http://www.notiziegeopolitiche.net Il ruolo geopolitico regionale di un colosso chiamato Cina. Per secoli la civiltà cinese ha rappresentato un punto focale nelle arti e nelle scienze ed ha ricoperto un ruolo principale nel continente asiatico fino al XIX secolo quando, a causa delle sconfitte militari, dell’occupazione straniera e delle calamità naturali la Cina ha subito un arresto civile, sociale, economico e politico. Dopo la Seconda Guerra Mondiale l’avvento al potere di Mao Zedong, il quale stabilì un sistema sociale autocratico fondato sugli ideali del comunismo, diede vita ad una forma di Governo che, oltre ad assicurare la sovranità territoriale, impose un rigido controllo sulla vita e sui costi delle vite di decine di milioni di persone. Dopo il 1978 il successore di Mao, Deng Xiaoping e altri leader del Partito Comunista Cinese organizzarono il paese orientandolo verso una economia di mercato e verso lo sviluppo economico permettendo al paese di quadruplicare il proprio output commerciale verso l’inizio del nuovo millennio. Per una grande parte della popolazione gli standard di vita hanno subito un miglioramento significativo e, seppure notevoli passi avanti sono stati effettuati nel campo delle scelte personali e dei diritti, il controllo politico statale rimane ancora elevato. Contemporaneamente allo sviluppo economico nazionale la Cina ha iniziato a prendere parte a molteplici organizzazioni internazionali partecipando al tavolo delle grandi potenze mondiali e assumendo un ruolo importante a livello regionale e globale. Notizie Geopolitiche ha incontrato Valdo Ferretti (1), professore di Storia dell’Asia Orientale presso il Dipartimento di Studi Orientali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma, per discutere il ruolo geopolitico della Repubblica Popolare Cinese a livello regionale e le attuali problematiche che interessano lo stato asiatico. Avendo Lei visitato la Cina e studiato l’evoluzione istituzionale ed economica cinese, potrebbe definire le linee guida attuali ed i problemi della Repubblica Popolare Cinese? “La Cina è un paese vasto dal punto di vista territoriale e diversificato internamente in cui è contrapposto il 20-30% del territorio sviluppato alla rimanente parte in via di sviluppo oppure, in alcune aree remote, arretrata. Questa opposizione a livello territoriale si riversa sulla stessa società cinese formata da più di un miliardo di persone di cui “soltanto” circa 200 milioni aventi un reddito medio-alto e formanti quella che potremmo definire una “nuova classe borghese”, utilizzando un termine occidentale. Questo divario sociale rappresenta uno dei principali problemi della Cina al quale il Governo sta cercando di rispondere attraverso il continuo sviluppo economico nazionale; la saggezza di Pechino in questo caso è rappresentata dal continuo mantenimento e dalla continua promozione dell’immagine di un miglioramento nazionale e di una crescita con l’intento quindi di indurre la maggior parte della popolazione cinese a sperare in un futuro migliore e per questo ad impegnarsi lavorativamente parlando per il raggiungimento di tale obiettivo. A questo problema di disuguaglianza sociale possiamo aggiungere quello contadino che vede la società agricola cinese sbilanciata rispetto a quella cittadina e denota in molte campagne l’assenza di un processo di modernizzazione; ulteriore problema per lo Stato cinese potrebbe essere quello della gestione pensionistica dovuto in special modo dalla politica del figlio unico la quale ha fatto sì che una sola persona debba provvedere al mantenimento dei propri genitori e del proprio nucleo famigliare. In questo caso è un problema di numeri in cui il lavoro di uno dovrebbe servire a ripagare una vita lavorativa di tanti. Il tanto pubblicizzato problema dei diritti umani, a mio parere, riguarda soltanto una fascia esigua di persone (studenti e filosofi in primis i quali vengono colpiti anche dal fenomeno della disoccupazione intellettuale) e desta maggiormente attenzione in Occidente che in Cina. In questo caso si potrebbe parlare di una “strumentalizzazione” dei media occidentali volti a favorire la notizia oppure ad analizzare uno stato asiatico molto differente dai canoni europei prendendo come matrici di studio quelle occidentali. Parlando di diritti umani e problema studentesco non si può non citare i recenti eventi di Hong Kong (2); per prima cosa vorrei sottolineare come la protesta studentesca per la riforma elettorale potrebbe rappresentare una molla per il resto del paese perché, se il Governo di Pechino accettasse quanto richiesto dai protestanti, tale precedente potrebbe favorire successive proteste all’interno di tutto il paese (problema di contagio). Dal punto di vista della democrazia per quel che concerne Hong Kong era stata garantita dall’accordo siglato tra Cina ed Inghilterra e quindi anche per un discorso di immagine e di relazioni internazionali Pechino ha tutte le intenzioni di risolvere al più presto ed al meglio tale problematica. Il Governo cinese da infatti una grande importanza all’immagine che il proprio paese ha nei confronti dell’Occidente anche se non potrà accettare ogni singola richiesta dei protestanti e quindi sacrificare la propria credibilità agli occhi dei cinesi stessi”. Nel 2006 Lei ha pubblicato il libro La questione della sicurezza nell’evoluzione della politica estera della Repubblica Popolare Cinese il quale si proponeva di analizzare i problemi di sicurezza della Cina non prescindendo dall’esame di numerosi fattori storici, culturali, sociali, istituzionali che condizionano la politica estera cinese. Attualmente, quali sono le reali minacce alla sicurezza dello Stato cinese? “Per prima cosa occorre sottolineare come la strategia cinese dal punto di vista politico strategico è quella di tutelare il proprio paese e quindi favorirne lo sviluppo economico interno non guardando molto verso l’esterno. Le minacce alla sicurezza potrebbero essere quindi quelle volte ad intaccare il sistema di sviluppo economico nazionale rispetto invece a fenomeni di violenza come potremmo concepirli noi. Inoltre, parlando del concetto di confine strategico, argomento tanto caro alla sicurezza nazionale occidentale, è possibile constatare come i cinesi abbiano una visione differente dall’Europa, infatti seppure sono molto “gelosi” dei propri limiti nazionali non hanno però elaborato nettamente una difesa della linea di confine. Analizzando gli aspetti della sicurezza della Cina, e prendendo spunto da quanto i media spesso riportano in merito al paese asiatico, fonti di instabilità e di minaccia potrebbero essere la gestione dello Xinjiang (3) oppure l’area di confine con l’Afghanistan. Per quanto riguarda lo Xinjiang, o Turkestan orientale, a mio parere tale area può considerarsi sotto controllo da parte del Governo di Pechino con un programma di sviluppo mirato ad ottimizzare le risorse presenti in loco e quindi, favorendo l’occupazione, a contrastare l’adesione alla componente terroristica. Per quel che concerne invece l’Afghanistan, il confine sino afghano è così stretto e limitato che il suo controllo da parte delle forze militari cinesi sembra garantito. Inoltre la Cina, a differenza di Stati Uniti e Russia, non ha mai espresso un diretto interesse per il paese afghano ed ha preferito sempre mantenere un profilo defilato e di secondo rilievo prestando maggiormente attenzione all’aspetto economico commerciale dell’Afghanistan e non a quello militare. Affermare che dalla “patria dei Talebani” possa venire una minaccia diretta nei confronti della Cina mi sembra un’ipotesi azzardata ed anche gli stessi collegamenti tra i Talebani e gli uighuri dello Xinjiang, per quanto possa essere la mia conoscenza in materia del fenomeno terroristico poco approfondita, appare come un problema “teorico” di destabilizzazione della Cina. Inoltre credo che il ritiro delle truppe ISAF previsto per il 2014 non rappresenti definitivamente un addio da parte degli Stati Uniti dell’Afghanistan e quindi, molto probabile, per quel che concerne il discorso sicurezza dello stato centro asiatico saranno ancora le truppe statunitensi a doversene occupare e fronteggiare la rete terroristica presente in loco”. Dal punto di vista regionale, come possono definirsi i rapporti esistenti tra Cina Giappone e Cina India? In generale quali sono i rapporti che la Cina ha con Stati Uniti e Russia, potenze che da sempre hanno mostrato interesse nei confronti della regione asiatica e che attualmente, a causa della Crisi Ucraina, sono contrapposte? “I rapporti della Cina con il Giappone e con l’India vanno inseriti nella politica estera cinese volta a garantirsi partner commerciali grazie ai quali favorire lo stesso sviluppo economico nazionale. Prendendo in esame la contesa della Isole Senkaku (4) tanto citata dai mass media la quale, secondo molti giornali, nel 2013 avrebbe dovuto raggiungere un periodo di crisi così elevato da indurre i due paesi asiatici al conflitto armato, è possibile definirla una bolla mediatica visto il grande interesse di entrambe le parti a mantenere i rapporti commerciali esistenti. Premettendo che l’area delle Isole Senkaku potrebbe potenzialmente possedere importanti idrocarburi e banchi di pesce notevoli, l’arcipelago in realtà si presenta come quasi disabitato e la sua disputa territoriale, ovviamente poco chiara, ha radici molto profonde. Per prima cosa non penso che nel XXI secolo le grandi potenze possano scontrarsi in conflitti armati per le contese territoriali come ad esempio avveniva nel 1800, inoltre il “fare la voce grossa” di Cina e Giappone in merito a tale disputa può essere visto come una volontà di entrambi i governi di dar sfogo al sentimento nazionale e all’opinione pubblica. In special modo in Cina è forte il sentimento di rivalsa nei confronti dei rivali giapponesi dopo gli eventi storici del XIX e XX secolo. Importante in chiave strategico militare è anche l’azione cinese sulla Corea del Nord in prospettiva giapponese: il Governo di Pechino tende infatti a limitare Pyongyang per evitare la ripresa militare del Giappone anche se occorre notare che, vista la politica del disimpegno avviata da Washington, dal momento del ritiro militare degli Stati Uniti sarà quasi inevitabile il ritorno giapponese al riarmo. A mio parere spesso i media tendono a drammatizzare gli eventi, anche per motivi editoriali, e quindi a spostare l’attenzione su un “clima di allarme” non fondato. Per quel che concerne il rapporto Cina India è possibile constatare l’assenza di una tendenza al conflitto armato e i recenti avvicinamenti tra i due paesi sono dovuti alla volontà del Governo di Pechino di osteggiare l’assimilazione di Nuova Delhi all’interno del sistema militare statunitense (5). La politica regionale cinese tende quindi a mantenere lo status quo attuale in cui gli equilibri esistenti con India e Giappone possano favorire il commercio e gli scambi bilaterali con questi due paesi e possano permettere a Pechino di concentrarsi sul proprio sviluppo economico. Parlando invece del rapporto con la Russia, attualmente la Cina sta beneficiando delle sanzioni imposte da Stati Uniti ed Unione Europea nei confronti della Federazione specialmente nel settore energetico (6). Potremmo considerare i rapporti sino russi, scanditi principalmente dalla partnership economica, come uno strumento di compensazione utilizzato da entrambe le parti durante i periodi di attrito con le potenze occidentali; dall’altro lato però gli Stati Uniti sono sempre molto attenti a non osteggiare troppo la Repubblica Popolare Cinese e quindi a spingerla nelle braccia russe (come alcuni analisti hanno ipotizzato recentemente)”. Note 1) Valdo Ferretti è Professore Associato presso il Dipartimento di Studi Orientali della Facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università La Sapienza di Roma. Ha compiuto stages relativi ai suoi studi presso istituzioni accademiche della Gran Bretagna, del Giappone e della Repubblica Popolare Cinese, come fellow della Japan Foundation nel 1986, e utilizzando più volte gli accordi per lo scambio di ricercatori fra il CNR e i corrispondenti enti stranieri. Ha collaborato con il Cemiss, ‘IsMeo e l’IsIao. Le sue ricerche si sono largamente, anche se non esclusivamente, concentrate, sulla storia dell’Estremo Oriente (cinese e giapponese) nella prima metà del ‘900 e sui suoi aspetti internazionali, privilegiando i seguenti argomenti: l’estremo Oriente nella politica estera italiana ( negli anni ’30 e a cavallo della fine dell’800 soprattutto), la politica estera giapponese nella prima metà del ‘900 (fino al 1954), i rapporti fra Corte e Bakufu in Giappone nel periodo Edo, Il militarismo giapponese, altri aspetti particolari di storia e cultura del Giappone premoderno, la politica estera della RPC nella seconda metà del ‘900. 2) La protesta di Hong Kong è dovuta al sistema elettivo del premier dell’ex enclave britannica. Il movimento Occupy Central sostiene la via del suffragio universale mentre l’Amministrazione cinese spinge per arrivare ad un comitato specifico che effettui la scelta di una rosa di candidati “patriottici”. Attualmente la metà dei deputati locali è eletta dal popolo ed il governatore viene scelto da 1.200 esponenti del mondo imprenditoriale, sociale e finanziario accusato di essere fedele nei confronti della Repubblica Popolare Cinese. Le manifestazioni, preparate alla fine di agosto, continuano fino ad oggi ed hanno visto di recente l’abuso della forza da parte delle Forze di Polizia e l’avvio di indagini nei confronti di quelli agenti accusati di atti di violenza contro i manifestanti. Divenuta colonia britannica dopo la Prima Guerra dell’Oppio (1839-1842), Hong Kong si espanse nel 1898 fino a comprendere il perimetro della penisola di Kowloon. In base ai trattati sarebbe rimasta britannica per 99 anni, com’è stato. Amministrata come provincia speciale, Hong Kong è sede di uno dei principali centri finanziari internazionali. Conta 7 mln di abitanti (per maggiori informazioni sugli eventi di Hong Kong vedere La rivolta degli ombrelli) 3) La Regione autonoma dello Xinjiang-Uighur (XUAR), chiamata anche Turkestan orientale, secondo un censimento stilato dalle autorità cinesi nel 2010, è composta da 21.8 milioni di persone di cui il 40.1% (8.7 milioni di persone) di etnia cinese mentre la restante parte (13 milioni circa) di etnia uighur con la presenza di minoranze turche, uzbeche, kazake e tagiche. Dalla incorporazione del Turkestan orientale all’interno della Repubblica Popolare di Cina sono state registrate più di 400 rivolte uyghur contro il governo centrale di Pechino. Secondo quanto riportato dalle agenzie internazionali presenti in loco, negli ultimi tempi il governo cinese ha rafforzato il controllo sulla regione ed ha aumentato la propria attività di contrasto al fenomeno terroristico producendosi in una serie di atti repressivi capaci di sollevare lo scontento generale. Il governo di Pechino crede che l’aspetto religioso dei cittadini uyghur sia direttamente connesso con la volontà di creare uno stato autonomo, per questo motivo le autorità hanno avviato un programma di controllo degli aspetti e delle attività religiose in XUAR; ad esempio gli Imam della regione hanno l’obbligo di concordare con il Bureau degli Affari Religiosi il loro sermone pubblico che esporranno ai fedeli durante la preghiera del venerdì, oppure, secondo le fonti locali, durante il Ramadan le autorità scolastiche avevano l’obbligo di forzare gli studenti ad assumere cibo, stessa sorte per i funzionari statali. La negazione di una autonomia ed indipendenza per gli uighur è dovuta anche al programma di sviluppo avviato da Pechino che ha trasformato una regione arretrata in un’area in cui si sono sviluppate le città ed i poli industriali con il potenziamento dei trasporti; quindi, gli ingenti investimenti monetari cinesi, uniti alla repressione religiosa e politica, fanno supporre una impossibilità o poca probabilità di ottenere l’indipendenza da Pechino. Recentemente la percentuale di popolazione di etnia cinese Han (che attualmente costituisce il 40% della popolazione) sta registrando un incremento grazie anche al fenomeno migratorio che sta interessando la regione incidendo anche sulla possibilità di avviare una propria attività economica da parte della popolazione uighur la cui maggior parte non conosce la lingua cinese e riscontra quindi difficoltà a livello amministrativo. 4) La contesta delle Isole Diaoyu-Senkaku affonda le proprie radici alla fine dell’Ottocento, quando le isole furono incorporate nel territorio nipponico. Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale, con il trattato di San Francisco, Tokyo rinunciò a diverse rivendicazioni e le isole Nansei Shoto, di cui facevano parte, furono date agli Usa per essere restituite a Tokyo nel 1971. La Cina dal canto suo rivendica la sovranità sulle Diaoyu, ricordando che furono territorio di pesca fin dai tempi antichi. Contesta inoltre quanto affermato nel Trattato di San Francisco, ricordando che all’epoca il governo nazionalista del Guomindang a Taiwan, guidato da Chang Kai-shek, allora considerato dagli occidentali il legale governo cinese, non sollevò la questione per non inimicarsi il sostegno statunitense. La contesta è tornata alla ribalta dopo la scoperta di risorse energetiche nei fondali dell’arcipelago le cui isole sono considerata di importanza strategica perché favoriscono il controllo delle rotte marittime e commerciali. Nel novembre 2013 il governo di Pechino ha annunciato che le Senkaku sarebbero state incluse nella “zona di identificazione” dell’aeronautica militare cinese, provocando le ire del governo giapponese ed inducendo gli Stati Uniti a schierarsi con il Giappone schierando due bombardieri B52 i quali sorvolarono gli arcipelaghi il 26 novembre, sfidando il governo cinese, secondo il quale tale operazione è una violazione dello spazio aereo nazionale. 5) L’amministrazione Obama ha dato il via ad una politica strategica all’interno dell’Asia che vede il riposizionamento delle risorse economiche e militari da parte di Washington le quali, secondo Pechino, tendono a creare una cintura attorno alla Cina che parte dall’arcipelago nipponico ed arriva fino all’Australia e prende in considerazione anche la Nuova Zelanda. La Cina quindi intende liberarsi da questa “morsa statunitense” rinnovando o migliorando le proprie relazioni con gli attori regionali in modo da potersi garantire la libertà di manovra utile per favorire la propria politica di sviluppo economico. 6) La notizia della settimana è la firma dell’accordo tra la Gazprom e la Chinese Natioanl Petroleum Corporation (CNPC) circa il gasdotto Potenza della Siberia il quale dovrà trasportare 38 miliardi di metri cubi di gas naturale russo nel mercato energetico cinese e l’estensione dell’accordo di cooperazione tra la Rosneft e la CNPC il quale potrebbe prevedere l’apertura di una seconda via di trasporto definita Rotta (Altai) Occidentale con una stima di gas naturale trasportato pari a 30 miliardi di metri cubi. (A tal proposito vedere Cooperazione Russia Cina nel settore energetico e Tensioni sul gas fra Ue e Russia: il fattore Cina nei progetti russi dell’Artico) Giuliano Bifolchi è analista geopolitico specializzato nel settore Sicurezza, Conflitti ed Energia. Laureato in Scienze Storiche presso l’Università Tor Vergata di Roma, ha conseguito un Master in Peace Building Management presso l’Università Pontificia San Bonaventura.
|
|