http://znetitaly.altervista.org Il diritto di ognuno a protestare
A coloro al cui fianco combattiamo: Vi scriviamo di nuovo all’alba sanguinosa di un nuova presidenza: la quarta in quattro anni. Il Generale Abdel Fattah El Sisi che ha sovrinteso al brutale rovesciamento di Mohamed Morsi e della Fratellanza Musulmana, ora siede sul Trono di Ferro dell’Egitto. Il rinascente stato di polizia di Mubarak è più feroce che mai. I media, controllati da una manciata di milionari, sta terrorizzando la popolazione fino a farle sacrificare i suoi diritti più essenziali alla divinità con due facce della Sicurezza e della Stabilità. E i giovani rivoluzionari che hanno osato sfidare lo status quo e che, per un momento nel 2011, hanno intravisto la possibilità di qualcosa di nuovo, sono stati radunati e messi in carcere uno per uno. Avendo dirottato le proteste popolari del 30 giugno 2013 contro la Fratellanza Musulmana per tornare al potere, l’establishment militare sta usando ora ogni mezzo a sua disposizione per mettere a tacere ogni forma di dissenso e annullare lo spazio politico degli scorsi tre anni, conquistato con fatica. La violenza e l’intimidazione sono stati sempre gli strumenti principali della forza politica, ma nell’Egitto di Sisi alla magistratura è stata dato un ruolo principale nella soppressione delle libertà. Il loro strumento è la Legge sulla protesta che nei suoi 7 mesi di vita è stata usata per radunare, imprigionare e condannare migliaia di persone che partecipavano a proteste pacifiche e per prendere di mira specifici attivisti autorevoli al loro interno. L’esempio più famoso oggi è Alaa Abd El Fattah. Il 26 novembre 2013, circa 200 dimostranti si sono radunati fuori della Camera Alta del Parlamento egiziano, sono stati attaccati dalla polizia con cannoni ad acqua, manganelli, “gorilla” in borghese e gas lacrimogeni. Sono state arrestate 50 persone, e dopo che le donne, i giornalisti e gli avvocati sono stati rilasciati dopo essere stati tutti picchiati, 24 uomini sono stati lasciati in carcere. Ora Alaa e i 24 sono stati condannati a 15 anni di prigione. Ad Alessandria, Mahienour el-Massry, uno dei più infaticabili avvocati per i diritti umani che ci siano nella città costiera, è in prigione con una condanna di due anni per avere fatto una protesta davanti al tribunale dove si stavano processando i poliziotti che avevano ucciso [il militante] Khaled Said [nel 2010 ad Alessandria]. Ancora a proposito del Cairo, i fondatori del Movimento giovanile 6 aprile, uno dei gruppi più organizzati di giovani del paese, stanno scontando condanne di tre anni nel reparto di massima sicurezza. E ce ne sono molti, molti altri. Fin dal luglio 2013, circa 36.000 persone sono state arrestate per partecipazione politica. Più di 80 sono morti in detenzione. Così ora affrontiamo le pallottole della polizia, la corruzione dei pubblici ministeri e le gabbie dell’aula di giustizia. Ci può però essere una sola strada da percorrere. Non consegneremo i nostri diritti a un tiranno e al suo stato di sicurezza. Non permetteremo che nostri compagni sprechino la loro gioventù nelle celle delle prigione di Mubarak. Non ci faremo zittire. E quindi sabato marceremo verso il Palazzo presidenziale. E in tutto il mondo amici e compagni si sono fatti avanti in solidarietà con noi. Proteste sono state annunciate da Atene, Berlino, Londonderry, Londra, Parigi, New York e Stoccolma, e altre devono ancora unirsi a noi. Sebbene sappiamo che ci vorrà molto tempo prima di arrivare di nuovo alle altezze da vertigine del 2011, i momenti di unità e di lotta internazionale sono più importanti che mai. Il diritto di protesta è sotto attacco non soltanto in Egitto, ma sta venendo represso e criminalizzato in tutto il globo. E dal Parco Gezi al [villaggio palestinese] di Nabi Saleh, ai campus degli Stati Uniti e a Marikana, le persone stanno combattendo per questo. E’ impossibile impegnarsi su tutti i fronti, per tutte le ingiustizie, simultaneamente. E spesso è necessaria una tragedia per mettere a fuoco le cose. In Egitto siamo in un frangente cruciale. Si deve far cadere la legge sulle proteste. Chi è in prigione deve essere liberato. Il governo deve sapere che non può agire impunemente. Piccole azioni si sono moltiplicate, si amplificano. Quando il mondo ha guardato Piazza Tahrir nel febbraio 2011, ha fatto crescere la pressione che si accumulava su Mubarak. Quando la rivoluzione ha dovuto affrontare le Forze armate (SCAF Consiglio Supremo delle Forze Armate), nel seguito di quell’anno, la delegittimazione del Generale è stata accelerata dall’avversione del pubblico verso di queste. Gli effetti della solidarietà non si possono quantificare, non si possono sapere. Ma sappiamo davvero che se noi, o chiunque altro, rinuncia al proprio diritto di protestare, rinuncia al diritto di modellare il proprio mondo. Compagni dal Cairo Da: Z Net Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: http://zcomm.org/znet/article/everyone-s-right-to-protest Originale: Roarmag.org
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