fonte: Rebelion
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31 agosto 2014

L’Ucraina dilaniata da logiche imperiali
di Enric Llopis
Traduzione di Daniela Cavallo

La globalizzazione avanza verso un caos che sfugge a ogni controllo. La nota affermazione di Carlos Taibo, docente di scienze politiche a Madrid, appassionato sostenitore di movimenti anticapitalisti e anarchici, della critica all’economia e della decrescita, calza a pennello nella tragedia che dall’autunno scorso ha investito l’Ucraina: oltre duemila morti e un’escalation impressionante nel mese di agosto, secondo l’Onu. Taibo, che in passato ha scritto diversi libri sull’Europa centrale e orientale, ha pubblicato un nuovo prezioso volume sulla situazione geopolitica che fa da contesto a un conflitto difficile da spiegare come da comprendere, se si vuole sfuggire alla propaganda e alle frettolose semplificazioni da Guerra fredda degli anni Duemila. Questa recensione al libro di Taibo spiega come possono aiutare le conoscenze storiche, quella dell’oligarchia ucraina contemporanea e una visione non manichea delle cause scatenanti e delle forze in campo che rifugga dall’urgenza di prendere posizione per qualcuno degli interessi nazionali o continentali coinvolti

L’Ucraina è il secondo paese europeo per estensione (603.500 km2) dietro alla Russia e davanti a Francia e Spagna. Con 46 milioni di abitanti (nel 2009), rappresenta attualmente una polveriera geopolitica e una fonte di notizie per gli analisti internazionali. Carlos Taibo, professore di Scienza Politica presso l’Università Autonoma di Madrid ha pubblicato nell’aprile 2014 per le edizioni Catarata il libro “Rusia frente a Ucrania. Imperios, pueblos, energía”. Il libro si occupa della realtà esistente “dentro” l’Ucraina ma anche della Russia (con la sua politica estera), delle logiche imperiali in conflitto (Stati Uniti, Unione Europea e Russia), dell’episodio della Crimea, del golpe di Maidan e della situazione delle nazioni senza stato (e il loro rapporto con il diritto all’autodeterminazione).

Storicamente, l’Ucraina si è sempre trovata all’interno di un crocevia costituito da diverse logiche imperiali. Sottoposta al dominio della Polonia o della Russia, con la minaccia degli imperi ottomano e austro-ungarico, l’analisi della sua storia consente la comprensione di alcune divisioni territoriali che contrassegnano il suo presente. Se la regione di Jarkov (nell’est dell’Ucraina) entrò a far parte dell’impero degli zar nel 1533, Lvov [1] (nell’ovest del paese) è rimasta sotto il dominio di Mosca solo dal 1945 al 1991. In ogni caso, riassume Carlos Taibo, “i legami con la Russia, che sicuramente negli ultimi secoli sono stati i più rilevanti, portano con sé l’impronta di un rapporto coloniale o quasi coloniale”.

Proprio nella parte occidentale, con Lvov come centro principale, si è sviluppato il nazionalismo contemporaneo. Il potere economico, nel frattempo, si è concentrato invece nella parte orientale del paese, dove la popolazione russa si attesta attorno al 40 per cento del totale (buona parte di questa popolazione ha sostenuto negli ultimi anni una “soluzione” confederale). Anche Lugansk e Donetsk, che hanno avuto tanta risonanza mediatica, si trovano nella parte orientale. Carlos Taibo, politologo e profondo conoscitore dell’Europa Centrale e Orientale, mette in evidenza questi antecedenti (sull’Europa Centrale ed Orientale, Taibo ha pubblicato diverse opere, tra le quali “El conflicto de Chechenia”; “Rusia en la era de Putin” e Historia de la Unión Soviética”).

Una visione approssimativa dell’attuale politica dell’Ucraina può portare a distinguere tra gli “arancione” o filo-occidentali (con personaggi come Yúshenko e Timoshenko) e i “blu” o filo-russi (Yanukóvich), ma la sottile e precisa analisi di Taibo ricorda che, ben al di là delle etichette, esiste in questo paese un delicato aspetto in materia di diritti umani. “Lo testimoniano i legami esistenti tra i politici e i gruppi criminali, la corruzione dilagante che non viene punita, il maltrattamento dei detenuti e degli immigrati clandestini o le frequenti pressioni attuate nei confronti dei mezzi di comunicazione.”

Inoltre, nei confronti di coloro che consideravano Yanukóvich palesemente filo-russo, Carlos Taibo sottolinea come l’ex presidente ucraino (2010-2014) non ha mai interrotto la politica di avvicinamento all’Unione Europea, né ha abbandonato la Guam, l’organizzazione (non esattamente allineata con la Russia) comprendente Georgia, Ucraina, Azerbaigian e Moldavia, né ha inserito l’Ucraina nell’unione doganale formata da Russia, Bielorussia e Kazakistan. Tuttavia, al di là delle analisi grossolane, secondo Carlos Taibo, c’è una realtà evidente: l’oligarchia controlla la vita parlamentare in maniera tale che si crea una simbiosi tra gli interessi dell’élite politica e di quella economica. Tra i 450 deputati eletti nelle elezioni generali del 2006, ben 300 godevano di notevoli ricchezze.

In un libro di 150 pagine, il politologo galiziano inserisce 169 note con le quali rinvia ad altre opere e rimanda a una bibliografia di 119 testi. Un’eccellente capacità di sintesi. Nella sua precisa analisi l’autore mette al primo posto la geopolitica e il controllo delle risorse. “Oggi la Russia fornisce il 27 per cento del gas consumato dall’Unione Europea, e la maggior parte di questo gas defluisce attraverso il territorio ucraino. Sebbene i nuovi gasdotti ridurranno l’importanza dell’Ucraina, a meno che non succeda una catastrofe, questo paese continuerà ad essere il principale luogo di transito del gas russo diretto verso l’Europa Centrale ed Occidentale”.

Non è neppure vero che la politica estera ucraina si dibatta esclusivamente, come in un dilemma esistenziale, tra l’influenza dell’Unione Europea e quella della Russia. Attori politici come la Cina sono risultati decisivi per evitare il default del paese negli anni più duri della crisi, e i capitali della potenza orientale sono serviti per finanziare le infrastrutture dei Campionati europei di calcio (Ucraina-Polonia 2012). Questi legami, che sono stati intrecciati durante la presidenza di Yanukóvich, si sono concentrati anche nel settore dell’energia nucleare. Inoltre l’Ucraina ha partecipato alle esercitazioni della Nato e ha inviato contingenti nelle missioni internazionali in Bosnia, Kosovo e Georgia.

Giunto al cuore dei fatti, con la rivolta di Maidán (pagina 97), Taibo rifugge da spiegazioni manichee che rinviano a un conflitto tra blocchi opposti e preferisce una spiegazione multifattoriale. Secondo l’autore, più che il pan-europeismo sono stati determinanti “il rifiuto delle politiche e la corruzione imperanti nell’Ucraina di Yanukóvich” o “un codice nazionalista a malapena dissimulato” o “l’influenza di gruppi di pressione finanziati da istituzioni e organizzazioni occidentali”, così come è successo con le “rivoluzioni colorate” [2]; ed inoltre “la presenza di gruppi di estrema destra che hanno avuto un ruolo di primo piano negli scontri con la polizia ucraina”; e “l’indignazione verso la repressione attuata dalla Beirut (polizia antisommossa) ”.

Il politologo non trascura nei suoi testi la rilevanza delle nazioni senza stato e il diritto all’autodeterminazione. Il libro mette in evidenza l’incoerenza della Russia di Putin, che difende e fa valere questo principio in Crimea (dove nel 2013, il 59 per cento degli abitanti risultava russo e l’80 parlava il russo), ma non ha fatto lo stessa cosa in Cecenia, così come ha agito diversamente nel 2006 con la Repubblica di Transdniestr [3] (che si è staccata dalla Moldavia) o in relazione all’indipendenza proclamata unilateralmente dal Kosovo nel 2008.

A partire dal 7 aprile 2014, milizie filo-russe sostenute da persone dell’Ucraina orientale, hanno occupato edifici pubblici a Lugansk, Járkov e Donetsk (dove è stato anche indetto un referendum per l’11 maggio). I media occidentali hanno subito puntato il dito contro Mosca, però quanto stava accadendo “non risultava affatto chiaro”, sottolinea Carlos Taibo. Pur con ogni precauzione, “sembra in realtà che le milizie costituiscano soprattutto un problema per i governanti russi, anche se a malapena hanno potuto evitare azioni di appoggio”.

Quali sono i due principali obiettivi della politica estera russa? In parole semplici, “la difesa degli interessi del paese, soprattutto quelli economici e il mantenimento di una propria sfera d’influenza. In particolare, “per Mosca le concessioni sono giunte al termine e, una volta verificate le successive espansioni della Nato nell’Europa Centrale e Orientale, l’impegno del Cremlino è di evitare che l’Ucraina, la Moldavia e la Georgia entrino a far parte dell’alleanza. D’altronde, le politiche di avvicinamento plurilaterali della Russia (ad esempio con l’esercizio del diritto di veto all’Onu, nell’ambito dei paesi del Bric [4], nel cosiddetto “gruppo dei 20” (G20) e nelle organizzazioni per migliorare le relazioni con Turchia, Iran, India e Cina), secondo molti analisti non sono altro che opportunismo, conseguenza della debolezza degli ultimi decenni. In base a queste analisi, le logiche del Cremlino e della Casa Bianca non sono così diverse come si potrebbe invece pensare.

Spesso vengono ricordati poco gli antecedenti relativi al rapporto tra la Russia e gli Stati Uniti successivi all’implosione dell’Urss. Carlos Taibo ricorda che la potenza statunitense “non ha esitato a sostenere un presidente russo debole, Eltsin, che bene o male, assumendo posizioni di scarsa rilevanza, rispondeva agli interessi di Washington“. Successivamente, “con Putin le cose sono andate bene in un primo momento, quando la presunta crociata contro il terrorismo da parte di George Bush figlio ha ottenuto un sincero e caloroso appoggio da parte di Mosca”.

Nel libro di Taibo, però, prevalgono le sfumature, le ombre e l’acutezza analitica rifugge sempre dalle spiegazioni banali e semplicistiche. Non si tratta di accanirsi sulle politiche sviluppate dalle élite russe e le loro contraddizioni, a prescindere dal contesto. Che è quello di un’arroganza nordamericana che ha obbligato Mosca “ad intraprendere strade più indipendenti e meno compiacenti nei confronti degli Stati Uniti”. Come conseguenza di ciò, a partire dal 2007, sono aumentati i focolai di tensione: sui limiti dell’ampliamento della Nato e dell’Unione Europea; lo “scudo antimissile” statunitense; le conseguenze delle “rivoluzioni dei colori”; i conflitti in Libia e Siria; o in Georgia (2008) e in Ucraina. La Russia ostenta i suoi trionfi (relativi) in Ossezia del Sud, Abcasia, Crimea, nel fallimento delle “rivoluzioni dei colori” o nella riduzione dell’influenza statunitense in Asia Centrale.

I legami tra la Russia e l’Unione Europea meritano un capitolo a parte. Se si pone l’accento sulle relazioni economiche, il ruolo della potenza russa è assai più rilevante per l’Unione Europea rispetto a quanto lo sia per gli Stati Uniti, sebbene si tratti, secondo Carlos Taibo, di un rapporto economico “impari”. Metà del commercio estero russo avviene con l’Unione Europea, mentre la Russia raccoglie solo il 6 per cento delle esportazioni e il 10 delle importazioni Ue. Il 63 per cento del petrolio e il 65 del gas esportati dalla Russia, vengono esportati nell’Unione Europea che a sua volta concentra l’80 per cento dei suoi investimenti esteri in Russia (automobili, generi alimentari, distribuzione). Gli investimenti russi nell’Ue sono rilevanti nel campo dell’energia e dell’aviazione. Ma al di là della casistica di settore, quali esigenze soddisfano gli interessi dell’Unione Europea nei confronti della Russia? Secondo Carlos Taibo “l’eventuale sfruttamento di una manodopera a basso costo, il poter beneficiare di materie prime molto ricercate e, in questo caso, l’apertura di mercati ragionevolmente promettenti”. Taibo aggiunge che “c’è il sospetto che gli oligarchi russi e le multinazionali europee abbiano interessi affini”.

Nell’ultimo capitolo del libro –“Dieci conclusioni veloci”- l’autore di “Rusia frente a Ucraina” fa chiarezza su una serie di argomenti, come ad esempio, la figura di Putin. Suggerisce di smantellare alcuni miti associati al presidente russo, come “l’immagine di fermezza, di forza e di efficienza che lo accompagnano”. Putin non è riuscito a rimettere in carreggiata un malconcio stato federale, né a risolvere il conflitto in Cecenia (anche se era interessato al fatto che rimanesse “ragionevolmente aperto”), né a opporsi agli oligarchi, né a risolvere i gravi problemi socio-economici della popolazione.

D’altra parte, secondo Taibo, saranno sempre più frequenti i “conflitti sporchi” nel confronto dei quali risulterà difficile prendere posizione, al contrario di quanto succede rispetto a conflitti come quello del Sahara Occidentale o della Palestina. Per di più (c’è) “la dimensione simbolica, quali fuochi d’artificio, di molte situazioni di tensione”, come si è visto in Ucraina, dove “entrambe le parti vogliono dimostrare di essere all’altezza del caos che hanno innescato”. Non ci troviamo neppure di fronte a un nuovo scenario da “guerra fredda”, poiché non si scontrano due visioni del mondo contrapposte né due diversi sistemi economici. Né tantomeno è paragonabile l’ammontare delle spese militari: diversi paesi membri della Nato (presi ciascuno singolarmente) annoverano una spesa militare più alta di quella della Russia.

I mezzi di comunicazione hanno senz’altro l’agenda internazionale adeguatamente conformata e hanno chiaramente indicato il “nemico”. “Sembra come se la Russia non abbia subito alcun affronto (ampliamento della Nato, rivoluzioni dei colori o trattati commerciali non favorevoli) e si comporti come una potenza aggressiva indifferente a qualsiasi limite. La realtà, tuttavia, è piuttosto diversa” puntualizza Taibo. Uno scenario geopolitico articolato, nel quale proprio per la complessità dell’analisi, si perde di vista l’entità di questa intricata situazione: “può darsi che tra qualche anno, quando i relativi “picchi” saranno di gran lunga superati, ci sembreranno banali le discussioni su come e da chi debbano essere estratti e trasportati il petrolio e il gas naturale”.

Note

[1] Lvov o Lviv (Leopoli)

[2] Le cosiddette “rivoluzioni colorate” sono quelle che si sono sviluppate in diversi paesi dell’est dopo la caduta dell’Urss. “Rivoluzioni colorate” perché hanno avuto come simbolo uno specifico colore o un fiore: ad esempio la Rivoluzione Arancione in Ucraina (2004), la Rivoluzione delle Rose in Georgia (2003) o quella dei Tulipani in Kirghizistan (2005).

[3] Repubblica di Transdniestr o Transnistria è una regione situata tra la riva sinistra del fiume Nistru (Dnestr) e il confine ucraino. Nel 2006 oltre il 90 per cento della popolazione ha votato a favore dell’indipendenza e dell’integrazione nella Federazione Russa. Questo referendum non è stato riconosciuto dalla comunità internazionale ma solo dalla Federazione Russa. Dopo i fatti relativi all’Ucraina e alla Crimea, il 18 marzo 2014 la Transnistria ha chiesto l’adesione alla Russia.

[4] Bric acronimo utilizzato nell’economia internazionale per riferirsi congiuntamente ai seguenti paesi: Brasile, Russia, India, Cina accomunati da caratteristiche come: una situazione economica in via di sviluppo, una grande popolazione, un immenso territorio, abbondanti risorse naturali e, soprattutto nei primi anni del 2000, un forte aumento del Pil e della quota nel commercio mondiale

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