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Basta con l'Euro, e venga l'apocalisse Alle cinque di mattina mi sono svegliato perché non riuscivo a respirare. Merda. Il dottore me l’ha detto: non andare mai in luoghi che siano più in alto dei mille metri: il mostro metropolitano più spaventoso della terra si trova a duemilacinquecento. Per non parlare dell’inquinamento spaventoso della conurbazione di trenta milioni di abitanti. Mi sparo due milligrammi di cortisone, poi tre poi quattro. Dormo, mi sveglio, dormo mi sveglio di nuovo, mi viene a prendere Eugenio. E comincia il tormento. Avenida insurgentes è la strada più lunga del mondo, un biscione di cinquantatré chilometri che attraversa l’immensa metropoli da sud a nord. Milioni di disgraziati la percorrono ogni giorno perché l’inferno salariato li obbliga a farlo, ma basta un percorso su Insurgentes per capire che siamo in trappola. Eugenio chiacchiera amabilmente e io amabilmente rispondo, ma i miei polmoni si stringono poco alla volta come noccioline spaventate. I can’t breathe, I can’t breathe. E’ questo, lo so, il segno del tempo che inizia. Ne usciremo vivi? E come? Mentre l’economia mondiale è un autobus lanciato a tutta velocità verso il precipizio adesso il petrolio scende a 60 dollari al barile. Un affarone per chiunque voglia continuare a strangolare l’umanità. Per fortuna la recessione ha ridotto un po’ i consumi di petrolio negli ultimi anni ma ora gli strangolatori vogliono rilanciare il loro piano di strangolamento. E’ naturale. Mezz’ora, un’ora un’ora e un quarto un’ora e mezza… il traffico è bloccato in ogni punto della Insurgentes, il cielo è grigio e l’aria mefitica. Faccio un esercizio di yoga nella mia mente e continuo a chiacchierare amabilmente con Eugenio. Un’ora e quaranta, un’ora e quarantacinque. Un’ora e cinquanta e compare la UNAM, siamo salvi. Con ritardo raggiungo gli amici che mi aspettano. All’interno dell’edificio protetto da immense lastre di cristallo l’aria sembra essere meno , respiro lentamente, la testa mi gira follemente, non capisco quasi niente, e fra un’ora debbo parlare. Alle cinque del pomeriggio l’anfiteatro comincia a riempirsi, vado in bagno, mi sparo cortisone nella garganta, entro, mi siedo. Molti amici mi abbracciano che non vedevo da anni. Il panico da asma si dirada, la voce non mi viene fuori ma poco alla volta ci riuscirò. Ricorderò queste due ore e mezzo di discussione come un incubo. Parlo per quaranta minuti come mi hanno chiesto di fare, la voce cresce poco alla volta, e seguo il filo del mio ragionamento con quel poco di ossigeno che alimenta il cervello. Quella che stiamo vivendo, dico, è l’agonia del capitalismo neoliberale, e dobbiamo saperlo: nella fase che viene non c’è più spazio per la democrazia, non c’è più spazio per i diritti umani. Il capitalismo finanziario a questo stadio assume la faccia del crimine sistematico. Chi sono i cosiddetti Narcos, chi sono gli Zeta? Nient’altro che neoliberisti coerenti, neo-darwinisti sociali radicali. Io non posso parlare del Messico perché questo lo conoscete meglio voi. L’anfiteatro è pieno di gente, seduti per terra, seduti sui gradini là in fondo. Posso però parlarvi del continente euro-asiatico che si trova sul bordo di una guerra civile generalizzata. Posso parlarvi della distruzione del progetto europeo che gli agenti del dogma finanziario hanno ormai portato alla sua fase finale. Il collasso è imminente, ma non sappiamo quali forme assumerà. Può assumere le forme della violenza fascista, può assumere le forme di una vittoria nazionalista in Francia. Il Fronte nazionale ha come obiettivo centrale la rottura dell’alleanza con la Germania, il nemico dell’identità francese: questo obiettivo sta per realizzarsi. La prevista vittoria del Fronte nazionale sarebbe l’inizio di una fase convulsa di guerra razziale in molte regioni d’Europa, un marasma sociale che porterebbe a compimento la distruzione della vita civile che i nazi-liberisti hanno intrapreso da trent’anni. Ma il collasso può assumere un’altra forma, e a questo dobbiamo lavorare, anche se i margini sono stretti. Fino a pochi mesi fa potevamo dire, come ancora dice Tsipras, che i veri europeisti siamo noi, e che noi soltanto possiamo salvare l’Unione dalle conseguenze del dogma neoliberale. La finanza globale ha attaccato il progetto europeo da Maastricht in poi e ora il signor Juncker, quell’orrendo maiale che offriva sconti alle corporation che investivano in Lussemburgo ma non intende far sconti ai lavoratori europei, sta per dare il colpo di grazia alla nuca della società europea. Tsipras ripete che noi siamo qua per salvare l’Europa da questi sfruttatori, che solo una svolta radicale delle politiche sociali può restituire al progetto europeo una possibilità. Ci ho creduto, l’ho detto e scritto, ma ora non ci credo più più. E’ finita, il cadavere dell’Unione europea è steso per terra come uno stoccafisso. L’Unione finge di esistere soltanto perché il sistema finanziario non ha ancora finito di succhiare il sangue che resta nelle vene della società. Ma è finita, e ora occorre riconoscerlo e agire di conseguenza. O lo faremo noi o lo faranno i fascisti. Basta con l’euro, e venga l’apocalisse. Nell’apocalisse troveremo il modo di reinventare forme di organizzazione autonoma della società, creeremo strutture di autodifesa armata, sperimenteremo forme di riappropriazione della ricchezza che ci hanno sottratto. Sapremo farlo? Non lo so, ma non c’è altra strada che l’autorganizzazione del lavoro cognitivo per la destrutturazione del castello di automatismi suicidi costruiti dal finazismo e per la ricombinazione dei saperi e delle tecniche secondo un principio di valore d’uso e non di accumulazione. Quando finisco inizia una discussione densissima, tesa e tranquilla allo stesso tempo. Quel che è successo in Messico negli ultimi anni, quella mattanza ininterrotta che i giornali attribuiscono ai narcos per tranquillizzare la buona coscienza della borghesia internazionale, è un anticipo di quel che accadrà in Europa se non saremo capaci di tagliare la strada agli assassini. Un ragazzo con la barba interviene per dire che il tono della discussione è troppo teso, che non dobbiamo lasciarci spingere ad accettare i toni emergenziali, né le modalità psichiche del panico. Autoterapia in progress. Quando la discussione volge al termine inizia un rito che non mi aspettavo. Qualcuno, in mezzo al pubblico grida: Uno.. e qualcuno gli risponde: Dos… poi molti dicono: tres. Poi tutti urlano all’unisono Quatros… Cinco… Seis… e così continua, in un crescendo che fa venire la pelle d’oca, fino a quarantatre, quando le voci di centinaia di persone bellissime, di intellettuali coltissimi, di ragazzi e ragazze, di maestri e maestre all’unisono cantano: VIVOS LOS LLEVARON VIVOS LOS QUEREMOS. Cosa sta succedendo in Messico? Cosa sta succedendo negli Stati Uniti dove si prepara la dimostrazione nazionale a Washington?
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