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29 maggio 2014

Thomas Paine, un nostro contemporaneo
di Chris Hedges
Traduzione di Maria Chiara Starace

Cornel West, Richard D. Wolff e io, insieme alla moderatrice Laura Flanders, domenica prossima inaugureremo “The Anatomy of Revolution,” [L’anatomia della rivoluzione], una serie di dibattiti incentrati sui moderni teorici  rivoluzionari. Questo primo evento farà parte di una conferenza di due giorni a New York patrocinata dal Left Forum, e altre nove dibattiti di West, Wolff e miei, seguiranno in altre sedi più avanti nell’anno.

L’evento di domenica tratterà di Thomas Paine, l’autore di “Common Sense,” [Il buon senso], “The Rights of  Man”[I diritti del’uomo] e The Age of Reason [L’età della ragione] – i saggi politici più largamente letti del 18° secolo, opere che hanno stabilito gli standard in base ai quali la ribellione è moralmente e legalmente permessa. Ci chiederemo se le condizioni per la rivolta fissate da Paine sono state soddisfatte dall’ascesa dello stato  corporativo. La richiesta di Paine di rovesciare la tirannia britannica dovrebbe ispirare la nostra richiesta di rivoluzione? E se sì, per evocare le parole di Vladimir Lenin, che cosa si deve fare?

Thomas Paine è un grande teorico rivoluzionario d’America. Abbiamo prodotto un sacco di eccellenti anarchici: Alexander Berkman, Emma Emma Goldman, Dorothy Day and Noam Chomsky—e leader radicali  lsono sorti  dai gruppi di oppressi: Toro Seduto, Frederick Douglass, Elizabeth Cady Stanton, Fannie Lou Hamer, Martin Luther King Jr., Malcolm X, Cornel West, e bell hooks (pesudonimo di Gloria Jean Watkins, ma non abbiamo una tradizione di rivoluzionari. Questo rende unico Paine.

La brillantezza di Paine come scrittore – il suo saggio “Commons Sense”   è uno dei più bei pezzi di scrittura retorica in lingua inglese – si abbina alla sua comprensione chiara e non sentimentale del potere imperiale britannico. Nessun rivoluzionario può contestare il potere se lui o lei non comprendono come  funziona il potere. Questo rende il libro di Sheldon Wolin “Democracy Incorporated” [La democrazia incorporata] e il suo concetto di “totalitarismo invertito” importante per noi oggi come lo erano nel 1776gli scritti di Paine sulla natura della monarchia britannica. C’erano numerosi leader americani, compreso Benjamin Franklin, che speravano di elaborare un accordo con la Corona britannica per mantenere l’America come colonia britannica, proprio come molti ora credono che possono esaminare i meccanismi tradizionali del potere, compresa la politica elettorale e il sistema giudiziario, per riformare il potere corporativo. Paine, in parte perché non è arrivato in America dall’Inghilterra fino all’età di 37 anni, ha capito che la Corona britannica non aveva interesse per un accordo; oggi, analogamente, lo stato corporativo non ha interesse a garantire alcuna concessione. E’ diventato compito di Paine spiegare al suo pubblico americano la realtà del potere britannico e quale effettiva opposizione avrebbe comportato. Paine sapeva che la monarchia britannica, che esercitava il potere imperiale globale che l’America esercita oggi, era accecata dalla sua arroganza e dall’abilità militare. Aveva perduto la capacità di ascoltare, e di conseguenza aveva perduto la capacità di fare scelte razionali. Gli abitanti di New York lo avrebbero scoperto quando le navi da guerra britanniche e le truppe mercenarie avrebbero assediato la città.

Paine ha creato un nuovo linguaggio politico. Scriveva in una prosa cristallina. “Common Sense” è stato letto da centinaia di migliaia di persone. E’ stato il primo saggio politico nell’Europa dell’Illuminismo a chiedere una separazione tra società civile e lo stato, termini che molti scrittori avevano considerato intercambiabili. La società civile, sosteneva  Paine, deve sempre agire da contrappeso allo stato, in una democrazia. Il potere, avvertiva, anche in una democrazia, porta con sé i semi della tirannia.

Paine, come in seguito George Orwell e James Baldwin, usava la sua penna come un’arma. Era un’arma molto temuta dalle monarchie in Europa e anche dai Giacobini in Francia, che avevano imprigionato Paine e che pensavano di giustiziarlo perché aveva denunciato il Regno del Terrore. Diceva una verità innegabile. Invitava i suoi lettori ad agire in base a quella verità. “Il mio motivo e obiettivo in tutte le mie opere di politica, cominciando da Common Sense,” ricordava Paine nel 1806 “….è stato di salvare l’uomo dalla tirannia e dai falsi sistemi e dai falsi principi del governo, e di consentirgli di essere libero.”

“Dove c’è la libertà, c’è il mio paese,” ha detto una volta Benjamin Franklin a Paine. “Dove non c’è libertà, c’è il mio paese,” ha risposto Paine. Per Paine il ruolo di un cittadino si estendeva oltre i confini nazionali. La lotta di coloro che vivono in qualsiasi sistema di tirannia era la sua lotta. “Quando si dirà in qualsiasi paese del mondo: ‘I miei poveri sono felici, tra di loro non si trovano né ignoranza né  sofferenza; le mie prigioni sono vuote di detenuti, le mie strade  sono vuote di mendicanti,  gli anziani non sono bisognosi, le tasse non sono opprimenti, il mondo della ragione è mio amico perché sono amico della felicità’:  “quando si possono dire queste cose,” scriveva Paine, “allora quel paese può vantarsi della sua costituzione e del suo governo.”

La chiave per il cambiamento sociale, come faceva notare Eric Foner in “Tom Paine and Revolutionary America” [Tom Paine e l’America rivoluzionaria], è “un cambiamento nella natura del linguaggio stesso, sia nella comparsa di parole nuove sia nelle parole vecchie che assumono nuovi significati.” L’invito alla rivoluzione che è stato espresso da Paine e anche da scrittori come Jean-Jacques Rousseau, è arrivato attraverso la nuova lingua di razionalismo secolare, invece che tramite la lingua più vecchia della religione  tradizionale. Ma Paine, al contrario di Rousseau e di altri filosofi, scriveva nella lingua quotidiana dei lavoratori. Attingeva alle loro esperienze, ed è stato il primo scrittore che ha esteso il dibattito politico oltre che ai salotti raffinati anche alle taverne. Odiava la prosa erudita, ornata, usata  dai filosofi come Edmund Burke,  e chiamava quel tipo di linguaggio filosofico e accademico “La Bastiglia della parola.” Vedeva la libertà intimamente connessa alla lingua. E sapeva che coloro che cercano di monopolizzare il potere, si ritirano sempre in una lingua arcana che è inaccessibile alle masse. La chiarezza di Paine dovrà essere ripetuta. Anche noi dovremo inventare una nuova lingua. Dovremo esporre la nostra realtà  per mezzo del comunitarismo in un età di risorse che diminuiscono, invece che con il linguaggio del capitalismo. E lo dovremo fare in una forma che sia accessibile. Foner cita questo come uno dei più importanti successi di Paine:

“ Paine è stato uno dei creatori di questo linguaggio secolare della rivoluzione, una lingua in cui il malcontento senza tempo, le aspirazioni millenarie e le tradizioni popolari venivano espresse con un vocabolario sorprendentemente nuovo. Proprio gli slogan e le grida durante le dimostrazioni che associamo con le rivoluzioni della fine del secolo 18°, arrivano dagli scritti di Paine: i “diritti dell’uomo,” “l’età della ragione,” la “età della rivoluzione” e i “tempi che mettono alla prova  l’anima degli uomini.” Paine ha aiutato a trasformare il significato delle parole fondamentali del discorso politico.  In Common Sense è stato tra i primi scrittori a usare “repubblica” in senso positivo invece che in senso dispregiativo; in The Rights of Man ha abbandonato la vecchia classica definizione di democrazia nel senso di stato dove ogni cittadino partecipava direttamente al governo, e ha creato il suo significato moderno di gran lunga più vasto e più positivo. Perfino la parola “rivoluzione” è stata trasformata nei sui scritti da un termine derivato dal moto dei pianeti e che implicava una visione ciclica della storia, a una parola che vuole dire: cambiamento sociale e politico vasto e irreversibile.

Paine aveva anche capito quello che i regimi autoritari fanno all’anima. I regimi autoritari – e qui lo stato corporativo serve come esempio contemporaneo – fanno la guerra alla ragione e al pensiero razionale. Circoscrivono la libertà di parola e di assemblea. Emarginano e zittiscono chi li critica. Rendono tutte le istituzioni subordinate al dispotismo o, nel nostro caso, al potere corporativo. Usano una propaganda implacabile per privare le persone della lingua che serve per descrivere la loro realtà quotidiana. Li rendono politicamente alienati. Coloro che vivono in regimi dispotici, osservava Paine, alla fine perdono la loro capacità di comunicare le loro preoccupazioni e le loro lamentele più elementari. E questa repressione, Paine lo capiva, ha delle conseguenze. “Lasciate che gli uomini comunichino i loro pensieri con libertà,” scriveva Paine,  ”e la loro indignazione prenderà il volo come un fuoco sparso sulla superficie; come polvere da sparo sparsa si incendiano, comunicano, ma l’esplosione non è né forte né dannosa: teneteli in condizione di segregazione, è come un fuoco sotterraneo il cui scuotimento è invisibile fino a quando scoppia come un terremoto o un vulcano.” Infine, Paine aveva capito che la guerra è sempre l’attività preferita degli stati autoritari, perché, come ha scritto, la guerra è essenzialmente “l’arte di fare conquiste in patria”.

Paine che si rifiutava di  trarre profitto dai suoi scritti, ha sofferto per il suo coraggio. Quando è ritornato in Inghilterra, dove ha scritto “The Rights of Man,” è stato perseguitato, come lo sarebbe in seguito stato in Francia e in America quando vi è tornato per l’ultima volta. John Keane, nella sua biografia intitolata : “Tom Paine: A Political Life” [Tom Paine: una vita politica], descrive un poco di quello che Paine ha sopportato in quanto estremista nell’Inghilterra della fine del 18° secolo:

“Le spie del governo lo pedinavano costantemente nelle strade di Londra, mandando un fiume di rapporti all’ufficio del Segretario di stato per gli affari interni. Quei settori della stampa che facevano  da portavoce del governo, lo bersagliavano di insulti. “Si raccomanda seriamente a Tom il Pazzo,” sbraitava il Times, “che dovrebbe imbarcarsi per la Francia e lì venire naturalizzato nella normale  confusione della democrazia.” I giornali contenenti “corrispondenza intercettata e diretta da Satana al cittadino Paine” lo rappresentava come un mostro con tre cuori che emanava fuoco quando respirava, e che si chiamava “Tom Stich.” Lettere aperte, spesso formulate in modo identico, ma firmate con pseudonimi diversi, venivano fatte circolare nelle taverne e nelle birrerie. “Fratelli tessitori e artigiani,” diceva con voce tonante “un signore” agli abitanti di Manchester e Salford. “Non facciamoci imbrogliare dal Signor Paine che ci racconta molte Verità nel suo libro, allo scopo di eliminare   le sue bugie.”  Sono  state pubblicate  moltissimi sermoni e satire dirette a Paine, molte scritte in maniera anonima per le persone comuni  da nemici delle classi alte che si facevano passare  come persone comuni.

Il potere di Paine, come nel caso di Orwell o Baldwin, era che rifiutava di essere il propagandista di chiunque. Può avere abbracciato la Rivoluzione americana, come ha abbracciato quella francese, ma è stato un feroce sostenitore dell’ abolizione della schiavitù e un nemico dell’uso del terrore come arma politica, una posizione per la quale è stato alla fine messo in prigione nella Francia rivoluzionaria. Ha chiesto ai rivoluzionari americani “ con che coerenza, o decenza” “potevano lamentarsi così ad alta voce dei tentativi di renderli schiavi, quando ne tengono tante centinaia di migliaia in schiavitù.” Ha fatto sentire la sua opinione alla Convenzione Nazionale in Francia, dove è stato uno dei due stranieri a cui si è permesso di venire eletti e di fare parte dei delegati, per denunciare le richieste alla camera di giustiziare il re Luigi XVI. “Colui che vorrebbe assicurarsi la libertà, deve proteggere anche il suo nemico dall’oppressione,” diceva Paine. “Infatti se viola questo dovere, stabilisce un precedente che arriverà fino a lui stesso.”

Avvertiva che le legislature non controllate, potevano essere autoritarie come i monarchi non controllati. Odiava lo sfarzo e l’arroganza del potere e i privilegi, conservando la sua lealtà alla classe dei lavoratori dove era stato cresciuto. Scriveva: “I nomi solenni” come Mio Signore, servono soltanto a “impressionare i superstiziosi rozzi” e fare in modo che “ammirino nei grandi i vizi che onestamente condannerebbero in loro stessi”. Derideva il diritto divino dei re. La monarchia britannica che faceva risalire se stessa a sette secoli prima, a Guglielmo il Conquistatore, era stata fondata, ha scritto, da “un bastardo francese approdato con banditi armati e che si era instaurato come re di Inghilterra contro il consenso dei nativi.” E detestava la superstizione e il potere del dogma religioso che metteva sullo stesso piano la fede cristiana e la mitologia greca. Ha scritto: “Tutte le istituzioni nazionali di chiese, sia ebraiche, cristiane o turche, non mi sembrano altro che invenzioni umane, stabilite per terrorizzare e ridurre in schiavitù il genere umano, e monopolizzare il potere e il profitto.” Paine ha ipotizzato che “le persone virtuose” avrebbero sfasciato le finestre del Dio cristiano se fosse vissuto sulla terra.

Il suo impegno inarrestabile per la verità e la giustizia, insieme al suo eterno essere ribelle, lo ha visto in seguito denigrato dai leader della nuova repubblica americana, che non aveva alcun interesse per la società ugualitaria sostenuta da Paine. Paine ha attaccato ex rivoluzionari come George Washington negli Stati Uniti e Maximilien  Robespierre in Francia che abusavano del potere in nome “del popolo”. E’ stato cacciato via dall’Inghilterra dal governo di William Pitt, e poi, dopo quasi anno in prigione, è stato espulso dalla Francia giacobina. In quel tempo era ormai anziano e perfino i suoi ex sostenitori, con campagne di calunnie ben orchestrate, lo denunciavano regolarmente per il suo estremismo religioso e politico. La stampa popolare in America lo “liquidava” come “il miscredente ubriacone.” Paine, però, non ha mai deviato dall’asserzione che la libertà significava libertà di dire la verità anche se nessuno voleva sentirla. E’ morto, per lo più dimenticato, in indigenza, a New York. Sei persone sono andate al suo funerale. Due di loro erano neri.
La frase nella fotografia vuol dire: Gli uomini non dovrebbero chiedere i diritti, dovrebbero prenderseli.


Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo

www.znetitaly.org

Fonte: http://zcomm.org/znet/article/thomas-paine-our-contemporary

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