Fonte: PauperClass
Tutele crescenti, se riesci a sopravvivere! C’è una robusta dose di darwinismo sociale insita nella precarietà del lavoro ed esistenziale. Che sopravvivano i più adattabili, scordandosi le illusioni di emancipazione e benessere del passato! L’habitat neocapitalistico, per le classi dominate e disintegrate culturalmente è decisamente ostile e lo diventa ogni giorno di più. La pianificazione del vecchio “mondo amministrativo”, cioè del capitalismo del secondo millennio, non è compatibile con il nuovo capitalismo finanziarizzato, che ha implicato il superamento della storica lotta di classe borghesia/proletariato (in un modo che lo stesso Marx non poté prevedere) e del compromesso fra stato e mercato, moderatamente emancipante a livello di massa. Il novello mostro si nutre di precarietà e instabilità esistenziale, suscitando crisi continue per crescere. Il darwinismo sociale è anglosassone o angloamericano, se si preferisce così come lo è la genesi del nuovo capitalismo del terzo millennio, che fa schizzare in orbita i “servizi finanziari”, avvolge nella cappa della creazione del valore azionaria, finanziaria e borsistica la dimensione produttiva e ignora, in quanto non pericolose per la sua riproduzione, le tribolazioni delle masse lavoratrici dominate. Queste ultime non più proletariato antagonista o rivendicazionista, ma semplicemente classe povera, in cui confluisce una parte rilevante del ceto medio pauperizzato sono sempre più plagiate e assoggettate. La loro condizione (e così il loro “profilo psicologico”), fra qualche decennio assomiglierà a quella dei vernae romani, ossia gli schiavi nati da madre schiava nella domus, che non avevano esperienza alcuna di una vita libera. Questa descrizione sommaria è particolarmente vera per l’Italia, in cui gli “schiavi di casa”, nati nella domus, sono i precari delle nuove generazioni, che già oggi non hanno memoria dei diritti riconosciuti in passato ai lavoratori e delle tutele offerte dai contratti a tempo indeterminato. Il lavoro di flessibilizzazione dei lavoratori altrimenti detta “cinesizzazione” del fattore-lavoro è in pieno corso, ma deve proseguire con accelerazioni fino alle estreme conseguenze. Per tale motivo Renzi e la sua banda di governo, al soldo dell’occupatore monetario e finanziario del paese, spingono sullo jobs act e sul riordino delle forme contrattuali. Il trucco è quello ormai ben noto delle tutele crescenti. Si parte da una condizione di precarietà, sancita dal nuovo contratto, e poi, se il lavoratore senza diritti resisterà, se non sarà furbescamente licenziato per assumere qualcun altro senza tutele, se non gli faranno mobbing per costringerlo ad andarsene, se avrà una vita lavorativa abbastanza lunga per “maturare” nel tempo qualche diritto, gradualmente gli sarà riconosciuta, diluendola nel tempo, qualche sparuta tutela. Quella scelta dal governo è una strada subdola per continuare con la precarietà del lavoro ed estenderla, giacché i nuovi lavoratori saranno assunti con questo contratto-trappola. Non si vuole veramente ciò che si dice di volere, cioè i diritti dei lavoratori pur “a scoppio ritardato”, ma si vuole ciò che non si dice, ossia centellinare i diritti legandoli al maturare di una lunga anzianità di servizio, improbabile in questa situazione di deindustrializzazione e di crisi endemica. Per tale motivo è stato emendato l’articolo 4 del ddl Poletti, riguardante appunto il lavoro, relazionando subdolamente l’acquisizione dei diritti con l’anzianità di servizio. Sopravvivano i migliori, anzi, i peggiori, i più flessibili, i più disposti a vendere il culo o addirittura a strisciare, sopportando qualsiasi angheria, pur di avere uno straccio di lavoro (comunque malpagato) con qualche simulacro di diritti maturato nel tempo. Se non è una forma di darwinismo sociale quello di Renzi e dei suoi complici, cos’è?
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