Al-Arabiya Fine di un’era per le ONG egiziane Le disposizioni dettate dalla legge attuale minano l’indipendenza effettiva delle ONG egiziane
Il 10 novembre ha segnato la fine di un’era per le ONG egiziane. Ancora non si sa cosa accadrà, ma i tempi si prospettano più duri. Non è la fine, ma in ogni caso l’Egitto ha subito una perdita. Da Mubarak in poi, le amministrazioni egiziane che si sono succedute hanno cercato di stabilire un nuovo regime giuridico per le ONG. Puntualmente, le organizzazioni per i diritti umani e civili hanno espresso il timore che i vari progetti di legge limitassero lo spazio delle ONG piuttosto che regolarlo in maniera adeguata e, altrettanto puntualmente, hanno rivolto l’attenzione sugli impegni giuridici internazionali assunti dall’Egitto. All’inizio di quest’anno, tuttavia, è stato dato un ultimatum: in attesa di una nuova legge, le organizzazioni che lavorano come ONG devono registrarsi in base alla legge del 2002, il cui regime giuridico temono le ONG metterà fine alla loro indipendenza effettiva. In caso di non adeguamento nei tempi stabiliti, saranno perseguite. La direttiva si inserisce in un contesto particolare quello di una “guerra al terrore” che informa gran parte della direzione politica del Paese, unita ad una campagna mediatica che dipinge qualsiasi forma di dissenso come tradimento. Alla base c’è un particolare movente sovversivo: mai le ONG, e la società civile in generale, sono state così demonizzate da tante parti diverse allo stesso tempo. Mentre le pressioni interne sono annullate da un Parlamento inesistente e da una legge draconiana contro le proteste, gran parte della comunità internazionale ha implicitamente accettato la tesi secondo cui la sicurezza viene prima della tutela delle libertà. I più cinici ritengono che gli egiziani, e gli arabi in generale, non sono culturalmente preparati a sistemi politici che proteggono anche i diritti fondamentali. Molti esponenti della classe dirigente egiziana sembrano essere d’accordo, purtroppo, quando sostengono che l’autoritarismo non solo è accettabile, ma addirittura necessario per “tenere sotto controllo” la popolazione. Così facendo, però, ignorano ciò che la storia insegna e cioè che nessuna nazione va avanti senza una società civile vibrante e attiva. Al contrario, cova tensioni sempre maggiori. La conseguenza di questo clima di paura, come sottolinea Amnesty International, è che le ONG egiziane stanno limitando il loro lavoro in difesa dei diritti umani e della legge. La settimana scorsa, ad esempio, molte non hanno partecipato alla Revisione Periodica Universale dell’ONU, per timore di ritorsioni da parte delle autorità. Ad ogni modo, alla luce di restrizioni sempre maggiori e dell’eventuale chiusura di queste organizzazioni, mai la comunità internazionale ha guardato alla questione dei diritti in Egitto con tanta attenzione. Sebbene in nome della sicurezza regionale l’interesse per le libertà sociali per ora verrà messo da parte, ad un certo punto non sarà più possibile farlo. Prima la comunità internazionale capirà che la piena tutela dei diritti umani deve essere parte integrante di qualsiasi strategia di sicurezza, prima questo momento arriverà. La domanda ora è: come si configurerà l’attivismo delle ONG egiziane nel frattempo? Queste organizzazioni sono abbastanza radicate e sviluppate da diventare un punto di riferimento per la popolazione egiziana e di tutta la regione? Parafrasando Benjamin Franklin, si può dire che in Egitto niente è certo, tranne la morte e i giovani. E saranno proprio loro a decidere non se, ma come il movimento per i diritti fondamentali risponderà alla prossima fase. Siamo di fronte ad una generazione che in tre anni, forse, ha imparato più di quanto avrebbe potuto fare in dieci. Una generazione fatta di attori del cambiamento, che hanno rifiutato il radicalismo religioso di destra così come il nazionalismo autoritario. Se continueranno a maturare, con il dovuto sostegno, saranno loro i veri alfieri del progressismo. H. A. Hellyer è membro della Brookings Institution, del Royal United Services Institute e della Harvard University Kennedy School.
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