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http://dissidentvoice.org Tempo per ravvivare il movimento per la pace Sono passati 10 anni di letargo per il movimento per la pace, un intero decennio dopo le vivaci dimostrazioni nei primi anni di Bush, che hanno dato modo alle richieste liberali di spostare l’attenzione per sconfiggere il presidente nelle urne. Questa fissazione è rimasta tra le due elezioni presidenziali che si sono susseguite, dimostrando, oltre ogni ragionevole dubbio, l'inutilità di questo approccio per modificare la politica estera americana. I giovani e vivaci sostenitori della prima elezione di Obama sono ormai sette anni più vecchi, stanci e frustrati. La maggior parte di loro sono sottoccupati, sovra indebitati, e sempre più senza speranza circa la loro sorte nella vita. Nel frattempo, gli anziani responsabili di averli attirati nella farsa della politica elettorale stanno vedendo la loro rete di sicurezza assotigliarsi sempre più, tra le mani di una élite di potere sempre più avara. Questa farsa di impegno democratico ha fornito dividendi pari a zero, mentre gli americani stanno peggio di quanto non fossero dieci anni fa, e la nostra attitudine militare rimane imperialista ed espansiva come sempre. Alcuni di noi avevano risolutamente messo in guardia contro la deviante foresta elettorale del 2004, ma ora non è il momento di agitare il dito, ne di pronunciamenti come "te l'avevo detto". Con l'ultimo vizioso bombardamento dei palestinesi da parte della macchina da guerra israeliana, la conflagrazione concorrente in Iraq, il sorgere di una oligarchia appoggiato dagli USA in Ucraina, e i continui attacchi dei droni in Pakistan, Afghanistan, Yemen e Somalia, il tempo è vicino per una rinascita del movimento per la pace. Questo non per minimizzare l'importanza di altre questioni urgenti, come la disuguaglianza economica, ma piuttosto di riconoscere l'immediatezza del militarismo, insieme con la sua compiuta natura. Finché gli Stati Uniti mantengono un’attitudine militare aggressiva, c'è poco spazio per la spesa sociale a livello federale. Per ora, queste battaglie sono più concentrate in stati e comuni, dove sono stati fatti lenti passi avanti negli ultimi mesi. A livello nazionale, tutto quello che abbiamo visto sono i banali pronunciamenti di Obama, durante il discorso sullo Stato dell'Unione nel 2012. Nulla di concreto. Nessuna menzione è stata fatta di tassare la ricchezza, le eredità o le transazioni finanziarie, né di investire nel Green New Deal per far ripartire l'economia in modo più efficace rispetto al programma di acquisto di obbligazioni a rischio presso la Federal Reserve, che ha fatto poco, se non puntellare il mercato azionario e creare l'illusione di una crescita positiva. Diamo credito al movimento Occupy che ha fatto un lavoro notevole nel fissare il discorso della nazione sulla disuguaglianza, ma mancava la capacità di muoversi da lì. Se non altro, il suo valore era che puntaca il dito contro i principali colpevoli: i cattivi di Wall Street. L'azione correttiva dovrebbe essere adottata dai singoli stati e dalle città. In effetti, gli impatti della sensibilizzazione di Occupy sono stati avvertiti attraverso il conseguente sciopero dell’Unione insegnanti di Chicago e l'elezione del candidato socialista di Alternativa, Kshama Sawant, al Consiglio Comunale di Seattle e il successivo passaggio del salario minimo di $15/hr, per fornire solo alcuni esempi. Queste battaglie locali dovrebbero continuare, con tutti i mezzi. In realtà, sembra che il presidente dell'Unione insegnanti di Chicago, Karen Lewis, è sul punto di annunciare ufficialmente la sua campagna per la posizione di sindaco contro Rahm Emanuel, con un sondaggio iniziale che le da un vantaggio di 9 punti. Se lei dovesse prevalere, il risultato sarebbe una vittoria significativa contro il flagello della disuguaglianza, e l'attacco pluridecennale ai lavoratori del settore pubblico nella terza città più grande della nazione. Sarebbe anche un duro colpo per il mainstream del Partito Democratico che è stato il fattore principale del movimento della scuola privata, contro cui il sindacato degli insegnanti di Chicago ha fatto una campagna così ferma. Questo è un problema vitale che deve essere affrontato, ed è meglio farlo attraverso organizzatori locali. Tuttavia, il nostro obiettivo nazionale deve tornare al movimento per la pace. Dobbiamo riconoscere la nostra posizione unica al mondo, di influenzare il cambiamento in Israele/Palestina, come osserva Noam Chomsky in un recente pezzo su The Naton: "Finché gli Stati Uniti appoggiano le politiche espansionistiche di Israele, non c'è motivo di aspettarsi da loro di cessare. Le tattiche devono essere progettate di conseguenza." Lui sostiene, la frustrazione di molti progressisti, che l'opinione popolare negli Stati Uniti non è ancora adeguatamente allineata al BDS per essere efficace come i suoi sostenitori sperano. Il suo giudizio sembra accurato a questi occhi, che è precisamente il motivo per cui è così importante concentrare le energie sulla resurrezione del movimento per la pace dal suo stato comatoso. Già, ci sono stati cortei di solidarietà con i palestinesi nei maggiori centri metropolitani in tutto il paese, il che è incoraggiante. Tuttavia, questi devono essere accompagnati da momenti di informazione, conferenze e attività di volantinaggio. Vediamo questa tragedia in corso come apertura per eccitare l’indignazione morale e incoraggiare una nuova generazione di attivisti contro la guerra. Oltre ad affrontare il ruolo degli Stati Uniti nel legittimare i crimini di guerra israeliani, un movimento per la pace dovrebbe confontarsi con l'uso continuo e crescente della guerra extralegale dei droni, che pone la prospettiva più terrificante alle guerre perpetue del futuro, condotte con robot. Anche ex funzionari dell'amministrazione Obama hanno ammesso, in un recente studio, che i droni ci potrebbero trascinare giù per uno scivoloso pendio, ad una più ampia guerra". Dovremmo denunciare l’uso continuato della guerra clandestina e del traffico d'influenza, utilizzati per destabilizzare alcuni governi a favore di marionette americane. Dobbiamo illuminare il ruolo americano nel puntellare l’oligarchia in Ucraina con elementi fascisti che si sono impegnati in assassinii politici ripetuti, compreso l'incenerimento sadico di 42 attivisti filorussi ad Odessa. Possiamo identificare questo come parte di una spinta più ampia per espandere la potenza militare americana fino al porta di casa della Russia, in violazione della promessa di pace condivisa nel post-guerra fredda. Questo rinnovato movimento dovrebbe anche disegnare le connessioni tra l’avventura imperiale all'estero e la crescente militarizzazione in casa. Infatti, l'ACLU ha fatto proprio così, con un recente rapporto che documenta il forte aumento di SWAT e altre tattiche di guerra dai dipartimenti di polizia in tutto il paese. Tra gli anni 1980 e 2005, il numero complessivo di queste incursioni è aumentato da 3.000 all'anno a 45.000. La relazione ha rilevato che solo il 7% erano causati da ostaggi, barricate, o scenari attivi di armi da fuoco; cioè quelle situazioni per le quali le tecniche SWAT sono state istituite originariamente, mentre un pieno 62% di incursioni sono state usate per catturare sospetti di reati per droga. Nel frattempo, un ethos militare ha catturato la psiche americana, con la conseguente nascita di un marchio greggio e caustico di machismo: tutto muscoli, nessuna sensibilità. Questo rispecchia arroganza imperiale all'estero ed è radicata in un senso di diritto del sesso maschile. Da ragazzini, stuprano una ragazza indifesa in Steubenville per il vigilantismo di George Zimmerman e i ricorrenti omicidi da baldoria negli edifici pubblici in tutta la nazione, la malattia del militarismo americano non devasta solo innocenti all'estero. Attraverso decenni di spesa sproporzionata per gli armamenti e la glorificazione concomitante della guerra e del guerriero, la violenza è stata trasformata in virtù. Come possiamo far finta di criticare il jihadista all'estero, quando è proprio questa sorta di fatalismo che abbiamo nutrito in casa? E questo è ciò che è così unico sugli Stati Uniti rispetto ai passati imperi. Siamo in guerra con noi stessi. I bottini da conquista non sono tornati a casa e non sono stati investiti nelle stravaganti occasioni di grandezza, come a Londra, Parigi o Mosca. Le nostre città sono fogne da ratti al confronto. Il nostro tesoro è stato saccheggiato dai guerrafondai per decenni, lasciando la nostra infrastruttura datata e decrepita. Ci mancano le risorse democratiche e sociali di una qualsiasi delle nostre controparti industrializzate. Siamo lasciati ad un inadeguato sistema sanitaria, a sistemi scolastici terribilmente diseguali, e a livelli primitivi dei diritti e delle tutele dei lavoratori. Siamo uno dei pochi paesi a non fornire congedo di maternità e, allo stesso modo, a non garantire tempo di vacanza pagata. Mentre la maggior parte dei nostri colleghi europei si stanno preparando per le loro annuale 4-6 settimane di riposo estivo, noi ci prepariamo ad arrancare attraverso il torrido caldo estivo, senza un fine in vista. Quante umiliazioni è preparato a soffrire l’americano prima di fare qualcosa a riguardo? Abbiamo bisogno del movimento per la pace adesso, perché animerebbe e animarà tutti i problemi di cui sopra. I ripetuti assalti contro il popolo palestinese non finiranno fino a quando gli americani non agiranno. I droni in Medio Oriente e la guerra clandestina in Europa orientale non cesseranno fino a quando gli americani non lo rihiederanno. L’attitudine permanente alla guerra continuerà, fino a quando americani coraggiosi non si alzeranno a mostrare un altro via. La nostra tesoreria continuerà ad essere saccheggiata dai creatori di guerra fino a quando non leveremo ciò che è nostro di diritto dalle loro, sporche, piccole mani. Il percorso è chiaro: lo abbiamo diligentemente organizzato finché non siamo tornati ai livelli di coinvolgimento osservati durante i primi anni di questo millennio, quando milioni sono scesi per le strade di tutto il mondo in segno di protesta, e il New York Times ha dichiarato che noi siamo la seconda superpotenza. "Se siamo stati in grado di sostenere la pressione per anni e anni, la storia ci dice che possiamo cambiare radicalmente la politica estera attraverso la pressione del pubblico. Speriamo che i liberali abbiano imparato la lezione sull’inutilità della speranza di un cambiamento dall'alto, e non tentino la fuga di nuovo. http://dissidentvoice.org Time to Revive the Peace Movement It has been 10 years of dormancy for the peace movement: a full decade since the thriving demonstrations of the early Bush years gave way to liberal demands that the focus shift to defeating the president at the ballot box. This fixation remained through the two ensuing presidential elections, which have demonstrated, beyond a reasonable doubt, the futility of this approach to altering American foreign policy. The vibrant and young foot soldiers of Obama’s first election are now seven years older, jaded and frustrated. Most of them are underemployed, over-indebted, and increasingly hopeless about their lot in life. Meanwhile, the elders responsible for luring them into the charade of electoral politics are seeing their safety net whittle away at the hands of an ever-avaricious power elite. This farce of democratic engagement has provided zero dividends, as Americans are worse off than they were a decade ago, and our military posture remains as imperialist and expansive as ever. Some of us resolutely warned against straying off into the electoral forest in 2004, but now is not the time for finger wagging or “I told you so” pronouncements. With the latest vicious bombardment of Palestinians by the Israeli war machine, the concurrent conflagration in Iraq, the rise of a U.S.-backed oligarchy in Ukraine, and continued drone attacks in Pakistan, Afghanistan, Yemen and Somalia, the time is nigh for a revival of the peace movement. This isn’t to minimize the significance of other pressing issues, such as wealth inequality, but rather to recognize the immediacy of militarism, together with its encompassing nature. So long as the United States maintains an aggressive military posture, there is little room for social expenditure at the federal level. For now, these battles are best focused in states and municipalities, where gains have slowly been made in recent months. At the national level, all we have seen is Obama’s platitudinous pronouncements in the 2012 State of the Union address. Nothing concrete. No mention has been made of taxing wealth, inheritance or financial transactions, nor of investing in a broad based Green New Deal to jump start the economy in a more efficacious way than the risky bond-buying program at the Federal Reserve, which has done little but prop up the stock market and create the illusion of positive growth. Let’s give credit: the Occupy movement did a remarkable job at setting the nation’s discourse on inequality, but lacked the capacity to move from there. If anything, its value was that it pointed the finger at the prime culprits: the villains of Wall Street. The corrective action would have to be taken in individual states and cities. Indeed, the impacts of Occupy’s consciousness-raising have been felt via the ensuing Chicago Teachers’ Union strike and the election of Socialist Alternative candidate Kshama Sawant to the Seattle City Council and subsequent passing of the $15/hr minimum wage, to provide just a few examples. These local battles ought continue, by all means. In fact, it appears that Chicago Teachers’ Union president Karen Lewis is on the verge of officially announcing her campaign for mayor against Rahm Emanuel, with an initial poll giving her a 9-point advantage. If she were to prevail, the result would be a substantial victory against the scourge of inequality, and the decades-long attack on public sector workers in the nation’s third largest city. It would also be a blow to the mainstream of the Democratic Party that has been the primary enabler of the charter school movement, which the Chicago Teachers’ Union has campaigned so steadfastly against. This is a vital issue that needs to be addressed, and is best done through local organizing. However, our national focus must return to the peace movement. We must recognize our unique position in the world to affect change in Israel/Palestine, as Noam Chomsky notes in a recent piece in the Nation: “As long as the United States supports Israel’s expansionist policies, there is no reason to expect them to cease. Tactics have to be designed accordingly.” He argues, to the frustration of many progressives, that popular opinion in the United States is not yet adequately aligned for BDS to be as effective as its proponents hope. His judgment seems accurate to these eyes, which is precisely why it is so important to focus energies on resurrecting the peace movement from its moribund state. Already, there have been Palestinian solidarity marches in major metropolitan centers throughout the country, which is encouraging. However, these need to be accompanied with teach-ins, lectures, and leafleting activities. Let us see this ongoing tragedy as an opening to excite moral outrage and encourage a new generation of anti-war activists. In addition to addressing the U.S.’s role in legitimizing Israeli war crimes, a revived peace movement should speak to the ongoing and increasing use of extralegal drone warfare, which poses the terrifying prospect of perpetual robot wars in our future. Even former Obama administration officials admitted in a recent study that drones could lead us down a “slippery slope to wider war.” We should further address continued clandestine war and influence peddling used to destabilize certain governments in favor of American puppets. We should illuminate the American role in propping up an oligarchy in Ukraine with fascist elements that have engaged in repeated political assassinations, including the sadistic incineration of 42 pro-Russian activists in Odessa. We can identify this as part of a broader push to expand American military power up to Russia’s doorstep, in violation of the promise of the post-Cold War peace dividend. This renewed movement should also draw connections between imperial adventure abroad and increasing militarization at home. Indeed, the ACLU has done precisely that with a recent report documenting the sharp rise in SWAT and other war zone tactics by police departments throughout the country. Between the 1980s and 2005, the overall number of these raids increased from 3,000 a year to 45,000. The report found that only 7% were for “hostage, barricade, or active shooter scenarios”; i.e., those situations for which SWAT techniques were originally established, while a full 62% were used to apprehend suspected drug offenders. Meanwhile, a military ethos has captured the American psyche, resulting in the rise of a crude and caustic brand of masculinity: all brawn, no sensitivity. This mirrors imperial hubris abroad and is rooted in a sense of male entitlement. From teenage kids gang-raping a helpless girl in Steubenville to George Zimmerman’s vigilantism and the recurrent spree killings in public buildings throughout the nation, the disease of American militarism does not only ravage innocents abroad. Through decades of disproportionate spending on armaments and the concomitant glorification of war and the warrior, violence has been turned into virtue. How can we pretend to criticize the jihadist abroad when it is precisely this sort of fatalism that we have nurtured at home? And this is what is so unique about the U.S. compared to empires past. We are at war with ourselves. The spoils of conquest are not returned home and invested in extravagant displays of grandeur like in London, Paris or Moscow. Our cities are ratty shitholes by comparison. Our treasury has been plundered by war-makers for decades, leaving our infrastructure dated and decrepit. We lack the social democratic provisions of any of our industrialized counterparts. We are left with inadequate health care, terribly unequal school systems, and primitive levels of workers’ rights and protections. We are one of only a few nations to not provide maternity leave, likewise with not guaranteeing paid vacation time. While most of our European counterparts are now preparing for their annual 4-6 weeks of summer rest, we’ll plod on through the scorching summer heat, not an end in sight. How many indignities is the American prepared to suffer before he does something about it? We need the peace movement now because it will enliven and animate all of the aforementioned issues. The repeated assaults on the Palestinian people will not end until Americans take action. The drones in the Middle East and the clandestine warfare in Eastern Europe will not cease until Americans demand it. The permanent posture of war will continue unencumbered until brave Americans stand up and show another way. Our treasury will continue to be looted by the war makers until we pry what is rightfully ours from their dirty, little hands. The path forward is clear: we diligently organize until we are back to the levels of engagement seen during the first few years of this millennium, when millions lined the streets throughout the world in protest, and the New York Times declared us to be the “Second Superpower.” If we can sustain the pressure for years on end, history tells us that we can fundamentally alter foreign policy through public pressure. Hopefully, liberals have learned their lesson about the uselessness of hoping for change from above, and won’t abscond again. Matt Reichel is a writer currently living in New Orleans. visit Matt's website.
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