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il manifesto ha pubblicato un mio racconto in versione ridotta per la stampa il 07/08/13. La versione integrale del racconto si può leggere anche su Nazione Indiana, dal 09/09/13. Davide Orecchio È la storia di Abraham Plotkin, un ebreo americano, disoccupato, sindacalista che nell’inverno del 1932 andò a vivere a Berlino. Pensava di entrare nella capitale dei rossi, nella patria dello Stato sociale. Voleva apprendere e riportare un po’ di quella patria in America. Invece imparò i comizi di Goebbels, le uniformi naziste, la miopia socialdemocratica, i morti di fame di Wedding. Tenne un diario scrupoloso, pubblicato negli Usa (An American in Hitler’s Berlin. Abraham Plotkin’s Diary, 1932-33, a cura di Catherine Collomp e Bruno Groppo, University of Illinois Press, Urbana and Chicago, 2009). Testimoniò ogni giorno fino all’incendio del Reichstag, la notte del 27 febbraio ’33; la presa del potere nazista. Sperò, si spaventò, chiese. “Hitler avanza. Cosa intendete fare?” Gli rispondevano: “Non si preoccupi, è tutto sotto controllo”. Nelle pagine di Plotkin rivive la classe dirigente di Weimar col suo ballo spruzzato di Riesling sul Titanic. Rivivono gli ultimi giorni liberi di Berlino, in passeggiate e incontri frenetici e manifestazioni e punti interrogativi. Malato di posterità, considero la storia la concatenazione dei fatti che dovevano accadere e sono quindi accaduti. Ma nel diario di Plotkin ho incontrato il passato presente. L’ombra della storia prima che si cucinasse la pietanza ineluttabile. L’organismo del “tutto è possibile, e il contrario di tutto”. È stata un’esperienza interessante. Il racconto è una “digestione” del diario di Plotkin. Le scene e gli aneddoti sono molti: la prostituta di Alexanderplatz, il giovane ebreo che chiede uguali diritti, il couscous politico berlinese, le conversazioni con socialisti e sindacalisti che rassicurano Plotkin: “Hitler non prenderà mai il potere”. E poi spariscono tra arresti e bavagli.
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