Originale: TomDispatch.com
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17 aprile 2014

Come le guerre dell’America tornano in patria con i soldati
di Ann  Jones
Traduzione di Maria Chiara Starace

Dopo una discussione su una licenza negata, il soldato Ivan Lopez  ha tirato fuori una pistola  Smith &Wesson  e ha iniziato una sparatoria folle  a Fort Hood, la più grossa  base americana negli Stati Uniti,  uccidendo  tre soldati e ferendone 16. Con questa azione ha anche portato allo scoperto le guerre dell’America che si stavano sbiadendo.  Questa volta l’omicidio di massa, il secondo in quatto anni e mezzo, è stato commesso da un uomo che non era un “estremista” né politico né religioso. Sembra che sia stato semplicemente  uno dei reduci  americani  feriti  e disturbati che ora si contano a centinaia di migliaia.

Circa 2,6 milioni di uomini e donne sono stati inviati, spesso ripetutamente, in guerra in Iraq e in Afghanistan, e, secondo una recente inchiesta di reduci di quelle guerre condotta dal Washington Post  e dalla Fondazione della Famiglia Kaiser, quasi un terzo dice che la loro salute mentale è peggiore di quando sono partiti, e quasi la metà dice lo stesso della loro condizione fisica. Quasi la metà dice di cedere   improvvisi scoppi d’ira. Soltanto il12% dei reduci che hanno interrogato  dichiarano che ora stanno “meglio” dal punto di vista mentale o fisico di quanto lo fossero prima di andare in guerra.

La copertura data dai media dopo la “furia”  di Lopez è stata, naturalmente di 7 giorni su 7 e per 24 ore su 24  e si è discusso molto del PTSD  (Post Traumatic Stress Disoder), Disturbo post traumatico da stress,  l’etichetta che si mette su tutto (anche se viene capita poco) usata adesso per spiegare quasi ogni cosa spiacevole che accade o che è causata da uomini o donne appartenenti all’esercito attualmente o precedentemente.  Nel fuoco di fila della copertura mediatica mancava tuttavia qualche cosa: la prova che era stata  bene in vista  da anni del modo in cui la violenza delle guerre americane distanti torna indietro e  perseguita  la “madre patria” quando rientrano i soldati. In quel contesto, gli omicidi compiuti da Lopez, mentre sono di portata non spesso dello stesso livello,  sono un ulteriore indicatore  lungo un sanguinoso sentiero di morte che porta dall’Iraq all’Afghanistan fino al cuore dell’America, nelle basi e nei cortili di tutta la nazione. E’ una storia con un conto di cadaveri che non dovrebbe essere ignorata.

La guerra torna in patria

Durante gli scorsi 12 anni molti reduci che erano “peggiorati” mentre stavano in guerra, si potevano trovare nelle basi o nei loro dintorni qui in patria, in attesa di essere dislocati di nuovo, facendo talvolta facevano seri danni a se stessi e agli altri. L’organizzazione Reduci dell’Iraq contro la guerra (IVAW – Iraq Veterans Against the War) ha fatto propaganda per anni per il “diritto dei soldati a curarsi” tra una missione e un’altra. Il mese prossimo l’IVAW diffonderà il suo rapporto sulla pratica come a Fort Hood  di mandare soldati  con dei danni e curati con grandi quantità di medicine,  di nuovo nelle zone di combattimento malgrado gli ordini dei medici e i regolamenti ufficiali delle basi. Si può ipotizzare che questi soldati non continueranno a vivere in ottima forma.

Immediatamente dopo la “furia” di Lopez il presidente Obama ha parlato di quei soldati che hanno  svolto molteplici missioini   nelle guerre e che “hanno necessità di sentirsi al sicuro” nelle loro basi in patria. Ma quello he il presidente ha chiamato “quel senso di sicurezza…infranto ancora una volta” a Fort Hood, è stato in realtà già fatto a pezzi ripetutamente nelle basi e nelle città in tutta l’America nel periodo seguito all’ 11 settembre – e da allora, i  soldati  insultati,  ingannati, maltrattati,  hanno iniziato a portarsi dietro la guerra al ritorno in patria.

Fin dal 2002, i soldati e i reduci hanno commesso omicidi individualmente e in gruppi, uccidendo mogli, fidanzate, figli, commilitoni, amici, conoscenti, perfetti sconosciuti, e – in numero spaventoso -  se stessi. La maggior parte di queste uccisioni non è avvenuta su scala di massa, ma si accumulano, anche se non si fanno i calcoli precisi. Finora non sono state mai contate del tutto.

I primi reduci della guerra in Afghanistan sono ritornati a Fort Bragg, nella Carolina del nord, nel 2002. In rapida successione,  quattro di loro hanno ucciso le mogli, dopo di che tre degli omicidi si son tolti la vita. Quando un inviato del New York Times ha chiesto a un ufficiale delle Forze speciali di commentare questi avvenimenti, ha risposto: “Le Forze speciali non amano parlare di faccende emotive. Noi siamo del Tipo A, che non considerano proprio importanti  cose come queste, come la notizia di ieri.”

In effetti molti dei media e gran parte del paese ha fatto proprio così. Mentre gli omicidi individuali commessi dagli “eroi della nostra nazione” sul “fronte domestico” sono stati riportati dai media vicini alla scena dell’evento, la maggior parte di quelle uccisioni non fanno mai notizia a livello nazionale, e molte diventano invisibili anche a livello locale quando vengono riportate come omicidi di routine, senza alcuna citazione che del fatto apparentemente insignificante che l’omicida era un reduce di guerra. Soltanto quando questi crimini  si raggruppano   intorno a una base militare i  diligenti inviati locali sembra che mettano insieme i pezzi di una rappresentazione più ampia.

Nel 2005, Forth Bragg  aveva già contato  la sua decima vittima di “violenza domestica”, mentre sulla costa occidentale il settimanale Seattle Weekly aveva fatto il bilancio delle vittime tra i soldati in servizio attivo e i reduci nello stato occidentale di Washington : 7 omicidi e 3 suicidi. “5 mogli, una fidanzata e un bambino sono stati    assassinati, altri 4  bambini hanno perduto uno o entrambi i genitori per decesso o detenzione. 3 uomini appartenenti alle forze armate si sono suicidati – due di loro dopo avere ucciso la moglie o la fidanzata. 4 soldati sono stati mandati in prigione. Uno era in attesa di processo.

Nel gennaio 2008, il New York Times ha tentato per la prima volta di fare un  conteggio a livello nazionale di crimini di questo genere. Il risultato è stato: “121 casi in cui reduci dall’Iraq e dall’Afghanistan hanno commesso un omicidio in questo paese, o sono stati accusati di uno di questi, dopo il loro ritorno dalla guerra.” Elencava i titoli presi da giornali locali minori: Lakewood, Washington: ”Una famiglia incolpa l’Iraq dopo che un loro figlio ha ammazzato la moglie”; Pierre, Dakota del sud: “Soldato accusato di omicidio testimonia  lo stress conseguente alla guerra”; Colorado Springs, Colorado: “Reduci della guerra in Iraq sospettati di due uccisioni”.

Il Times ha scoperto che circa un terzo delle vittime di omicidio erano mogli, fidanzate, figli, o altri parenti dell’assassino, ma, cosa significativa, un quarto delle vittime erano commilitoni. Il resto erano conoscenti o estranei. In quel tempo, tre quarti dei soldati omicidi erano ancora nell’esercito. Il numero di uccisioni allora rappresentavano circa un 90% di aumento di omicidi commessi da personale militare in servizio attivo e da reduci, nei sei anni dall’inizio dell’invasione dell’Afghanistan nel 2001. Tuttavia, dopo aver percorso  questo “sentiero  di morte e strazio attraverso il paese”,  il Times ha osservato che la  ricerca aveva probabilmente svelato soltanto “il minimo numero di casi di questo genere.” Un mese dopo. Ha trovato “più di 150 casi di violenza domestica letale o di abusi mortali su bambini negli Stati Uniti che coinvolgevano membri in servizio e nuovi reduci.”

Altri casi stavano per arrivare. Dopo che la squadra della Quarta Brigata Combattente di Fort Carson, in Colorado, è ritornata dall’Iraq, nove dei suoi membri sono stati accusati di omicidio, mentre “accuse di violenza domestica, stupro, e aggressioni sessuali avvenute nella base, sono cresciute rapidamente. Tre delle vittime di omicidio erano mogli o fidanzate, quattro erano commilitoni (tutti uomini) e due erano stranieri, scelti a casaccio.

Tornando a Fort Bragg, e alla vicina base dei Marine di Camp Lejeune, 4 militari maschi hanno ucciso 4 militari donne nello spazio di 9 mesi tra il dicembre 2007 e il settembre 2008. In quel periodo, il Colonnello in pensione dell’esercito, Ann Wright ha identificato almeno 15 morti altamente sospette in zone di guerra che erano state ufficialmente definite “non collegate ai combattimenti” o “suicidio.” Anna Wright ha posto la domanda che non ha avuto  mai risposta: “”C’è  un insabbiamento dell’esercito riguardo  agli stupri e degli omicidi di donne soldato?” Gli omicidi che ci sono stati vicino (ma non a) Fort Bragg e a Camp Lejeune, tutti oggetto di indagine e di procedimento giudiziario da parte delle autorità civili, hanno fatto sorgere un’altra domanda: alcuni soldati portavano in patria non soltanto la generica violenza della guerra, ma anche crimini specifici dei quali avevano fatto le prove all’estero?

Bloccati in una modalità di combattimento

Mentre questo tipo di combattimento in una zona di post combattimento in patria raramente è entrata tra le notizie del paese, le uccisioni non si sono fermate. Sono invece continuate, mese per mese, anno dopo anno, riferite in generale soltanto dai media locali. Molti degli omicidi fanno pensare che gli assassini avessero ancora la sensazione che stavano conducendo qualche tipo di missione privata in “territorio nemico” e che essi stessi erano uomini che in remote zone di combattimento, avevano preso la tendenza e l’abitudine a uccidere. Per esempio, Benjamin Colton Barnes, un reduce di 24 anni dell’esercito, nel 2012 è andato a una festa  a Seattle e si è trovato in una sparatoria che ha lasciato 4 persone ferite. E poi scappato al Parco Nazionale di Mount Rainier dove ha sparato e ha ucciso una guardia del parco (madre di due bambini piccoli)  e ha fatto fuoco contro altri prima di scappare sulle montagne coperte di neve dove è annegato  in un corso d’acqua.

Si dice che Barnes, un reduce dall’Iraq, abbia sperimentato una tempestosa transizione alla vita negli Stati Uniti, dopo essere stato congedato dall’esercito nel 2009 per cattiva condotta  e dopo essere stato arresto per guida in stato di ebbrezza e in possesso di un’arma. (Ha anche minacciato sua moglie con un coltello. Era uno dei più di 20.000 reduci dell’esercito e dei Marines che le forze  armate avevano scartato tra il 2008 e il 2012 con licenziamenti “non proprio onorevoli”, e nessun indennizzo, assistenza sanitaria, o aiuto.

Di fronte alla costosa prospettiva di fornire assistenza a lungo termine a questi reduci molto fragili, le forze armate hanno invece scelto di “mollarli”. Barnes è stato buttato fuori dalla base congiunta Lewis-McChord vicino a Tacoma, stato di  Washington che nel 2010 aveva superato Fort Hood, Fort Bragg e Fort Carson per violenza e suicidi, diventando così la base militare “ nazionale “più travagliata”.

Alcuni soldati  con tendenze omicide,    operano insieme, forse per ricreare in patria quel famoso sentimento di fraternità della “banda di fratelli” dell’esercito. Nel 2012, a Laredo, in Texas, degli agenti federali presentandosi come  capi di un cartello messicano della droga hanno arrestato il Luogotenente Kevin Corley e il Sergente Samuel Walker – entrambi del famigerata squadra della Quarta Brigata di Combattimento – e altri due soldati nel loro e altri due soldati nella loro gruppo di fuoco privato che avevano offerto i loro servizi per uccidere membri di cartelli privati. I soldati lo chiamano “lavoro bagnato” (un eufemismo usato al posto di assassinio dato che implica versamento di sangue, n.d.t.), e sono addestrati a farlo così bene che i veri cartelli messicani continuano ad assumere reduci ambiziosi di Fort Bliss, in Texas, e probabilmente di altre  basi nelle zone di confine, per eliminare  obiettivi messicani e americani scelti da loro,  a 5.000 dollari a colpo.

I soldati di questo genere sembra che non escano mai dalla loro modalità da combattenti. Lo psichiatra di Boston Jonathan Shay, ben noto per il suo lavoro con i reduci “disturbati” della Guerra del Vietnam, fa notare che le abilità instillate nel soldato che combatte -   astuzia,  inganno, forza, rapidità,   segretezza,   un repertorio di tecniche per uccidere,  e l’eliminazione della compassione e del senso di colpa – lo preparano perfettamente a una vita di crimini.: “Lo esprimo nel modo più schietto possibile,” scrive Shay in Odysseus in America: Combar Trauma and the Trials of Homecoming [Ulisse in America: il trauma da combattimento e le difficoltà del ritorno a casa], “il servizio in combattimento di per sé agevola la strada nella carriera criminale nella vita civile dopo la guerra.” Nell’ultimo decennio, quando il Pentagono ha reso meno severi gli standard per riempire i ranghi, alcuni membri  intraprendenti  di almeno 53 diverse bande americane  hanno avviato le loro carriere criminali arruolandosi, addestrandosi e servendo in zone militari, per perfezionare le loro serie di abilità specialistiche.

Alcuni reduci sono arrivati a diventare terroristi in patria, come il reduce della Guerra del Golfo (1990-1991) denominata in codice  Tempesta nel deserto (Desert Storm) , Timothy McVeigh che ha ucciso 168 persone nell’edificio federale di  Oklahoma nel 1995, o autori di stragi come Wade Michalel Page, il reduce dell’esercito e ultra-razzista che ha ucciso 6 fedeli in un tempio  Sikh a Oak Creek, Wisconsin,  nell’agosto 2012. Page era stato in precedenza introdotto all’ideologia della supremazia dei bianchi quando aveva 20 anni, tre anni dopo  è entrato nell’esercito e si è associato a un gruppo neo-nazista che predicava odio e violenza,  a Fort Bragg. Questo è accaduto nel 1995, l’anno che tre  paracadutisti di Fort Bragg hanno ucciso due residenti locali di colore, un uomo e una donna, per ottenere di potersi fare  il tatuaggio neo nazista che rappresenta una ragnatela.

Un numero sconosciuto di killer di questo lasciano semplicemente l’esercito, come il soldato semplice (ed ex cadetto dell’Accademia di West Point), Isaac Aguigui che finalmente è stato condannato il mese scorso da un tribunale penale della  Georgia per aver ucciso, tre anni fa, sua moglie in stato di gravidanza, il Sergente Deirdre Wetzker Aguigui, una specialista di lingue nell’esercito. Sebbene il corpo di Deirdre Aiguigui con le manette ai polsi avesse  rivelato molteplici colpi e segni di lotta, l’esaminatore   medico militare non è riuscito a scoprire  “una causa anatomica della morte” – un insuccesso  utile sia all’esercito che non ha dovuto fare ulteriori indagini che a Isaac Aguigui che ha raccolto mezzo milione di dollari per indennità di morte e assicurazione sulla vita per finanziarsi una sua guerra personale.

Nel 2012 le autorità dello stato della Georgia hanno accusato Aguigui e tre combattenti reduci di Fort Stuart di uccisioni fatte come una vera esecuzione dell’ex soldato semplice Michael Roark, di 19 anni, e della sua fidanzata Tiffany York di 17. Il processo in un tribunale militare ha rivelato che Aguigui (che non è stato mai impegnato in guerra) aveva messo insieme la sua milizia privata di reduci combattenti problematici chiamata FEAR (Forever Enduring, Always Ready), e stava tramando di pendere il controllo di Fort Stewart impadronendosi del posto di controllo delle munizioni. Tra gli altri  piani previsti per il suo gruppo c’era l’uccisione di ufficiali anonimi con autobombe, far saltare in aria una fontana a Savannah, avvelenare il raccolto di mele nello stato nativo di Aguigui, Washington, e di unirsi ad altri gruppi non specificati di milizie private in tutto il paese per fare un complotto pere assassinare il presidente Obama e prendere il controllo del governo degli Stati Uniti. L’anno scorso il tribunale della Georgia ha condannato Aguigui per il caso delle uccisioni del FEAR e gli ha inflitto la pena dell’ergastolo. Soltanto allora un esaminatore medico civile ha determinato che Aguigui aveva ucciso sua moglie.

La norma giuridica

Le esercitazioni di routine dell’addestramento essenziale e gli eventi catastrofici della guerra, danneggiano molti soldati in modi che appaiono oscuramente ironici quando tornano a casa per traumatizzare o uccidere i/le loro compagni/e i loro figli, i loro commilitoni,  o stranieri  casuali in una città o in una base. Però per avere le notizie dobbiamo di nuovo fare affidamento su giornalisti locali scrupolosi. L’American Statesman di Austin, per esempio, riferisce che, dal 2003, nella zona intorno a Fort Hood, nel Texas centrale, quasi il 10% delle persone coinvolte in  sparatorie con la polizia erano militari reduci o membri in servizio attivo. In quattro diversi scontri fin dal dicembre scorso, la polizia ha sparato e ha ucciso due reduci tornati in patria di recente, e ne ha ferito un terzo, mentre un poliziotto è stato ucciso. Un quarto reduce è sopravvissuto indenne a una sparatoria.

Questi tragici scontri hanno spinto i funzionari statali e cittadini del Texas a elaborare uno speciale Programma di risposta tattica ai veterani per addestrare la polizia a occuparsi di militari disturbati. Alcune delle tecniche standard che la polizia del Texas usa per intimidire e dominare i sospetti  – urlare, lanciare granate o anche sparare colpi di avvertimento – gli si ritorcono contro quando il sospetto è un reduce in preda a una crisi, armato, con buon addestramento nel far fuoco  per reagire. Il medio poliziotto civile non è all’altezza di un soldato arrabbiato appartenente  – come si è espresso il presidente Obama a Fort Hood, “al più grande esercito che il mondo abbia mai conosciuto.” D’altra parte, un veterano con danni cerebrali che ha bisogno di tempo per eseguire degli ordini o per rispondere a domande, potrebbe essere maltrattato, buttato a terra, colpito con una pistola taser, colpito con  un manganello, o peggio ancora, da poliziotti  troppo  aggressivi prima che abbia tempo di dire una parola.

Ecco un’altra svolta ironica. Nell’ultimo decennio i reclutatori delle forze armate    hanno usato come punto forte di propaganda la loro politica di  “preferire i reduci” nelle pratiche di assunzione dei dipartimenti della polizia civile. La prospettiva di una carriera lunga una vita per far rispettare la legge dopo  una sola missioin  di servizio militare, è una tentazione per molti giovani indecisi per firmare sulla linea tratteggiata. Ma i reduci che sono infine congedati dal servizio e indossano la divisa di un dipartimento di polizia civile non sono più i ragazzi che erano partiti.

Oggi in Texas, il 37% della polizia di Austin, la capitale dello stato, sono ex militari e nelle cittadine e nelle città nelle vicinanze di Fort Hood, quella cifra arriva a oltre il 50% . Tutti sanno che i reduci hanno bisogno di impieghi, e in teoria potrebbero essere molto bravi a occuparsi dei soldati turbati quando sono in preda a una crisi, ma arrivano a quel lavoro già addestrati   e molto bravi in guerra. Quando incontrano  un altro Ivan Lopez, creano una combinazione potenzialmente infiammabile.

La maggior parte dei militari d’America uomini e donne, non vogliono essere “stigmatizzati” per il legame con i soldati violenti che abbiamo citato qui. E non lo vuole neanche l’ex personale militare che ora, in quanto membri delle forze di polizia civili, conducono battaglie periodiche con i reduci violenti in Texas e in tutto il paese. La nuova indagine del Washington Post e fondazione Kaiser, rivela che la maggior patte dei reduci sono orgogliosi del loro servizio militare, se non del tutto contenti del loro ritorno. Quasi tutti loro pensano che i civili americani, come i cittadini dell’Iraq e dell’Afghanistan, non li “rispettano” sinceramente e più della metà si sentono sconnessi dalla vita americana. Credono di avere valori morali ed etici migliori rispetto ai loro concittadini, una virtù  strombazzata  dal Pentagono e anche dai presidenti. Il 60% dice che sono più patriottici dei civili. Il 70% dice che i civili non riescono assolutamente a capirli. E quasi il 90% dei reduci dice che senza pensarci si arruolerebbe per combattere di nuovo.

Gli americani sul “fronte interno” non sono stati mai mobilitati dai loro capi e in generale non hanno mai compreso le guerre combattute in loro nome. Qui, tuttavia, c’è un’altra ironia: viene fuori che neanche la maggior parte degli uomini e donne delle forze armate americane le comprendono.  Come le loro controparti civili, molti dei quali sono fin troppo pronti a schierare di nuovo quei soldati per intervenire in paesi che loro non sono neppure capaci di trovare su una carta geografica, un numero significativo di reduci evidentemente deve ancora disfare i bagagli ed esaminare le guerre che sono portati a casa nel bagaglio e in troppi  tristi casi  essi stessi,  i loro cari, i loro commilitoni, e talvolta degli estranei qualsiasi, ne pagano il prezzo.

Ann Jones, collaboratrice regolare di TomDispatch, è autrice, tra altri libri, di: Kabul in Winter [Kabul d’inverno], e, molto di recente, di: They Were Soldiers: How the Wounded Return From America’s Wars – The Untold Story, [Erano soldati: come i feriti ritornano dalle guerre dell’Amaerica – la storia non raccontata], un progetto dei Dispatch Books (Haymarket,2013).

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta su TomDispatch.com, un weblog del Nation Institute, che offre un flusso continuo di fonti alternative, notizie e opinioni da parte di Tom Engelhardt, da lungo tempo direttore editoriale, co-fondatore dell’American Empire Project, autore del libro : The End of Victory Culture (La fine della cultura della vittoria) e anche del romanzo: The Last Days of Publishing (Gli ultimi giorni dell’editoria). Il suo libro più recente è: The American way of War:How Bush’s Wars Became Obama’s (Haymarket Books) (Lo stile bellico Americano: come le guerre di Bush sono diventate quelle di Obama).


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znet/article/how-america-s-wars-come-home-with-the-troops

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