http://www.greenreport.it/ Greenpeace China ha definito la Capitale non adatta alla sopravvivenza degli esseri umani Lo smog chimico che avvolge da settimane l’immensa area metropolitana di Pechino ha creato una situazione che un rapporto di Greenpeace China ha definito non adatta alla sopravvivenza degli esseri umani. Il governo cinese, che nonostante i continui annunci di limitazione del traffico automobilistico e di chiusura delle fabbriche più inquinanti, non sembra in grado di gestire una situazione che sembra aver raggiunto il punto di non ritorno, non ha trovato di meglio che censurare i messaggi critici postati sul Sina Weibo, il più popolare sito di social media del Paese, considerato il Twitter della Cina. La pazienza dei pechinesi e di chi abita nelle regioni nei dintorni della capitale cinese sembra essere finita dopo una settimana di smog venefico, ancora peggiore degli episodi precedenti. Secondo la Radio nazionale della Cina, il numero di pazienti con asma e enfisema che cercano aiuto negli ospedali di Pechino è raddoppiato. Nonostante un fronte freddo arrivato il 26 febbraio abbia disperso molti inquinanti, la situazione dell’inquinamento a Pechino e in molte altre città cinesi è così drammatica che su Sina Weibo sono cominciati ad apparire messaggi con dure critiche all’inefficienza del governo. Cosa rarissima nella Repubblica popolare, e la cosa ancora più eclatante è che le critiche sono state riprese da media statali, i quali hanno ripubblicato due articoli del New York Times e della Reuters sui fallimenti ambientali del governo. Entrambi i posti sono stati condivisi su Sina Weibo, ma sono stati rapidamente fatti sparire dalla censura che tiene sotto controllo il “Twitter cinese”. L’articolo del New York Times “In Beijing, Complaints About Smog Grow Louder and Retaliation Grows Swifter” rilancia quanto scrive il China Central Television Finance Channel, che pubblica le critiche verso i comportamenti della popolazione, degli enti locali e del governo centrale cinese per la “airpocalypse” dello smog, che questa settimana a Pechino ha raggiunto un livello che supera di 20 volte quello considerato sicuro dall’Organizzazione mondiale della sanità. E gli internauti su Sina Weibo hanno cominciato a postare le domande che si fanno i giornalisti stranieri: «C’è qualcuno che si preoccupa ancora per lo smog di Pechino?». In particolare ha fatto furore il post «il governo municipale di Pechino non si nasconda dietro lo spesso smog». La China Central Television Finance Channel è arrivata a dire «la gente diventa intorpidita. Il governo deve proteggere il suo territorio e non agire in maniera indifferente». Radio Free Asia dice che insieme ai due articoli che sono stati eliminati da internet, da Sina Weibo sono stati rapidamente fatti sparire anche tutti i riferimenti ad un rapporto dell’Accademia delle scienze sociali di Shanghai, che dichiara Pechino “invivibile”. E’ molto probabile che il governo comunista abbia imposto la censura dopo che non era scattata quella autoimposta di Sina Corp, la società privata che gestisce Sina Weibo, che ha in atto un radicale cambio del sito e che non sembra avere più interesse a censurare i commenti. Ma il governo cinese ha messo all’opera la sua polizia internet, forte di circa 50.000 persone, che collabora con 300.000 membri del Partito comunista in quello che è stato definito da The Atlantic e da Pro Publica «il più ampio sforzo mai attuato per censurare selettivamente l’espressione umana». Come fa notare la Reuters gli articoli della China Central Television non saranno presi alla leggera da «un governo ossessionato dalla stabilità, che vuole essere visto come duro sull’inquinamento dagli abitanti delle città più ricche, stanchi di un modello di crescita economica a tutti i costi che ha contaminato gran parte dell’aria, dell’acqua e del suolo della Cina». Siccome in Cina niente accade per caso, è chiaro che se una televisione pubblica critica governo e municipalità di Pechino c’è qualcuno di molto potente dietro a queste critiche. Forse anche per questo l’amministrazione della Capitale cinese ha annunciato per l’ennesima volta un inasprimento delle misure contro l’inquinamento a partire dal primo marzo, quando l’Ufficio municipale per la protezione dell’ambiente avvierà la prima settimana di applicazione della legge ambientale approvata a gennaio. L’iniziativa sarà poi ripetuta ogni prima settimana di tutti i mesi e dedicata, scrive l’agenzia ufficiale Xinhua, volta «a trattare i problemi riportati dall’opinione pubblica, che vanno dalle caldaie a carbone alle emissioni industriali. La prima settimana del genere che inizierà sabato avrà come obiettivo principalmente le centrali a carbone che producono il riscaldamento invernale o gli eccessi di emissioni constatati nel 2013». Anche Xinhua è consapevole della crescente insofferenza e sottolinea che «il nuovo regolamento molto atteso è visto come un test della determinazione del governo a risolvere i problemi di inquinamento dell’aria. Tra le nuove misure adottate ce n’è una che legifera su pene che vanno da pesanti ammende fino alla prigione per gli inquinatori e, per la prima volta, una che fissa un limite per il totale di emissioni dei principali inquinanti. Una precedente linea guida prendeva di mira solo l’aumento delle emissioni». Se è chiaro che il governo centrale sta cercando di scaricare sulle amministrazioni locali la colpa di non aver applicato le direttive antinquinamento nazionali, è altrettanto chiaro che il regime non può certo dichiararsi incolpevole di quel che (non) combinano gli alti dirigenti del Partito comunista che governano le metropoli cinesi. Anche per questo il presidente cinese Xi Jinping ha cominciato il 26 febbraio un tour nell’immensa area metropolitana di Pechino per parlare degli sforzi da fare per la lotta contro l’inquinamento. Secondo Xi, «la protezione dell’ambiente a Pechino necessita di un approccio di ingegneria sistematica. A questo problema deve essere data una maggiore attenzione perché l’inquinamento dell’aria è un problema importante che tocca la qualità della vita della popolazione». Il Presidente cinese ha sollecitato anche a «rafforzare gli sforzi per tenere sotto controllo lo smog», e ha detto che «la priorità è quella di limitare i PM2,5, soprattutto riducendo la dipendenza dal carbone, controllando in modo stringente i veicoli ed adeguando gli impianti industriali». Il problema è che la crescita cinese si basa per il 70% proprio sull’energia prodotta con il carbone, e che circa il 20% dell’inquinamento atmosferico cinese è causato da fabbriche che producono beni da esportare verso altri Paesi (compresi ovviamente quelli dell’Unione europea, e gli Usa). Se il più popoloso Paese del mondo continuerà su questa strada caricherà ogni anno nell’atmosfera 4 miliardi di CO2. E la “airpocalypse” cinese non riguarda solo la Cina: secondo lo studio “China’s international trade and air pollution in the United States” pubblicato a gennaio su Pnas da un team di scienziati cinesi, francesi, britannici e statunitensi, in alcuni giorni, l’inquinamento cinese trasportato dal vento attraverso l’Oceano Pacifico, può rappresentare dal 12 al 24% delle concentrazioni di solfato negli Usa. Li Junfeng, direttore generale del National Center for Climate Change Strategy and International Cooperation, intervenendo il 23 febbraio ad una Conferenza a Pechino, in una sola frase ha riassunto la situazione: «L’inquinamento in Cina è in una fase insopportabile. E’ come se un fumatore dovesse smettere di fumare tutto di un colpo, altrimenti rischia di ammalarsi di cancro ai polmoni».
|
|