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7 ottobre 2014

Hong Kong può scatenare una rivoluzione cinese?

di Shamus Cooke

Traduzione di Maria Chiara Starace

“Il potere non concede nulla senza una richiesta” Frederick Douglas

Il cuore di Hong Kong è scosso da una storica resa dei conti, tra il governo cinese e il movimento di massa che lo sta affrontando. La gente chiede la rimozione del governatore nominato da Pechino e insistono che votino per la sua sostituzione. Il governo cinese ha promesso zero concessioni, creando un’inevitabile collisione con effetti potenzialmente rivoluzionari.
Il governo ha fatto due volte tentativi di reprimere il movimento con la violenza: sono entrambi falliti miseramente. Ogni volta la replica è stata che migliaia di persone nuove hanno aderito al movimento. Il giorno dopo che le bande filo-governative hanno attaccato i dimostranti, circa 200.000 persone si sono mobilitate. E dopo ogni nuova e anche più grande mobilitazione, le nuove minacce da parte del governo sembravano sempre più patetiche.
Uno studente a capo delle proteste è stato citato sul New York Times:
“Sappiamo che ogni volta che ci attaccano, ci opponiamo più duramente, e sappiamo di essere sulla strada giusta, altrimenti il governo non avrebbe così paura di noi.”
Questo rassomiglia a una dinamica che viene descritta come la “frusta della controrivoluzione,” in cui la violenza del governo “incita” la gente ad agire, spingendo avanti il movimento.
Il movimento di massa ha creato una situazione grave per il governo cinese. E’ lo stesso problema che affrontano tutti i governi quando sono presi di mira da un movimento di massa che ha una richiesta forte: se il governo si arrende, esprime ad alta voce la sua debolezza, invitando a nuovi attacchi che utilizzano la stessa strategia di continue mobilitazioni di massa. E’ molto rischioso per governo un concepito per l’elite mostrare che può essere turbato dalla gente che si mobilita.
E’ specialmente rischioso per la Cina, dal momento che ci sono altre regioni che osservano da vicino Hong Kong che saranno o stimolate o impaurite dai risultati. La Cina ha un lato particolarmente vulnerabile nella la sua periferia, particolarmente Hong Kong, Taiwan e il Tibet.
La gente ha ipotizzato che Taiwan ricadrebbe gradualmente nell’orbita della Cina, ma questa logica è stata messa in dubbio, dato che il processo verso la riunificazione è in fase di stallo. Questo ha fatto infuriare Pechino e ha portato qualcuno a chiedersi se il governo sta perdendo il controllo della periferia. Qualsiasi successo della protesta a Hong Kong servirà soltanto a dare energia a coloro che a Taiwan cercano di mantenere le loro distanze dalla Cina.
Una super potenza emergente non può tollerare dei blocchi sulla sua strada così evidenti contro l’espansione. Il governo cinese è così stanco di agire passivamente, sia a livello nazionale che internazionale, quando invece si sente in grado di accelerare gli eventi con la forza. Distruggere il movimento di Hong Kong darà un esempio alle altre regioni e agli altri gruppi etnici dentro i confini della Cina. Tuttavia, non riuscire a distruggere il movimento, avrà esattamente l’effetto opposto.
Il governo cinese, deve affrontare un pericolo ancora più grosso proprio nel suo centro: la classe operaia cinese. Dalla rivista Economist:
“…è ancora possibile che [il Segretario Generale Xi Jinping] autorizzerà la forza. Questo sarebbe un disastro per Hong Kong, e non risolverebbe il problema del Signor Xi, perché anche la Cina sta diventando irrequieta.”
Per un decennio la classe operaia cinese ha condotto un contrattacco contro lo sfruttamento esagerato che è cresciuto durante la transizione verso il capitalismo. La Cina ha ora divari di disuguaglianza in stile americano. Durante la transizione capitalista, 30 milioni di lavoratori statali sono stati licenziati nell’opera di massiccia privatizzazione delle risorse dello stato che hanno creato miliardari creando allo stesso tempo sempre più ampie richieste per la produttività dei lavoratori – lavorare più rapidamente e/ per tempi più lunghi – per promuovere i profitti delle aziende.
Lo stereotipo di tipo razzista del cinese docile e schiavo del salario è stato fatto a pezzi dall’azione collettiva. Business Week riferisce:
“Dal 2000 fino al 2013, almeno 10 proteste hanno attirato più di 10.000 persone…le cause scatenanti più comuni sono le acquisizioni di terre da parte di funzionari locali, i problemi del lavoro, l’inquinamento, e le tensioni etniche. Gli insegnanti sottopagati, i proprietari di case, e i minatori che estraggono il carbone sono tutti scesi in piazza a un certo punto. Non c’è un conteggio definitivo del numero di proteste che si organizzano ogni anno in Cina, ma le stime dei ricercatori dell’Università Nankai a Tianjin indicano il numero in 90.000 nel 2009.”
Questi scioperi e questa proteste hanno aumentato con successo i salari e i benefici in Cina, che sono stati ripetutamente dichiarati “brutte notizie per i profitti delle aziende.”
I salari più alti hanno minacciato il modello capitalista commerciale della Cina, che fa ultra affidamento sulle esportazioni a basso costo che sono basate sui salari da schiavi. Il movimento operaio cinese è riuscito ad aumentare il prezzo della mano d’opera, e ora le nazioni vicine stanno usando il lavoro coatto per competere con le esportazioni della Cina. Se le proteste in Cina avranno successo, i sindacati cinesi saranno motivati a fare richieste nuove e più audaci. E un sano movimento operaio contagerà inevitabilmente i movimenti operai delle nazioni confinanti.
Le proteste hanno già scosso e svegliato il movimento operaio di Hong Kong, aiutando ad assicurarsi una base anche più ampia di appoggio. La Confederazione dei Sindacati di Hong Kong ha annunciato di recente uno sciopero in appoggio al movimento studentesco, e ha incluso quattro richieste:
“l’immediato rilascio di tutti le persone arrestate, la fine della repressione di assemblee pacifiche, sostituendo la formula del ‘finto suffragio universale’ con la genuina riforma politica che i lavoratori hanno continuato a domandare, e le dimissioni dell’amministratore delegato della Regione Amministrativa Speciale cinese, Leung Chun Ying.”
Questo è significativo, perché i sindacati di Hong Kong hanno una lunga storia di organizzazione di proteste di massa, compresa quella molto ben riuscita del 2003, di 500.000 persone che ha alla fine portato alle dimissioni del governatore di Hong Kong. La città ha una tradizione di proteste di massa dove ogni anno diecine di migliaia – spesso centinaia di migliaia – si mobilitano a favore o contro vari problemi di solito relativi ai diritti democratici. Questa tradizione è iniziata nel 1989 quando un milione e mezzo di persone hanno protestato per dimostrare la loro solidarietà con le proteste di Piazza Tienanmen.
Però i movimenti di massa non sempre funzionano. Piazza Tienanmen è annegata nel sangue, così come le recenti proteste in Tailandia. Però nel 2002 le proteste di massa in Venezuela hanno interrotto un colpo di stato militare che cercava di cacciare il presidente Hugo Chavez. Gli egiziani hanno usato con successo la tattica di spodestare un dittatore e poi di nuovo hanno eliminato il suo successore.
Il fattore X in ogni movimento di massa è l’esercito e se i soldati sono disposti oppure no a uccidere i loro connazionali per ordine del governo. Quando la rivoluzione iraniana usava continue mobilitazioni per cacciare un dittatore appoggiato dagli Stati Uniti, il punto di svolta è stato quando si è capito che non ci si poteva fidare che le truppe dello Scià” obbedissero agli ordini del governo di uccidere i dimostranti.
Quando i soldati si rifiutano di sparare ai dimostranti – una caratteristica comune della rivoluzione – la magica corazza del governo va in pezzi, e il potere dello stato diventa inetto. Mentre riconosce la debolezza del governo davanti all’opposizione di massa, la gente inizia a riconoscere il proprio potere collettivo.
Tutta la Cina sta osservando Hong Kong attentamente, e lo fa anche l’intera Asia. Tutta la regione è influenzata dal peso economico gravitazionale della Cina, e se la regione segue le orme di Hong Kong, è in grado di tirarsi dietro il resto del mondo.



Shamus Cooke opera nel campo dei servizi sociali, è sindacalista e scrive per Workers Action (www.workerscompass.org). Lo potete contattare scrivendogli a: shamuscooke@gmail.com



Da: Z Net – Lo spirito della resistenza è vivo
www.znetitaly.or


Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/can-hong-kong-trigger-a-chinese-revolution


Originale: non indicato


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