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Panagulis vive. E si chiama Nikos Romanos, simbolo di un paese che muore di fame Nikos Romanos sta morendo. È questa la tragica notizia che proviene dall’ospedale Gennimatas, ad Atene, dove il ragazzo è ricoverato a seguito dello sciopero della fame iniziato circa tre settimane fa nel carcere di Koridallos, dov’è detenuto prigioniero. La storia Rileggendo la storia di Nikos, sembra di rivivere le esperienze di Alekos Panagulis, rivoluzionario e poeta greco, descritto e raccontato anche nei suoi aspetti più privati da Oriana Fallaci, sua compagna di vita, nel libro Un Uomo. Anche Nikos, infatti, combatte una sorta di dittatura: un regime moderno, orchestrato non da tiranni, ma da un più subdolo network di forze ostili, che vanno dagli organi di polizia sempre meno controllati perché unica forza in grado di tenere a bada un popolo affamato al governo, all’Europa. Sì, perché in questa storia si intrecciano più fattori che vanno oltre il singolo fatto; ma andiamo ad analizzarli nel dettaglio. Il 6 dicembre del 2008, Nikos Romanos esce di casa per partecipare alla festa di compleanno di un suo amico, nel quartiere Exarchia. Con lui c’è anche Alexis Grigoropoulos, conosciuto qualche tempo prima tra i banchi di scuola e da allora divenuto suo amico per la pelle. I due appena quindicenni passano e lanciano alcune battute agli uomini in divisa presenti a Exarchia; niente di straordinario, visto anche il quartiere da sempre problematico , ma la reazione della polizia è immediata e sproporzionata: gli agenti inveiscono contro i due ragazzi e cominciano a sparare ad altezza uomo. Un proiettile raggiunge Alexis, che cade a terra, esalando l’ultimo respiro ai piedi del suo amico Nikos. È qui che comincia la storia di Romanos, è da quel sangue sulle mani che la vita del ragazzo prende una strada completamente diversa da quella che avrebbe potuto essere. In Nikos, ragazzo di buona famiglia, cresciuto in ambienti definibili “borghesi”, in quel momento si accende una rabbia incontenibile: contro la polizia, contro la magistratura, contro il “sistema” in generale. Partecipa ad un attacco dinamitardo, poi al rapimento di un dentista di Velvendòs e a due rapine - per finanziare la lotta anarchica contro due banche, a causa delle quali viene arrestato e portato in carcere. Pur smentendo di essere un membro dell’organizzazione terroristica “Cospirazione delle Cellule di Fuoco” e anche i giudici confermeranno la sua estraneità non si sottrae alle sue responsabilità e, anche quando viene brutalmente pestato dagli agenti penitenziari e le sue foto fanno il giro del paese, non chiede punizioni per gli uomini che lo hanno ridotto a una maschera di sangue. Semplicemente perché lui, combattendo il sistema, non può chiederne l’aiuto. Si dichiara quindi “prigioniero politico” e diffonde un comunicato in cui scrive: “Vorrei che i maltrattamenti che ho subito sensibilizzassero l’opinione pubblica”. Stop. Da buon capo rivoluzionario a soli vent’anni sa che l’unico modo per combattere il sistema è scuotere la popolazione dal torpore quotidiano. E allora cominciano lettere dal carcere, poesie e comunicati. Nikos diventa una leggenda e la sua storia fa il giro del mondo, proprio come accaduto con Panagulis al tempo dei colonnelli. Nikos, però, intende anche studiare e laurearsi. Passa i test d’ammissione e s’iscrive alla facoltà di Amministrazione delle Aziende Sanitarie di Atene. Le istituzioni, allora, cercano di far vedere che lo Stato è buono e si prende cura dei suoi prigionieri: il Presidente della Repubblica gli rivolge i più vivi complimenti e il ministro della Giustizia gli assegna un premio di 500 euro; tutto respinto al mittente, senza alcuna esitazione. Il suo rifiuto, in coerenza con le sue scelte, ha però la conseguenza d’irritare le istituzioni. E così, le autorità carcerarie e il ministero di Giustizia non gli concedono la possibilità di poter frequentare l’università, adducendo il pericolo di fuga. Lo sciopero E arriviamo alle ultime settimane: in seguito al diniego delle autorità, Nikos comincia uno sciopero della fame, spiegando il perché in un lungo comunicato dal titolo “Soffocare per un soffio di libertà”. Alla sua protesta, aderiscono anche gli altri due complici della rapina a cui partecipò Romanos. Sono ormai più di 25 giorni che Nikos porta avanti questo sciopero e le sue condizioni di salute sono tali per cui è stato ordinato il suo trasferimento all’ospedale Gennimatas di Atene. In decine di città greche sono stati organizzati cortei, presidi di solidarietà, occupazioni di edifici pubblici. Il 1° dicembre, gli studenti del Politecnico di Atene hanno occupato l’università per sostenere le rivendicazioni di Nikos. Il giorno successivo, uno dei più grandi cortei degli ultimi due anni ha avuto luogo nelle strade della capitale greca: più di 10mila persone hanno dimostrato la loro solidarietà e il loro sostegno al prigioniero politico, e anche in questa occasione sono avvenuti pesanti scontri tra forze di polizia e manifestanti. E non è bastato che il ministro della Giustizia proponesse l’istituzione di corsi universitari a distanza a cui poter accedere tramite webcam per placare la protesta. Al contrario, è montata l’indignazione in tutto il paese e, il 6 dicembre anniversario dell’omicidio di Alexis Grigoropoulos migliaia di studenti sono scesi ad Atene, a Salonicco e a Patrasso: come si temeva, la polizia non ha esitato a usare il manganello contro i manifestanti e diverse foto e video lo dimostrano. Lo stesso giorno, la famiglia ha accettato l‘invito del presidente Samaras ad incontrarsi per “trovare una soluzione”; Nikos si è subito dissociato da tale iniziativa: “Dichiaro in tutti i modi possibili che la richiesta dei miei genitori di incontrarsi con Samaràs mi trova assolutamente contrario. Capisco ovviamente la loro ansia, visto che rischiano di perdere il proprio figlio. Samaràs però ha un’immagine chiara dei fatti e non serve alcun incontro per informarsi di fatti che conosce ed approva pienamente”. Ora, la domanda che tutti si pongono è: il governo lascerà morire Nikos? E’ evidente come vi sia una guerra aperta tra la Grecia e Romanos, ma perché arrivare a un punto di non ritorno e non mostrare un po’ di benevolenza verso un ragazzo accusato di rapina, non di terrorismo? E perché l’Europa lascia che un suo paese membro violi così palesemente i diritti umani? Il diritto allo studio non è forse per tutti? Probabilmente, la risposta risiede nelle idee che il ragazzo trasmette. E nel simbolo che Nikos ormai incarna, da vivo come da morto.
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