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giugno 5, 2014

Giornata mondiale dell’ambiente, quanto costano i Mondiali al pianeta?
di Simone Cosimi

Le stime per il periodo dei match e i lavori parlano di 1,4 milioni di tonnellate di CO2. A cui aggiungere i trasporti. Il bilancio è peggiore di quello sudafricano

Quattro anni fa, per i Mondiali in Sudafrica, l’impatto ambientale è stato uno dei più pesanti mai registrati da un simile evento. Roba da far accapponare la pelle a chi proprio oggi, a pochi giorni dal calcio d’inizio di Brasile 2014, celebra la Giornata mondiale dell’ambiente. I campionati vinti dalla Spagna in finale contro l’Olanda costarono infatti qualcosa come 900mila tonnellate di CO2, dieci volte più dei precedenti del 2006, in Germania. Dove i 12 stadi erano stati tutti ripensati in prospettiva ecosostenibile e due, l’Allianz Arena di Monaco e il Grundig Stadion di Norimberga, arrivarono all’appuntamento con una certificazione dell’ente euroepo Emas in tasca. Insomma, era difficile fare peggio. Eppure in Brasile ci sono riusciti.

A quanto pare, infatti, la stima è di circa 1,4 milioni di tonnellate di anidride carbonica. Anche se, in fondo, c’è un distinguo da fare: mentre le 900mila sudafricane erano relative alla sola competizione calcistica, nel conteggio sudamericano sono invece state inserite, oltre al mese di partite, anche i lavori realizzati negli anni precedenti – e a dirla tutta ancora in corso a poche ore dall’inaugurazione con Brasile-Croazia. A ben vedere, dunque, un risultato tutto sommato decente. Anche se, nuova svolta, solo il traffico aereo sprigionerà l’equivalente di 560mila automobili in viaggio costante per un anno. E dunque i conti andranno fatti alla fine, come sempre.

Bilancio migliore se invece paragonato a quello delle ultime Olimpiadi di Londra, che in sette anni hanno prodotto un impatto da 3,4 milioni di tonnellate di CO2. Nonostante una strategia molto forte in termini green che fruttò tuttavia appena 100mila tonnellate in meno grazie a sistemi come riciclo di acque nere e grigie o a strutture smontabili e a basso impatto come velodromo o il London Olympics Basketball Stadium.

In quell’occasione, il peso del solo periodo delle gare (compresi dunque spostamenti di pubblico, atleti e funzionari, infrastrutture, ristorazione, strutture temporanee) fu di 1,7 milioni. Si spera fra l’altro che molto di ciò che è stato fatto per i Mondiali che stanno per partire in Brasile torni utile proprio per i prossimi Giochi Olimpici.

In ogni caso, 1,4 milioni di tonnellate costituiscono un peso notevole. E non basteranno certo l’app lanciata dallo zelante ministro dell’Ambiente Izabella Teixeira insieme all’Unep, che l’altro giorno ha ricordato – unendosi a un ritornello che accomuna tutti gli organizzatori alla vigilia di ogni appuntamento – come “la Coppa del Mondo sarà al 100 per cento senza produzione di emissioni dirette, che sono quelle sotto il nostro controllo, come alloggi, edilizia e mobilità“. Vedremo se quella soglia già elevata, e fornita d’altronde dal ministero brasiliano, non dovrà essere ritoccata al rialzo.

Così come non basterà il solito, scivoloso traffico sul mercato dei crediti di carbonio, o l’incentivo all’uso di biofuel per le compagnie aeree locali, a mitigarne gli effetti. Anche perché il quadro in termini di inquinanti è aggravato da una serie di criticità riscontrate in diversi prodotti, dal pallone Brazuca a diversi accessori di grandi marchi sportivi: “Su 17 delle 21 scarpe da calcio e sulla metà dei guanti da portiere testati sono stati trovati pfc ionici come i pfoa, acido perfluoroottanoico, una delle categorie più tossiche tra i pfchanno per esempio spiegato da Greenpeace giorni fa.

Ciononostante alcuni passi avanti – a patto di voler per un momento tralasciare tutte le contraddizioni di una kermesse segnata da violenza e soprusi – sembrano essere stati fatti in termini ambientali. È il caso, per esempio, di alcune strutture come lo stadio Castelão di Fortaleza, prima struttura del genere in Brasile a strappare la certificazione Leed, firmato dall’architetto David Douek. Dalla raccolta differenziata al car sharing fino al riutilizzo pressoché totale dei materiali frutto della demolizione del precedente impianto.

Oppure lo stadio Pernambuco di Recife, dove il 20 giugno l’Italia giocherà contro l’Inghilterra: illuminazione solo a moduli fotovoltaici. O ancora la prima arena a impatto zero, il Naçional della capitale Brasilia. Anche qui sistema di produzione di energia solare e recupero delle acque piovane per servizi igienici e irrigazione del manto erboso: consumi tagliati dell’80%. Un po’ come al Das Dunas di Natal, dove gli Azzurri di Cesare Prandelli affronteranno l’Uruguay il 24 giugno, o il mitico Maracana di Rio de Janeiro. Vittima tuttavia di continui problemi e ritardi, come molte delle infrastrutture legate ai Mondiali. E come un bilancio che, alla fine di appuntamenti come questi, fatica a essere positivo.

Non manca infine l’impianto della discordia: l’Arena Amazônia di Manaus, lo stadio nella città sulle rive del Rio Negro. Nel cuore del polmone del mondo, disboscato – non fa mai male ricordarlo – di un quinto nell’ultimo mezzo secolo. La struttura, costata oltre 250 milioni di euro e destinata all’abbandono, ha manifestato continui problemi di stabilità e costretto all’impiego di materiali non esattamente green date le elevatissime temperature (38 gradi di media) e l’alta umidità.

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