Originale: New York Times Syndicate
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7 febbraio 2014

Tenere il mondo al sicuro dall’America
di Noam Chomsky
Traduzione di Maria Chiara Starace

Mentre l’anno 2013 si sta avvicinando alla fine, la BBC ha riferito i risultati del sondaggio WIN/Gallup International sulla domanda:”Quale paese del mondo pensate che attualmente sia la maggiore minaccia alla pace?”

Gli Stati Uniti sono stati i vincitori con un margine sostanziale, ottenendo il triplo di voti del Pakistan, il paese che ha avuto il secondo posto.

Invece, il dibattito nei circoli americani degli studiosi e dei media si incentra sull’ipotesi l’Iran possa essere contenuto e se sia necessario l’enorme sistema di sorveglianza della NSA per proteggere la sicurezza degli Stati Uniti.

In vista del sondaggio, sembrerebbero esserci questioni più pertinenti: gli Stati Uniti possono contenuti e altre nazioni possono essere   garantite   di fronte alla minaccia degli Stati Uniti?

In alcune parti del mondo gli Stati Uniti occupano un posto ancora più alto come minaccia percepita alla pace del mondo, specialmente in Medio Oriente, dove stragrandi maggioranze considerano il nostro paese, e il loro più stretto alleato, Israele come le più grandi minacce da affrontare, e non il “preferito” degli Stati Uniti : l’Iran.

E’ probabile che pochi latino-americani mettano in dubbio il giudizio dell’eroe nazionalista cubano, José Martí, che nel 1894 ha scritto: “Più si allontana dagli Stati Uniti e più il popolo [latino]  americano sarà più libero e più prospero.”

Il giudizio di Martí è stato confermato in anni recenti, ancora una volta da un’analisi sulla povertà eseguita dalla Commissione economica dell’ONU  per l’America Latina e i Caraibi, diffusa il mese scorso.

Il rapporto dell’ONU riferisce che le riforme  di vasta portata  hanno  nettamente  ridotto la povertà in Brasile, Uruguay, Venezuela, e in alcune altre nazioni dove l’influenza statunitense è scarsa, ma rimane  abissale  in altre – cioè in quelle che sono state a lungo sotto il dominio degli Stati Uniti, come il Guatemala e l’Honduras. Perfino nel Messico, relativamente ricco, sotto l’ombrello dell’Accordo nordamericano di libero scambio (NAFTA), la povertà è grave, con un aumento  del numero dei poveri di 1 milione nel 2013.

Talvolta i motivi delle preoccupazioni del mondo vengono riconosciuti in modo obliquo negli Stati Uniti, come, per esempio è avvenuto nel periodo in cui l’ex direttore della CIA, Michael Hayden, discutendo della campagna criminale di Obama con i droni, ha ammesso che “Proprio adesso, non esiste un governo sul pianeta che sia d’accordo con la fondamento logico legale di queste operazioni, eccetto l’Afghanistan e forse Israele.”

Un paese normale si preoccuperebbe di come è considerato nel mondo. Questo sarebbe certamente vero nel caso di una nazione impegnata nel “rispetto decente per le opinioni del genere umano,” per citare i Padri Fondatori. Gli Stati Uniti sono però lungi dall’essere una nazione normale. Hanno avuto l’economia più potente del pianeta per un secolo, e non hanno avuto alcuna reale sfida  alla loro egemonia mondiale fino dalla Seconda Guerra mondiale, malgrado un certo declino, che in parte si sono “somministrati” da soli.

Gli Stati Uniti, consci del “soft power”, intraprendono campagne importanti di “diplomazia pubblica” (alias propaganda) per crearsi un’immagine positiva, talvolta accompagnata da politiche       fruttuose che sono bene accolte. Però, quando il mondo persiste a credere che gli Stati Uniti siano di gran lunga la più grande minaccia alla pace, la stampa americana riporta a malapena il fatto.

L’abilità di ignorare fatti non voluti è una delle prerogative del potere incontrastato, strettamente collegato al diritto di riesaminare radicalmente la storia.

Un esempio attuale si può vedere nei lamenti riguardo all’intensificarsi del conflitto sunnita-sciita che sta facendo a pezzi il Medio Oriente, specialmente in Iraq e in Siria. Il tema prevalente dei commenti degli Stati Uniti ò che questa lotta è una terribile conseguenza del ritiro delle forze americane dalla regione – una lezione dei danni dello “isolazionismo.”

Il contrario è quasi più corretto. Le radici del conflitto all’interno dell’Islam sono molto e diverse, ma non si può seriamente negare che la divisione è stata esacerbata in maniera significativa dall’invasione dell’Iraq guidata da britannici e americani. E non si può non ripetere troppo spesso che l’aggressione è stata definita al processo di Norimberga “il supremo crimine internazionale,” che differisce dagli altri in quanto comprende tutto il male che ne è seguito, compresala catastrofe attuale.

Una dimostrazione importante di questa rapida inversione della storia è la reazione americana alle attuali atrocità di Fallujah. Il tema dominante è il dolore per i sacrifici vani dei soldati americani che hanno combattuto e che sono morti per liberare Fallujah. Uno sguardo ai servizi giornalistici  sugli assalti statunitensi a Fallujah nel 2004 rivela rapidamente che questi sono stati tra i crimini di guerra di aggressione più brutali e vergognosi.

La morte di Mandela fornisce un’altra occasione di riflessione sul notevole impatto di quello che è stato chiamato “ingegneria della storia”: rimodellare i fatti della storia per servire le necessità del potere.

Quando finalmente Mandela ha ottenuto la libertà, ha dichiarato che “Durante tutti gli anni trascorsi in prigione, Cuba è stata un’ispirazione e Fidel Castro un sostegno. [Le vittorie cubane] hanno distrutto il mito dell’invincibilità dell’oppressore bianco [e] e ispirato le masse combattenti del Sudafrica, un punto di svolta per la liberazione del nostro continente – e del mio popolo dal flagello dell’apartheid. Quale altra nazione può far pensare a una dimostrazione di maggiore  di altruismo  di quello che Cuba ha dimostrato nei suoi rapporti con l’Africa?

Oggi i nomi dei Cubani che sono morti difendendo l’Angola dall’aggressione del Sudafrica appoggiata dagli Stati Uniti, opponendosi alle richieste americane di lasciare il paese, sono incise sul “Muro dei nomi” nel Parco della Libertà di Pretoria. E non sono neanche dimenticati  le migliaia di volontari che hanno appoggiato l’Angola, in gran parte a spese di Cuba.

La versione approvata dagli Stati Uniti è molto diversa. Fin dai primi giorni dopo che il Sudafrica ha accettato di ritirarsi dalla Namibia occupata illegalmente nel 1988, preparando la strada alla fine dell’apartheid, il risultato è stato accolto da The Wall Street Journal come “una splendida conquista” della diplomazia americana, “uno dei più significativi successi in politica estera dell’Amministrazione Reagan.” I motivi per cui Mandela e i sudafricani percepiscono un quadro radicalmente diverso sono espressi chiaramente nella magistrale e colta inchiesta di Piero Gleijeses: Visions of Freedom: Havana, Washington, Pretoria, and the Struggle for Southerm Africa, 1976-1991.” ["Visioni di libertà: L'Avana, Washington,Pretoria, e la lotta per l'Africa del Sud, 1976-1991."]

Come dimostra Gleijeses in modo convincente, all’aggressione e al terrorismo del Sudafrica in Angola e alla sua occupazione della Namibia, è stata messa fine dalla “potenza militare cubana” accompagnata da una “accanita resistenza dei neri” all’interno del Sudafrica e dal coraggio della guerriglia della Namibia. Le forze di liberazione della Namibia hanno vinto facilmente delle giuste elezioni non appena sono state possibili. Analogamente, nelle elezioni in Angola, il governo appoggiato da Cuba ha prevalso – mentre gli Stati Uniti hanno continuato ad appoggiare colà  terroristi violenti  all’opposizione,  anche dopo che il Sudafrica è stato costretto a indietreggiare.

Fino alla fine i sostenitori di Reagan sono rimasti praticamente da soli nel loro forte appoggio al regime dell’apartheid e alle sue criminali devastazioni nei paesi confinanti. Sebbene questi episodi vergognosi possano essere cancellati dalla storia interna degli Stati Uniti, è probabile che altri comprendano le parole di Mandela.

In questi e in troppi altri casi, il potere supremo fornisce protezione dalla realtà – fino a un certo punto.


Il libro più recente di Noam Chomsky è:“Power Systems: Conversations on Global Democratic Uprisings and the New Challenges to U.S. Empire. Interviews with David Barsamian.” [Sistemi di potere: conversazioni sulle insurrezioni democratiche globali e le nuove sfide all'impero degli Stati Uniti. Interviste con David Barsamian]. Chomsky è professore emerito di linguistica e filosofia al Massachusetts Institute of Technology a Cambridge, Mass.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte:http://www.zcommunications.org/keeping-the-world-safe-from-america

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