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L’espansione slava dal Baltico all’Egeo Le migrazioni dei popoli slavi Dal VII al XI secolo l’Europa assiste all’ultima grande migrazione, quella degli slavi. Barbari pagani diversi dalle gentes che li hanno preceduti per lingua, religione e struttura sociale ma egualmente rivestiti di quell’ideale negativo di nemici della civiltà che già ebbero i loro predecessori. Il mondo antico guardò agli slavi con diffidenza, specialmente Bisanzio: ancora non sapevano quanto i loro destini si sarebbero incrociati in futuro. L’etnogenesi degli slavi fu un processo molto lento e tuttora oscuro: arrivati dalle steppe dell’Asia essi devono avere completato il loro percorso di costruzione etnica nello spazio che va tra il Dnepr e in Dniestr, nel bacino del Prjpiat (SI LEGGA: “Un unico popolo, una sola lingua. Alle origini degli slavi“). Da questa “culla originaria” gli slavi mossero versto ovest dall’iniziò nel V° secolo provocando continui processi di aggregazione e disgregazione di gruppi che andavano via via diversificandosi tra loro anche linguisticamente, dove in luogo di un protoslavo comune hanno preso piede le parlate locali (a tutt’oggi restano circa duemila parole comuni nelle lingue slave, ed è cosa che un viaggiatore può facilmente sperimentare visitando l’Europa dalla Macedonia alla Russia). Gli slavi e gli avari A spingere gli slavi sempre più addentro al continente europeo fu la pressione di altri gruppi, in particolare unni e avari. Dopo aver sterminato i discendenti delle tribù unne, gli avari una popolazione turcica proveniente dalle steppe incorporarono e assimilarono i superstiti (Grousset, L’empire de steppes) e, attraverso progressive espansioni, raggiunsero il basso corso del Danubio dove già stanziavano popolazioni slave e longobarde. Lo storico Menandro restituisce una cronaca dettagliata di quegli anni in cui, sfruttando la potenza avara, i bizantini cercarono di liberarsi delle popolazioni slave consentendo al re avaro Baina di transitare “con sessantamila cavalieri armati di corazza” nel territorio dell’Impero. Le popolazioni protoslave degli Anti e degli Sclaveni vennero trucidate e i primi addirittura scomparvero dalla storia. Correva l’anno 602 d.C. La dominazione avara fu tale da essere ricordata secoli dopo, con compassione e terrore, dal monaco kieviano Nestore, nel suo Racconto dei tempi passati. Fredegario, storico alla corte dei Merovingi, all’inizio del VII secolo narra di come gli slavi fossero usati dagli avari come “carne da macello”, prime linee durante le battaglie. Le tribù slave ancora libere si saldarono allora in un’unione che, in Slovacchia, Moravia e Boemia, diede vita a un proto-Stato slavo in grado di fermare gli avari, che premevano a sud, e i germani che spingevano da nord. Era quello il regno della Grande Moravia, di cui parleremo in futuro. Espansionismo slavo Liberatisi del giogo avaro, ma non dalla cultura dei dominatori, l’espansione delle genti slave raggiunse vertici mai più visti nei secoli a venire: dall’Asia minore all’Africa settentrionale, da Creta fino all’Elba. Ne nacquero, nel giro di due secoli, regni stabili nei Balcani, lungo la Vistola, sul Baltico e oltre il Dnepr. La differenziazione tra i gruppi fu lenta e inesorabile, favorita dalle cesure operate da successive espansioni gotiche o germaniche che isolarono per certi periodi le gentes slave. Dove non si formarono regni autonomi, gli slavi vennero assimilati (in Grecia), deportati (dalla Macedonia), combattuti e vinti (in Tracia), federati all’Impero bizantino (in Asia minore), colonizzati (in Germania orientale). Nella Spagna arabo-berbera della dinastia Omayyade gli slavi furono dapprima utilizzati come mercenari, poi come schiavi, e infine (coloro che seppero affrancarsi dalla servitù) come dignitari dei califfi. A questo milieu culturale si devono i primi testi slavofili, come quello a firma di un imprecisato Habib dal titolo: Contro coloro che negano l’eccellenza degli slavi. Il testo, scritto probabilmente da un intellettuale di origine slava, era redatto in arabo. E in Italia? A Palermo, fino al 1090, quando ebbe termine la dominazione araba sull’isola, esisteva una “via slava”, a render conto della presenza di quella comunità in città. Già nel VII secolo si assistette a migrazioni dalla Dalmazia, sovente associate ad atti pirateschi, e di proto-bulgari nelle Marche. Risale al 926 un documento che attesta con l’appellativo di župan (vale a dire “signore”, in serbo) il reggente della città di Vieste. La presenza slava nella penisola è quindi millenaria, con buona pace di chi oggi parla di “stranieri” inaccettabili. Lo “spazio slavo”come spazio psicologico Questa espansione verso il cuore dell’Europa segnerà i confini psicologici dello spazio slavo. Uno spazio che, anche quando le genti slave ne verranno scacciate, resterà come retaggio mitico. Alla “slavia” perduta andranno i canti e i poemi cechi, polacchi, ucraini, durante le varie occupazioni straniere. Durante il romanticismo, nell’Ottocento, alcuni letterati slavi come il boemo Jan Kollar- vedranno nella “slavia” perduta il seme per una nuova rinascita culturale. E tra le regioni “perdute” la più cara, ed amara, è senz’altro la Germania, di cui parleremo prossimamente.
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