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31 luglio 2014

Argentina in default, ma una via d’uscita è ancora possibile
di Raffaella Cascioli

Una prima conseguenza del secondo fallimento in tredici anni sarà quella di allontanare nuovamente la prospettiva di vedere l'Argentina finanziarsi sui mercati internazionali dei capitali, da cui è esclusa dal 2001.

Nonostante il secondo default in 13 anni, l’Argentina non si arrende e i negoziati proseguono di nuovo oggi con i fondi speculativi americani che pure sono stati la causa di questo fallimento.

Il default in questo caso è stato causato da un problema tecnico visto che se per gli hedge found l’Argentina ha scelto il default rifiutando di prendere in considerazione soluzioni creative, il ministro dell’economia di Buenos Aires Axel Kicillof (nella foto) ha respinto al mittente le accuse negando il default nei fatti visto che l’Argentina ha pagato ma i fondi sono stati bloccati. Se per l’Argentina è tutta colpa del giudice newyorcheseThomas Griesa che si è trovato a gestire una situazione complessa andando al di là della sua giurisdizione, l’agenzia di rating S&P ha abbassato la valutazione del debito argentino a “default selettivo” rispetto alla precedente valutazione di CCC-. Una mossa che, per gli analisti dell’agenzia di rating, significa che l’Argentina non ha onorato una certa parte delle sue obbligazioni o un’emissione specifica, ma continua a pagare altri tipi di debiti nel tempo.

Per il momento l’Argentina non solo non è nel panico, ma soprattutto  rispetto ai 100 miliardi di default del 2001, stavolta l’ammontare del mancato pagamento si aggira intorno ai 539 milioni di dollari che il governo della terza economia dell’America Latina non è in grado di pagare entro la mezzanotte di oggi.

Secondo gli analisti una prima conseguenza del default sarà quella di allontanare nuovamente la prospettiva di vedere l’Argentina finanziarsi sui mercati internazionali dei capitali,  da cui è esclusa dopo il fallimento nel 2001. Tuttavia, non tutto sembra perduto visto che è possibile ancora trovare con i creditori un accordo. In questo caso il tempo non è una variabile indipendente: prima si troverà un’intesa minore sarà l’impatto sull’economia argentina mentre più si allungheranno i tempi e più il contraccolpo sarà avvertito nel paese che pure oggi, rispetto al 2001, mostra dati macroeconomici migliori.

I primi segnali si sono registrati già ieri quando la catena di distribuzione francese Carrefour ha annunciato l’intenzione di ridurre i propri investimenti nel paese.

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