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10/04/2014

Gli oligarchi si stanno spartendo l’Ucraina
di Stefano Grazioli

Il futuro del Paese è nelle mani di Usa, Russia e ricchi poteri privati. Non del governo di Kiev

Il tavolo a Vienna sarà per quattro. Solo così si può infatti risolvere la crisi, con tutti gli attori ufficiali coinvolti nelle trattative, nessuno escluso. O quasi.

Tra qualche giorno nella capitale austriaca si troveranno i rappresentanti di Ucraina, Russia, Unione Europea e Stati Uniti, non solo perché le conseguenze di un’escalation riguarderebbero tutti, ma perché a condurre all’emergenza ognuno ha fatto la sua parte. Non è solo la questione della longa manus del Cremlino nei moti insurrezionali delle regioni del sudest dell’ex repubblica sovietica, ma del come e del perché si è arrivati a una situazione del genere, partendo dal fatto che meno di cinque mesi fa la protesta a Kiev contro Victor Yanukovich era cominciata a causa della svolta filorussa dell’inquilino del palazzo presidenziale in via Bankova.

Dalla pacifica rivolta di Euromaidan si è passati a un epilogo bagnato dal sangue, poi a un cambio di regime non proprio trasparente, passando successivamente all’annessione da parte della Russia della Crimea, per finire con il rischio di un conflitto internazionale e il collasso di uno Stato che non riesce a stare in piedi da solo, strattonato inoltre da Est e da Ovest.

Gli oligarchi

La sfida non è solo tra Ucraina e Russia, con Stati Uniti e Ue a fare da spettatori: se a Kiev sul lato interno i player sono molti, su quello esterno Mosca e Washington si fronteggiano con Bruxelles che tenta come di consueto, priva di forza e con tante anime, la mediazione. In palio c’è l’indipendenza di un Paese nato meno di cinque lustri fa e che ha già perso un pezzo per strada.

E la battaglia non è unicamente “in Ucraina” tra ucraini, ma è “per l’Ucraina” tra la Russia e l’Occidente: dopo la vicenda della Crimea, a Vienna si cercheranno di spegnere le tensioni nelle regioni orientali cercando un compromesso che accontenti non solo tutti e quattro i soggetti in questione, ma anche i convitati di pietra, e cioè gli oligarchi che a Donetsk e dintorni sono coloro che hanno ancora molto da dire: riferimento principale a Rinat Akhmetov, uomo più ricco del Paese, indiscusso burattinaio emblema dei poteri forti a cavallo tra politica ed economia.

Dopo la cacciata di Yanukovich gli equilibri sono cambiati e mentre alcuni magnati sono finiti cooptati dal potere centrale - Sergei Taruta e Igor Kolomoisky i due esempi più eclatanti, finiti a fare i governatori a Donetsk e Dinpropetrovsk - altri hanno deciso di non salire sul carro dei vincitori (Akhmetov) e altri ancora vogliono direttamente entrare nel palazzo presidenziale di via Bankova (Petro Poroshenko, Yulia Tymoshenko). Nessuno di questi sarà a Vienna, ma alla fine dei conti chi li rappresenterà dovrà in qualche modo tenere conto dei rispettivi interessi, che non sempre coincidono con quelli del Paese. 

Cresce nel Paese il nazionalismo filorusso

L’idea dell’Ucraina come Stato unitario è già finita con l’abbraccio della Crimea a Mosca e le spinte centrifughe dell’Est non sono solo da addebitare alle provocazioni del Cremlino: gli ultimi mesi hanno certificato la nascita di un nazionalismo filorusso in Ucraina, nelle regioni del sudest, in reazione alla protesta contro Yanukovich sospinta proprio dal vento antirusso soffiato su Maidan dalla destra radicale di Svoboda e dai gruppi estremisti trainati da Pravyi Sektor.

In regioni in cui il 40% della popolazione è di etnia russa, oltre il 70% di madrelingua russa, praticamente il 100% è ortodosso è stato inevitabile che gli eventi di Kiev non fossero assorbiti in maniera indolore, indipendentemente dal fatto che Yanukovich fosse a capo di un governo cleptocrate. E se da una parte, quella occidentale, il classico nazionalismo ucraino si è sempre contraddistinto per i suoi tratti antirussi, a oriente l’idea del separatismo coincide con il ritorno sotto l’ombrello di Mosca.

Putin spinge per il Federalismo ucraino

Il Donbass non è comunque la Crimea e se il primo ministro Arseni Yatseniuk dovrà fare attenzione a non lasciare troppo spazio a Svoboda, evitando la radicalizzazione, chi vuole che Donetsk diventi il capoluogo di una nuova provincia russa è solo un’esigua minoranza. Che però c’è. Il governo non ha molte alternative: usare la forza rischia sia di irritare Mosca che le regioni: nemmeno Yanukovich aveva mandato le forze speciali a Ternopil o Ivano Frankivsk. Scendere a patti è dunque inevitabile.

Le vie di Vladimir Putin sono infinite e la pressione che la Russia ha messo sulle regioni orientali dell’Ucraina, ben accetta in parte dell’élite politica e dell’oligarchia, non è solo un fattore di instabilità, ma anche un’arma per la contrattazione.Quello che Yatseniuk e il presidente ad interim Olexandr Turchynov hanno già chiamato decentramento regionale, per il Cremlino significa federalizzazione spinta, magari con l’obbiettivo presto o tardi di inglobare nella Federazione russi gli oblast (regioni, ndr) separatisti.

A Vienna tra qualche giorno si discuterà in sostanza di due punti: la nuova architettura costituzionale ucraina e la collocazione internazionale di Kiev (fuori dalla Nato), nella prospettiva di tenere insieme un Paese che ha una storia indipendente breve e un lungo passato fatto di dominazioni e confini sempre ridisegnati. Il nuovo governo ucraino non pare in grado da solo di risolvere le contraddizioni interne e di tenere testa alla pressioni esterne e anche questa volta Kiev avrà sul tavolo meno voce in capitolo di tutti gli altri.

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