notizia che stavamo ricevendo. Era stato promesso un cessate il fuoco di 12 ore dalle 07:00pm, qualcosa più tardi portò l’inizio alle 08:00pm. Molti erano sollevati; altri accolsero le mie parole con scetticismo. E il bombardamento continuò, l'intero edificio tremava, e ci siamo sentiti improvvisamente attraversati, come se una granata fosse passata tra di noi. La batteria del mio telefono era bassa quindi non potevo più ricevere chiamate, non ero più in contatto con il mondo esterno. Fred trovò un caricatore per il suo modello, abbiamo dovuto condividere il suo telefono.

Spesso mi guardavo intorno, posando una mano sulla spalla di chi sembrava più turbato, con la fronte grondante sudore, incontravo gli occhi. Ho cercato di rallegrare i bambini, li ho fatti ridere, li ho fatti chiedere per più trucchi, ho notato come le donne cominciavano a rilassarsi quando i loro figli si divertivano.

Una donna anziana è subito diventata la mia preferita, una donna forte, calma. Ho sorriso con lei e le ho dato il mio panino. Lei era l'unica che l’ha accettato. Ho fatto quello che potevo per rendere tutti meno tesi. Ma onestamente non pensavo che avrei visto di nuovo l'alba.

Più tardi, nelle prime ore del mattino, la maggior parte di noi non reagiva più ai bombardamenti, neppure i bambini. Sei di loro condividevano il materasso, dormivano come se fossero incoscienti. Il resto di noi aspettava, stordito. Abbiamo aspettato per il cessate il fuoco, se ce ne fosse stato uno. In attesa dell'ultimo e definitivo colpo diretto, un attacco aereo che avrebbe fatto crollare il soffitto e le pareti su di noi.

Il tempo passava, erano quasi le sette, la luce filtrava attraverso le finestre alte. La gente ha cominciato a guardarmi, chiedendomi se avrei mantenuto la promessa per il cessate il fuoco. La mia promessa. Quasi le otto, il bombardamento non mostrava segni di cedimento. Dove sono le ambulanze che ci porteranno via da qui? chiedevano in diversi. Ho cercato di spiegare che la situazione deve essere tranquilla per un pò prima che trovino il coraggio di venire fin qui.

8:5. 8:10. Un'altra detonazione. Affonda la speranza.

Poi ci fu silenzio. La speranza è risorta. Alcuni dei medici hanno aperto una porta, siamo andati fuori. Il quartiere era diverso dal giorno prima. Tanta distruzione. Ma non c'erano stati attacchi aerei; non era così male come era stato in Shajiya. Come se ci potessero essere diversi gradi di inferno … Ma eravamo vivi, la nostra sopravvivenza grazie al lavoro febbrile dei miei amici e dei loro contatti, le loro urla e le condanne, la loro pressione sui politici di tutto il mondo, sulla Croce Rossa, sui media. Ma nessuno applaudì.

Un team era venuto prima delle ambulanze. Le strade erano state distrutte, li stavano portando a mano in modo da passare attraverso. L'ospedale è stato svuotato. Sono andato attraverso di esso ancora una volta per assicurarmi che non c'era davvero nessuno. Ho visto il danno, i grandi buchi nelle pareti, i piccoli fori, come una barella si era riempita con del vetro frantumato e malta sotto un elefante dipinto sul muro. Era una stanza che designata per i bambini.

Ce ne siamo andati, Fred e io, l'ultimo a lasciare. Ovunque la gente ha cercato disperatamente i parenti tra le macerie di quella che era stata loro case, i beni che potrebbero essere recuperati. Le persone che hanno perso tutto. Avrei dovuto aiutarle, ma ero stanco, mentalmente stanco, ma anche loro erano stanchi, e la mia cattiva coscienza è cresciuta più forte. Ho dovuto restare e li ho aiutati a scavare tra le macerie.

Il cessate il fuoco è stato esteso fino a mezzanotte. Poi Israele è venuto con un'offerta per altre 24 ore di tregua. Estremamente intelligente da parte loro. Tutta la pressione che era statoa costruita dal mondo esterno veniva ora spalata verso Hamas. Dovrebbero accettare la pace o continuare con la violenza? Molto probabilmente significherebbe un ritorno a ciò che era la situazione dopo la guerra nel 2012, un trattato di pace che Israele ha mostrato chiaramente di non avere alcuna intenzione di rispettare. I pescatori hanno continuato a essere attaccati, gli agricoltori sono stati presi di mira dai cecchini, il blocco è continuato.

E questo è esattamente ciò di cui si tratta, non di creare sicurezza per la popolazione civile di Israele. Ma di continuare il blocco di Gaza, continuare la colonizzazione in atto di un territorio che non appartiene a Israele. Si tratta di impedire l'unità politica tra Gaza e la Cisgiordania, una unità che Israele vede come una minaccia al suo controllo. Senza l'unificazione e la fine della colonizzazione e del blocco di Gaza, la guerra divamperà di nuovo, con più ospedali demoliti con le persone all'interno. Più bambini che perdono i genitori e genitori che perdono i loro figli, e le persone perderanno la loro fiducia nel futuro e la possibilità di libertà e giustizia.


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27th July 2014

Trapped in Beit Hanoun
by Charlie Andreasson 

We raced towards the hospital in Beit Hanoun, our mission was to assist in the evacuation of the hospital with the same name. The Israeli forces had already destroyed 13 ambulances in a row. We had to work fast. But we were soon trapped, Fred and I; there would be no more ambulances; it was too risky with Israeli tanks and soldiers in the area.

There were only three patients left, the rest had been evacuated in time. But there was a large and weary staff left, there were relatives of the three patients, there were civilians who had taken refuge in the hospital in belief that it was a safe place, and there were children. All in all, nearly one hundred people.

However a hospital is no safe haven in Gaza; six of thirteen hospitals have been seriously damaged after shelling and air strikes, one has been completely destroyed. That it is a violation of the Fourth Geneva Convention, article 18, does not bother the occupying power, nor do world leaders seem to worry significantly.

The upper floor of the two-story Beit Hanoun Hospital was evacuated; the patients were carried down. The roof of the building had already been hit several times, and everyone was worried. At the same time, our friends, other international activists in Gaza, began the work to raise awareness of what was happening in Beit Hanoun by quickly arranging a press conference at the main Gazan hospital, al-Shifa, where the media is always present.

A doctor at Beit Hanoun told us that our friends were on TV. We went into the room where several doctors were looking at the screen and Fred moved closer to hear more clearly. At that moment, an Israeli tank shot at the wall right over us on the floor above. Shattered glass whirled through the room, along with everything on the shelves. The light went out. Fred, who was injured by the glass, started to bleed from his head; luckily there were no serious injuries.

I called Joe (another ISM activist in Gaza), he went straight back to the podium and gave a direct report of what was happening.  He demanded that the Red Cross and other bodies negotiate a truce to evacuate us, and together with others tried to force the outside world to pay attention to Israel’s crimes in real time. But the work did not stop there. They contacted embassies, foreign ministries in a number of countries, the press around the world, politicians, even Anonymous. The press began calling us in the hospital, receiving direct reports while military weapons roared in the background, occasionally with deafening blasts after direct hits and with the sound of frightened, screaming, and praying people.

We took refuge in a hallway in the center of the ground floor. Every now and then more windows were shattered; between the firing from the tanks we heard the rattle of machine guns; a smoke that was not from any fire began to seep in. And desperate people asked, demanded, that we take them away, that we would get ambulances, or minibuses, to come. If I only had been able to conjure them. The only thing we could do was to inform them the news that we were receiving. That a ceasefire was promised from 07:00, 12 hours ahead, something I later needed to change to 08:00. Many were relieved; others met my words with skepticism. And the shelling continued, the whole building shook, and we felt sudden cross-drafts as if a grenade flew between us. My phone battery was low so I could no longer receive calls, no longer be in contact with the outside world. Fred found a charger for his model; we had to share his phone.

I often looked around, placed a hand on the shoulder of those who seemed most troubled, on whose foreheads were dripping sweat, met their eyes. I tried to cheer up the children, made them laugh, made them beg for more tricks, noticed how the women began to relax when their children were amused.

An elderly woman quickly became my favorite, a strong woman, a calm woman. I smiled with her and  gave her my sandwich. She was the only one who accepted my offer. I did what I could to make everybody less tense. But I honestly did not think I would see the sunrise again.

Later, in the early hours, most of us hardly reacted to the bombardments, the children not at all. Six of them shared the mattress, slept as if they were unconscious. The rest of us waited, dazed. Waited for a ceasefire, if there would be any; waited for the last and definitive direct hit, an air strike that would bring the ceiling and walls down upon us.

Time went by, it was almost seven, daylight seeped in through the high-placed windows. People began to look at me, wondering if I would keep my promise about the ceasefire. My promise. Almost eight, the bombardment showed no signs of abating. Where are the ambulances that will take us from here, asked several. It must be quiet for a while before they will dare to come here, I tried to explain.

Five past eight. 10 past. Another detonation. Hope sank.

Then there was silence. Hope rose again. Some of the doctors opened a door, we went out. The neighborhood was different from the day before. So much destruction. But there had been no air strikes; it was not as bad as it had been in Shajiya. As if there could be different degrees of hell.

But we were alive, our survival a result of the fevered work of my friends and their contacts, their screams and condemnation, their pressure on politicians around the world, on the Red Cross, on the media. But nobody cheered.

A press team came before the ambulances. The roads were destroyed; they were clearing them by hand in order to get through. The hospital was emptied. I went through it one more time to make sure there really was nobody left; viewed the damage, the large holes in the walls, the small holes, how a gurney was filled with shattered glass and grout under a painted elephant on the wall. It was a room that was designated for the children.

We left, Fred and I, the last to leave. Everywhere people desperately searched among the rubble of what had once been their homes for relatives, for possessions that could be saved.  People who lost everything. I should have helped, but I was tired, mentally tired, but they were also tired, and my bad conscience grew stronger. I should have stayed and helped them dig in the rubble.

The ceasefire was extended to midnight. Then Israel came with an offer for an additional 24 hours of truce. Extremely clever of them. All the pressure that had been built up by the outside world they now shoveled over to Hamas. Should they accept the peace or continue with the violence? But it would very likely mean a return to what the situation was after the war in 2012, a peace treaty that Israel clearly showed that it had no intention of respecting. The fishermen continued to be attacked, farmers were shot, the blockade continued.

And that is exactly what this war is about, not to create security for Israel’s civilian population. It’s about continuing the blockade of Gaza, continuing the ongoing colonization of a territory that does not belong to Israel. It’s about preventing political unity between Gaza and the West Bank, a unity Israel sees as a threat to its continued control. Without unification and the end of colonization and the blockade of Gaza, war will flare up again, with more hospitals demolished with people inside. More children who lose their parents and parents who lose their children, and people will lose their faith in the future and the possibility of freedom and justice.

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