dagli Usa dall'Italia

http://www.thedailybeast.com/world.html

Cuba Is A Kleptocracy, Not Communist
By Romina Ruiz-Goiriena
19.12.14

Castro’s Hipster Apologists
By Michael Moynihan
18.12.14

Obama Ends 50 Years of Failure With Cuba
By Christopher Dickey
18.12.14

Cuba Protects America’s Most Wanted
By Michael Daly
18.12.14

The Pope’s Diplomatic Miracle
By Barbie Latza Nadeau
17.12.14


http://www.greenreport.it
18 dicembre 2014

La fine dell’embargo costringerà Cuba a fare una nuova rivoluzione?
di Umberto Mazzantini

Obama, Castro e Papa Francesco fanno arrabbiare i repubblicani Usa

I repubblicani (e qualche democratico) hanno immediatamente condannato l’annuncio, dato contemporaneamente da Barack Obama e da Raúl Castro (dopo 18 mesi di colloqui segreti incoraggiati da Papa Francesco ed ospitati dal Canada) del ristabilimento delle relazioni diplomatiche tra Usa e Cuba e della fine di fatto dell’embargo che ha soffocato, impoverito ma non domato l’isola dove Ernesto Guevara divenne El Che. Un embargo anacronistico e fallimentare, come ha riconosciuto francamente lo stesso Obama, perché la dittatura comunista cubana non è certo peggiore dei regimi che la circondano nei Caraibi e in Centro-America, ha garantito (buone) assistenza sanitaria ed istruzione universale ed ha raggiunto un livello scientifico che i Paesi vicini si sognano. Il regime cubano ha molti imperdonabili difetti, ma gli Usa in questi anni hanno appoggiato, armato, addestrato dittature fasciste e liberiste che hanno conculcato i diritti umani dei loro popoli molto più del castrismo e non è un caso se anche la nuova sinistra latinoamericana e caraibica, che ha scelto la strada della democrazia, non ha mai abbandonato Cuba e non è un caso se continua a vincere in libere elezioni, come successo nella piccola Dominica solo qualche giorno fa.

Ormai il dipanarsi degli eventi storici che abbiamo vissuto ieri sera è noto: l’annuncio è arrivato dopo che il governo cubano ha rilasciato Alan Gross – detenuto con l’accusa di spionaggio a Cuba – e un altro agente dei servizi segreti Usa. Cuba in cambio ha avuto indietro tre di quelli che definisce eroi e gli Usa considerano spie e gli Usa hanno detto che toglieranno Cuba dalla lista degli Stati canaglia, anche perché, dalla Baia dei Porci in poi, il terrorismo tra Cuba e gli Usa lo hanno praticato molto di più gli Usa, a partire dalle decine di tentativi di far fuori l’invulnerabile Fidel Castro.  Termina un embargo crudele (anche se tecnicamente accadrà solo dopo la decisione ufficiale del Congresso Usa), imposto nel 1961, che spinse Cuba nelle braccia dell’Unione Sovietica, della quale è rimasta orfana senza fare un passo indietro dalla scelta di uno strano socialismo caraibico fatto di controllo e lassismo, di sostenibilità forzata, che fa di Cuba uno dei Paesi più ecologici del pianeta,  di turismo condito di prostituzione, di grande generosità, come nel caso dei medici cubani in Africa per combattere Ebola – citati anche da Obama – e di improvvisa durezza ideologica, di splendide ed inquinanti auto degli anni ‘50 tenute insieme col fil di ferro  e voglia di entrare con un balzo nel mondo digitale.

Ma quello che noi occidentali fatichiamo a capire, anche da turisti a Cuba alla ricerca delle sue bellezze naturali o spesso femminili e maschili, è che quello che per noi è arretratezza per un haitiano e un centroamericano, per un abitante degli slum dimenticati di Santo Domingo o di Kingston, per i campesinos che reclamano i corpi decapitati dei loro figli nel Messico in mano ai cartelli della droga, quello che per noi è povertà è un futuro possibile, più dignitoso, giusto ed umano del terribile presente che stanno vivendo: è un Paese povero che è riuscito a non perdere la sua allegria e tutto viene perdonato alle mummie dei vecchi rivoluzionari che ancora comandano all’Avana, tutto perché sono stati loro a resistere al gigante, a mostrare la strada di un affrancamento dagli yankee e dai loro servi fascisti che sembrava impossibile.

Che a consentire la realizzazione di tutto questo, di un gesto clamorosamente semplice  – quello di prendere atto delle differenze, del «Todos somos americanos» di Obama e del  «Debemos aprender el arte de convivir, de forma civilizada, con nuestras diferencias»d i Raúl Castro – sia stato un Papa latinoamericano che viene dalla terra di Che Guevara è una cosa altrettanto grandiosa e significativa e segna un altro punto a favore di Papa Francesco, che non cessa di stupire perché non si conforma al nuovo ordine caotico, perché cerca di evitare quella che chiama la terza guerra mondiale, perché è riuscito a ricucire uno strappo che durava da 53 anni a rimettere insieme una tela attraverso la quale si intravede un futuro diverso per le Americhe, che non sarà facile per Cuba, uscita di botto da un isolamento che ha innalzato anche mura spesse di ideologia, propaganda, autarchia e paura.

E’ contro questa pacificazione che si scaglia il Partito Repubblicano definendo l’accordo «Un’altra della lunga serie di concessioni senza cervello ad una dittatura» e lo fa proprio nel giorno in cui vengono fuori le compromettenti carte sull’addestramento ed il finanziamento dei militari fascisti brasiliani al tempo del regime che mise in galera e torturò l’attuale presidente Dilma Roussef,  è contro questo Papa “progressista” che si scaglia la destra religiosa statunitense e l’integralismo cattolico di uno  come il senatore di origine cubana Marco Rubio, presidente della sotto-commissione Emisfero Occidentale della Commissione affari esteri del Senato Usa, che ha giurato di «Fare ogni sforzo per bloccare questo tentativo pericoloso e disperato» e che ha aggiunto «La nuova politica si basa su un’illusione, su una menzogna e stabilisce un pericoloso precedente che non farà che indurre gli altri tiranni da Caracas a Teheran a Pyongyang a vedere come possono trarre vantaggio dall’ingenuità del presidente Obama durante i suoi due ultimi anni di incarico».

«Ma – come scrive ThinkProgress – la  protesta dei repubblicani contro la nuova politica contraddice la loro  fede nella potenza delle economie del libero mercato . Con la politica dell’amministrazione, tra le altre modifiche, gli Stati Uniti ripristinano le piene relazioni diplomatiche, la facilità di viaggio in 12 categorie esistenti, consentono  agli Stati Uniti di importare più prodotti, di espandere le esportazioni verso Cuba. L’apertura del commercio e le opportunità di investimento probabilmente spingeranno  Cuba verso un’economia più in stile americano, del  tipo di quella che i repubblicani sostengono che conduce alla libertà». Ma i repubblicani sanno bene che liberismo e democrazia non sono – se mai lo sono stati – sinonimi e che gli Usa fanno affari ed intessono alleanze con Paesi iperliberisti ma le cui dittature feroci, sostenute ideologicamente e/o religiosamente, fanno impallidire il comunismo caraibico castrista. Paesi come l’Arabia Saudita e le altre monarchia assolute del Golfo che hanno accompagnato i presidenti repubblicani in tutte le loro fallimentari guerre mediorientali ed afghane per la “libertà”, inguardabili satrapie asiatiche magari ex o ancora nominalmente comuniste, nei quali gli imprenditori statunitensi fanno affari stringendo mani ben più insanguinate e rapaci di quelle di Fidel Castro. E’ lo stesso Obama a ricordare ai repubblicani che è stato il repubblicano  Nixon a ristabilire relazioni diplomatiche con la Cina, «Un paese molto più grande e retto anche da un Partito comunista, che è altrettanto responsabile di schiacciare il dissenso e di altre violazioni dei diritti umani». Ma quello che fa più male alla destra Usa è che Obama abbia detto agli americani: «Metteremo fine ad un approccio obsoleto che per decenni non è riuscito a far avanzare i nostri interessi e invece cominceremo a normalizzare le relazioni tra i nostri due Paesi. Questi 50 anni hanno dimostrato che l’isolamento non ha funzionato. E’ tempo di un nuovo approccio». Ha ragione e probabilmente due grandi vecchi come Papa Francesco e Fidel Castro sorridevano ascoltandolo, convinti che un’ingiustizia era stata sanata. La pensa così anche la stragrande maggioranza dei cubano-statunitensi di seconda, terza e quarta generazione, finora ostaggio di una minoranza di nostalgici anticastristi alla Rubio, la pensa così anche il 56% degli statunitensi.

Ora per Cuba comincia il futuro, comincia la navigazione in mare aperto, il regime non potrà più giustificare mancanza di libertà e ritardi con la necessità di resistere all’embargo, il comunismo cubano da oggi è orfano dell’ideologia contrapposta che lo aveva contrastato con una stupidità rara, con un embargo costato 975 miliardi di dollari. Oggi a Cuba cambia tutto e gli eredi del castrismo sono in mare aperto, sanno che dovranno navigare a vista e stringere alleanze ancora più forti con i governi di latinoamericani e caraibici democraticamente eletti. L’altra ipotesi, quella di una svolta “cinese” non sembra percorribile: Raúl Castro non è Deng Xiaoping. Ma va dato atto a quel che resta della vecchia guardia rivoluzionaria, a  Raúl e Fidel Castro, di aver ritrovato lo spirito dello sbarco dal Granma, della Sierra, di Cianfuegos e del Che e di aver spinto Cuba nel futuro, verso una nuova avventura, verso una nuova rivoluzione che potrebbe cambiare Cuba, le Americhe e forse il mondo. Onore a loro, a Obama ed a Papa Francesco.  Il primo gennaio, anniversario della rivoluzione, i cubani avranno molto da festeggiare, anche gli anti-castristi.

Nessuno sa cosa uscirà da questa contaminazione, da questo futuro che irrompe, forse un nuovo socialismo o forse Cuba tornerà ad essere il bordello degli Usa, ma contiamo sull’allegria inossidabile e sull’orgoglio ritrovato del popolo cubano perché Cuba rimanga un Paese “sostenibile” e fieramente indipendente.

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http://iljournal.today
18 dicembre 2014

Chi non vuole far pace con Cuba

In America c’è un bel pò di gente che non intende appoggiare Obama nella riappacificazione con Cuba. Si tratta dei Repubblicani. Ma anche per loro non sarà un’operazione facile

«Questo Congresso non revocherà l’embargo, intendo usare ogni mezzo a mia disposizione per bloccare il maggior numero dei cambiamenti». È stata simbolicamente affidata a Marco Rubio, il figlio di immigranti cubani eletto senatore in Florida e considerato uno dei possibili candidati Gop alla Casa Bianca, la dichiarazione di guerra dei repubblicani alla storica svolta annunciata ieri da Barack Obama per la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Cuba. Una guerra che il Congresso, che dal prossimo gennaio sarà completamente controllato dal Gop, intende avviare da subito, come ha annunciato Lindsey Grahm, che nel nuovo Senato sarà alla guida della commissione che ratifica gli stanziamenti per il dipartimento di Stato: «farò tutto quello che è in mio potere per bloccare l’uso dei fondi per aprire un’ambasciata a Cuba. La normalizzazione dei rapporti è un’idea sbagliata in un momento sbagliato». «Le relazioni con il regime di Castro non devono essere rivedute, tando meno normalizzate fino a quando il popolo cubano non sarà libero», gli ha fatto eco John Boehner, Speaker della Camera. Ma nel lanciarsi in questa guerra ideologica contro la svolta di Obama, i repubblicani però rischiano di trovarsi in difficoltà con dei loro importanti alleati, le grandi lobby del business che, per quanto per interessi politici più vicine ai repubblicani, su questo sostengono il presidente democratico nella necessità di aprire il dialogo, ed opportunità di mercato, con Cuba.

Thomas Donohue, presidente della Camera del Commercio degli Stati Uniti, infatti ritiene che le azioni di Obama, che ha sollevato una serie di restrizioni sui commerci ed i viaggi, permetterà «il fiorire di opportunità per la libera imprenditoria». In effetti, il presidente ha sua disposizione poteri esecutivi consistenti per rendere di fatto le restrizioni imposte dall’embargo prive di significato, anche se per una sua revoca formale sarà necessario il voto del Congresso. Quello che comunemente viene chiamato l’embargo, il bloqueo in spagnolo, in effetti è un complesso di sanzioni – i cui termini sono dettati da sei diverse leggi dal Trading with the Enemy Act of del 1917 al Trade Sanctions Reform and Export Enhancement Act of 2000 – che sono state varate, e periodicamente rinforzate dal Congresso, a partire da John Kennedy nel 1962. Secondo gli esperti le sei leggi «sono scritte in modo da permettere grande libertà di manovra con i poteri esecutivi, dando al presidente molto discrezionalità che sembra intenzionato ad usare», come ha detto John Kavulich, consigliere dell’U.S.-Cuba Trade and Economic.

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Giovedì 18 dicembre 2014

Cuba, Obama cambia verso
di Fabrizio Casar
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La notizia che tutte le persone dotate di buon senso attendevano da decadi è arrivata. Gli Stati Uniti rivedono in forma e sostanza la loro politica verso l’isola socialista. Sebbene non sarà facile l'abrogazione del blocco, che potrà darsi solo con il voto del Congresso a maggioranza repubblicana, i poteri presidenziali permetteranno all'Amministrazione Obama di procedere verso la normalizzazione delle relazioni diplomatiche con Cuba.

Da subito, insieme ad una serie di misure destinate a svuotare il blocco, come primo significativo atto della nuova fase, Obama ha accolto la proposta di Cuba di uno scambio tra Alan Gross, detenuto a L’Avana e i tre cubani prigionieri negli Stati Uniti. Un gesto auspicato da diverso tempo da Cuba e che rappresenta ora un importante inizio di questa nuova fase delle relazioni tra i due paesi.

Fidel l’aveva promesso al suo popolo e così è stato. Volveran (torneranno) era stata la parola che in questi anni aveva accompagnato ogni presa di posizione in ogni parte del mondo che chiedeva il ritorno a Cuba dei suoi eroi antiterroristi imprigionati negli Stati Uniti, giudicati da processi farsa e condannati sulla base dell’odio politico degli USA verso l’isola caraibica. E ora sono liberi e a casa, premio finale di una politica che il governo cubano ha saputo costruire miscelando dialogo e fermezza, decisionismo politico e aperture costanti.

Un atteggiamento che ha reso chiaro all’interlocutore statunitense come il confronto era tra pari e che la soluzione del conflitto su tema degli attacchi terroristici contro Cuba e il diritto di essa a difendersi non avrebbe trovato altro terreno possibile che non vedesse le parti trattare sulla base dell’eguaglianza, come si deve a due paesi che reciprocamente riconoscono il loro diritto alla sicurezza.

A simbolizzare l'accordo, persino nelle comunicazioni ai rispettivi popoli c’è stata uguaglianza, visto il contemporaneo intervento del presidente Usa e di quello cubano a commentare il nuovo cammino intrapreso. Dopo aver entrambi ringraziato Papa Francesco e il governo del Canada per l’opera di mediazione svolta, il Presidente Obama si è detto convinto che “non si possa procedere per sempre con politiche identiche sperando che diano risultati differenti”, riconoscendo quanto meno l'inutilità delle misure adottate fino ad oggi. Affermando in spagnolo “tutti siamo americani” (disarticolando così la Dottrina Monroe), e dicendosi convinto che “dobbiamo imparare l’arte di convivere civilmente con le nostre differenze”, il presidente USA ha chiamato il Congresso “a rimuovere ostacoli ed impedimenti che restringano i vincoli tra i nostri popoli” chiedendo così di approvare rapidamente la fine del blocco contro Cuba.

Concetti simili quelli esposti dal Presidente cubano Raul Castro, che in un discorso alla nazione ha affermato che “L’Avana è pronta a stabilire livelli di cooperazione negli ambiti multilaterali come le Nazioni Unite” e, pur ricordando come i due paesi abbiano “visioni differenti sul tema dei diritti umani e politica estera, da parte di Cuba c’è la volontà di dialogare con gli Usa su questi temi”.

Immediati i complimenti per il cambio di politica da parte di Washington da parte di Papa Francesco e del Segretario delle Nazioni Unite Bank Ki Moon, così come da diversi leader latinoamericani, primo dei quali il Presidente del Venezuela, Nicolas Maduro, che ha affermato si debba riconoscere al Presidente Obama “un gesto valoroso”.

La liberazione di Alan Gross, il contrattista dell’USAID arrivato a Cuba per contribuire alla costruzione di una rete clandestina sovversiva, nell’ambito del progetto governativo statunitense di “attività per lo sviluppo della democrazia a Cuba”, (cioè l’interferenza a scopo di destabilizzazione del clima politico nell’isola), è stata da alcuni anni la richiesta di Washington a L’Avana come viatico per l’apertura di un processo che portasse gradualmente alla “normalizzazione delle relazioni”.

Da parte sua, Cuba - che nell’ambito dell’accordo ha deciso di liberare altri 53 detenuti per sovversione ed una spia statunitense di origine cubana - aveva sempre proposto lo scambio del detenuto statunitense con i tre eroi cubani prigionieri con un duplice obiettivo: il primo, ovviamente, era quello di riportare a casa uomini che a buon diritto e senza nessuna retorica è possibile chiamare eroi.

Seppelliti sotto pene detentive pazzesche, in nessun momento hanno accettato di sottomettersi alle esigenze politiche statunitensi fornendo versioni che avrebbero potuto risparmiargli la detenzione. Hanno continuato a subire ogni privazione ed ogni affronto ma gridando al mondo la verità della loro missione: infiltrarsi nella rete terroristico-mafiosa della FNCA e smascherare i loro piani terroristici contro l’isola.

La liberazione di due di essi era già arrivata nei mesi scorsi per lo scadere delle loro condanne, mentre tre rimanevano ancora prigionieri. Contro l’assurdità delle condanne e per la loro liberazione, in ogni dove del mondo si sono pronunciati parlamenti e singole personalità politiche, intellettuali, artisti, uomini e donne di ogni categoria e professione, giuristi ed organi di stampa. Ed è evidente come questa campagna internazionale abbia ottenuto l’effetto di rendere ogni giorno più difficile mantenerli prigionieri e, dunque, ogni giorno più possibile avviare un dialogo che prevedesse la loro liberazione.

Il secondo obbiettivo cubano era invece tutto politico: mettere sulla bilancia la liberazione di Alan Gross e quella dei tre prigionieri cubani significava chiarire al mondo che chi da Miami combatteva le infiltrazioni terroristiche contro Cuba aveva ben ragione di farlo, dato che dette operazioni venivano realizzate anche dalle agenzie statali USA, nell’ambito del progetto di sovvertire l’ordine sociopolitico cubano.

Mettere sullo stesso piano Gross e i tre cubani significava costringere gli Stati Uniti ad ammettere che Gross era a Cuba per conto del governo USA, così come Renè Gonzalez, Gerardo Hernandez, Fernando Gonzalez, Antonio Guerrero e Ramon Labanino erano negli Usa per conto di Cuba. Tutti avevano una missione da compiere

Assai diverse tra loro, però. I cinque lavoravano per fermare gli attentati che in 55 anni sono costati all’isola centinaia di morti e feriti e miliardi di dollari di danni, mentre Gross era a Cuba come soggetto attivo nelle più recenti operazioni di destabilizzazione contro l’isola, realizzate tramite la manipolazione della Rete internet, il sostegno ai cosiddetti “dissidenti”, le attività spionistiche realizzate dalle ONG fintamente indipendenti. Operazioni che si sommavano al blocco economico e commerciale, all’aggressione diplomatica e alla propaganda anticubana, formando i tanti - non tutti - tasselli del puzzle che disegna l’ostilità degli USA verso Cuba.

Da parte cubana si registra una inevitabile soddisfazione per l’esito auspicato in questi anni. Non si tratta, peraltro, solo del riconoscimento implicito da parte degli USA del diritto di Cuba a difendersi ed ottenere comunque un risultato politico indiscutibile nel tenere allo stesso tavolo, con pari dignità, Davide e Golia, ma anche di vedere ora, in una prospettiva politica di breve termine, la fine di una ostilità ed un odio anacronistico che può aprire per entrambi i paesi un cammino diverso.

Per Cuba la normalizzazione delle relazioni con gli Stati Uniti rappresenta di per sé un ulteriore conferma di come 55 anni di resistenza non sono stati vani; le aperture già determinatesi con l’evoluzione del socialismo cubano troveranno ulteriore rafforzamento da questo passaggio. Il cui significato sarà, fino a quando non si accompagnerà alla fine formale del blocco economico, soprattutto politico, ma il cui valore simbolico rappresenta la fine di un’era e l’inizio di un nuovo corso della storia.

Per gli Stati Uniti, il riconoscimento dell’interlocuzione politica con Cuba, sollecitato dai suoi mass media più prestigiosi, apre uno scenario interno inedito, giacché riporta per la prima volta in 50 anni la titolarità della politica verso Cuba nelle mani della Casa Bianca. I repubblicani daranno battaglia affinchè il Congresso non approvi la fine del blocco contro Cuba, e d'altra parte ciò dal punto di vista dei loro interessi è comprensibile. Non solo uno dei capisaldi della loro politica viene messo in crisi, e per di più con Congresso e Senato nelle loro mani, ma la Casa Bianca pone il partito repubblicano in totale isolamento nei confronti dell'opinione pubblica interna ed internazionale.

Inoltre, l'iniziativa di Obama riduce enormemente, in un colpo solo, l’influenza della lobby affaristico-mafiosa diretta dalla FNCA in Florida e mette i parlamentari eletti grazie ai suoi voti in una posizione secondaria. Assesta un ulteriore colpo all’area più reazionaria e recalcitrante del partito repubblicano e pone la Florida, uno degli stati-chiave per l’elezione del Presidente, di fronte ad uno scenario che vedrà ripercussioni enormi sul piano dell’equilibrio dei poteri locali quando le leggi anticubane e l’intero blocco dovessero cessare di esistere.

Basti pensare a cosa sarebbe dei colossali affari che la FNCA realizza con l’immigrazione clandestina il giorno che la Ley del pie mojado (“legge del piede bagnato”, con la quale si stabilisce che ogni cubano che arrivi a toccare il territorio americano sia immediatamente residente, mentre di ogni altra nazionalità viene arrestato). Sul traffico di clandestini tra Cuba e Usa la FNCA ha costruito una parte consistente delle sue fortune, con le quali ha continuato a finanziare la sua corte di terroristi anticubani.

Non è un caso che il Senatore Marco Rubio, che rappresenta il volto nuovo della lobby parlamentare anticubana diretta dalla FNCA di Miami, abbia dichiarato immediatamente che “lo scambio rappresenta un precedente pericoloso che mette a rischio gli statunitensi nel mondo”, che la visione di Obama è “ingenua e ignorante e tradisce i valori statunitensi” e la sua ventriloqua, Yoani Sanchez, abbia commentato che “il castrismo ha vinto”. Per lei, come per i suoi compari nell’isola, il vento sarà indubbiamente diverso: la normalizzazione delle relazioni non potrà non determinare la fine degli stanziamenti verso la sovversione, o comunque una sua significativa riduzione.

Per l’analfabeta politica che gli Usa avevano scelto come bandiera della democrazia, si apre una fase diversa, dove i milioni di dollari accumulati avranno bisogno di oculatezza negli investimenti, visto il futuro che si prospetta meno generoso. Nel momento in cui Washington dovesse ritenere superflua la sua esistenza, non basterebbero certo gli Aznar o i Vaclav Havel a garantirle le ricchezze ricevute in cambio delle sue menzogne strampalate diffuse in tutto il mondo con l’aurea di verità indiscutibili. 

Sotto il profilo della politica interna USA, poi, c’è da sottolineare come il processo di normalizzazione delle relazioni con Cuba sia sempre stato un proposito di Hillary Clinton e che lo stesso Obama, all’inizio del suo mandato, sei anni orsono, aveva ritenuto dover mettere in agenda.

Il compito di rivedere la presenza di Cuba nella lista dei paesi che patrocinano il terrorismo spetterà a John Kerry, che in passato - va ricordato - fu uno dei senatori che denunciarono il loro scetticismo sui finanziamenti statunitensi alla “dissidenza”, arrivando a dubitare fortemente non solo dell’efficacia ma soprattutto della gestione poco trasparente di quei finanziamenti.

Obama ha quindi deciso di assecondare le pressioni che imprese, media e cittadini statunitensi hanno diffuso da ormai molti anni, liberando la Casa Bianca dalla morsa ricattatoria della comunità cubano americana, che dalla Baia dei Porci ad oggi ha rappresentato il più emblematico caso di esercizio lobbistico dannoso per il paese e, cosa altrettanto importante, sul piano dell’immagine sceglie di chiudere uno dei buchi neri storici della politica estera USA.

Evidentemente liberatosi dalla cautela, vista la fase finale del suo ultimo mandato, Barak Obama ha deciso di dare un segnale forte alla sua amministrazione, di passare in qualche modo alla storia come il presidente che mise fine ad una posizione politica ridicola e condannata dal mondo intero, abbattendo così l'ultimo pezzo d'intonaco del muro ereditato dalla guerra fredda. E, così facendo, guadagnandosi almeno una parte di quel Nobel per la pace prematuramente offertogli all’inizio del suo primo mandato.

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