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Ucraina, il fronte della trattativa
Già una volta l’Europa, Germania in testa, ha provato a mediare tra le fazioni in campo a Kiev, ma ha fallito. Adesso la posta in gioco è ancora più alta
Berlino non molla la carta diplomatica e moltiplica il suo attivismo alla ricerca di una mediazione con la Russia che disperda i lampi di guerra in Crimea e riporti tutte le componenti ucraine al tavolo delle trattative. «Solo un compromesso politico che coinvolga tutti gli attori può evitare un’ulteriore escalation», ha ribadito il ministro degli esteri Frank-Walter Steinmeier. I tedeschi sono alla ricerca di un mediatore. L’ex cancelliere Gerhard Schröder, uno che conosce assai bene gli umori del Cremlino, aveva fin dall’inizio proposto l’Onu. Gregor Gysi, il funambolico leader della Linke, ha rilanciato con Kofi Annan, «perché qualsiasi esponente europeo sarebbe appesantito dalle troppe diversità emerse in seno all’Ue». Ora il governo tedesco ha tirato fuori dal cilindro l’idea dell’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa. E ieri Angela Merkel ha fatto sapere che Vladimir Putin sarebbe disponibile a consegnare all’Osce il bandolo della matassa: un’ipotesi avanzata anche dal vicepresidente americano Joe Biden in una telefonata col premier russo Dimitri Medvedev. Steinmeier ha ammesso che la prima mossa degli europei mediare un accordo fra l’allora presidente Yanukovich e l’opposizione, il 21 febbraio scorso è arrivata fuori tempo massimo. Il giorno dopo, la piazza di Kiev aveva già preso il sopravvento e il mondo politico ucraino aveva avviato la tradizionale danza del trasformismo, minando gli equilibri su cui si poggiava la mediazione europea. I manifestanti erano andati oltre la rappresentanza politica delle opposizioni, la Duma aveva varato provvedimenti che sovvertivano gli accordi presi e Yanukovich aveva preso cappello, rifugiandosi prima nelle regioni dell’est e poi direttamente in Russia. Una situazione rivoluzionaria aveva mandato al macero la carta firmata appena la sera prima e nessuno era più in grado di garantire una popolazione fortemente divisa. La Germania ha avuto un ruolo di primo piano nel fallimento europeo. Nelle stanze dell’Auswärtiges Amt, la Farnesina tedesca, ci si pente oggi di aver lasciato per troppo tempo il dossier sull’Ucraina nelle mani dei polacchi e dei baltici, il cui atteggiamento verso Mosca è giudicato condizionato dalle esperienze della guerra fredda. Steinmeier ha riportato in campo all’ultimo il peso degli interessi tedeschi ma era ormai troppo tardi. La linea telefonica fra la Cancelleria e il Cremlino è sempre incandescente. Berlino punta tutto sulla speranza che le mosse di Putin siano solo un tentativo di acquisire vantaggi da spendere sul tavolo delle trattative e che sia ancora possibile immaginare una soluzione per l’Ucraina che contemperi le esigenze di democrazia e libertà di metà della popolazione con quelle dell’altra metà di non vedere rescissi i tradizionali legami con la Russia. E che un piano economico per il risanamento del paese riesca a disinnescare le tensioni accumulatesi con la crisi. Ma Steinmeier deve stare attento a evitare l’errore compiuto dal suo predecessore nella crisi libica: di ritrovarsi dalla parte di compagni di viaggio imbarazzanti come Russia e Cina, nel caso in cui la mediazione fallisse e fosse necessario fare una scelta di campo.
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