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L'industria bellica ucraina: un altro dilemma per la Russia Una pagina preoccupante del confronto fra Russia e Ucraina la stanno (quasi) silenziosamente scrivendo in questi giorni gli uomini del complesso militare industriale ucraino: pochi sanno infatti che il 70 per cento delle esportazioni di armamenti della Repubblica ucraina sono diretti alla Russia, dai propulsori per i missili ai motori da elicottero. E non si tratta di cosa da poco, dato che la Russia ha programmato di qui al 2020 una spesa di seicento miliardi di dollari per modernizzare le proprie forze armate in un contesto internazionale che, intorno a lei, sta diventando sempre più instabile. Così lo scorso 8 maggio la direzione dello Yuzhmash ha emesso un singolare comunicato. Lo Yuzhmash, situato a Dnepropetrovsk, nell'area orientale dell'Ucraina, era uno dei più importanti complessi industriali dell'Ucraina e dell'intera Unione Sovietica, nato per sostenere lo sforzo bellico sovietico nel 1944. Da questo gigantesco stabilimento, arrivato ad impiegare 70.000 lavoratori, sono usciti infatti in periodo sovietico il primo missile a testata nucleare ed il primo missile balistico intercontinentale (ICBM), del quale l'impianto poteva produrre 120 unità l'anno, nonché numerosi veicoli di lancio nello spazio. Occorre poi ricordare che direttore di questo importantissimo stabilimento, dal 1986 al 1992, è stato l'ingegnere Leonid Kuchma, lo stesso personaggio che, come presidente, ha guidato l'Ucraina dopo l'indipendenza per un fondamentale decennio (1994-2005). Dal 1988, Yuzhmash ha prodotto uno dei più potenti missili intercontinentali sovietici, poi russi, lo R-36M2 (noto nella classificazione NATO come SS-18 Satan), tuttora punta di lancia della sua forza missilistica strategica. Dal 2003 al 2012, poi, il Ministero della difesa russo ha continuato ad affidare la supervisione tecnologica del missile, nonché il programmato allungamento del suo ciclo di vita di altri venticinque anni, sempre allo Yuzhmash, dato che pare che l'industria bellica russa non sia in grado di seguire autonomamente lo sviluppo e l'aggiornamento di questo missile. Inoltre si era avviato un programma congiunto russo-ucraino, denominato Dnepr, per la riconversione dei missili intercontinentali russi in vettori per il lancio di satelliti ad usi civili e militari. Data la situazione con la Russia, la questione ha quindi cominciato a divenire scottante: con il comunicato stampa dell'8 maggio, la direzione dello stabilimento, ha reso noto di aver stilato un accordo con il governatore della Regione di Dnepropetrovsk, una delle regioni ucraine russofone dove è particolarmente forte il movimento secessionista pro russo. Nel memorandum di cooperazione si afferma intanto che il governo regionale si fa carico di tutelare gli interessi dello stabilimento a livello nazionale, della ricerca di investitori in Ucraina e all'estero, della promozione commerciale dell'azienda, invitando partner ed investitori stranieri a collaborare con Yushmash. Si afferma anche che il governo regionale si incarica della sicurezza dell'area, controllando l'accesso alla stessa, se necessario mediante il reclutamento di un "real armed group", una unità militarizzata. Assai significativamente si precisa poi che la tensione politica con la Russia aveva messo a rischio i progetti ed i contratti in corso ma che ora "la situazione si è normalizzata" e che l'azienda manterrà fede ai vecchi contratti e nel più breve tempo possibile aprirà delle trattative in merito ai nuovi progetti. Secondo Ruslan Pukhov, direttore del think tank moscovita CAST, che si occupa di problemi militari, "piaccia o non piaccia, l'industria della difesa russa è sposata a quella ucraina. Il matrimonio ha radici profonde ed un divorzio non può che essere travagliato. Non stiamo infatti parlando di centinaia e centinaia di componenti, sistemi ecc., ma di migliaia e migliaia". Anche il maggiore complesso industriale militare ucraino, lo Ukroboronprom, che lo scorso anno ha venduto armamenti per un valore di 1,24 miliardi di dollari, avrebbe annullato i suoi contratti con la Russia, dopo che il nuovo vice-primo ministro ucraino Vitaly Yarema aveva affermato che il suo Paese deve cessare la cooperazione militare con Mosca dopo l'occupazione della Crimea. Le conseguenze di questa interruzione sarebbero state valutate da Mosca tanto seriamente che alcuni parlamentari russi avrebbero consigliato il primo ministro Dmitry Rogozin, che è il responsabile dell'industria bellica russa, di proporre all'Ucraina la cancellazione del suo debito con la Russia di 3,5 miliardi di dollari per le forniture di gas proprio in cambio di quote azionarie nelle industrie di armamenti ucraine: ma la parlamentare ucraina presidente della commissione bilancio del parlamento ucraino, Oksana Dmitrieva, dice di non avere avuto ancora risposte su questo punto. Del resto, l'eventuale soppressione delle forniture alla Russia avrebbe effetti negativi anche per l'occupazione in Ucraina e per la gestione di questo tipo di aziende: basti pensare che lo Juzhmash lavora oggi al 20 per cento del potenziale dei suoi impianti produttivi e impiega tra i dieci ed i quindicimila addetti, rispetto ad un picco di settantamila di alcuni anni fa. Si tratta quindi di un quadro estremamente preoccupante, che apre molteplici scenari: la Russia potrebbe trovarsi costretta a stabilire legami sempre più forti con la Cina anche sul piano militare, o potrebbe essere tentata dall'idea di un colpo di forza per occupare queste aree, russofone e in alta percentuale favorevoli all'annessione, che rappresentano anche, come la Crimea, un patrimonio strategico irrinunciabile, soprattutto nel caso della paventata adesione dell'Ucraina alla NATO. Se Putin, nel suo discorso per l'annessione della Crimea, ha detto che non è accettabile per la Russia vedere navi NATO attraccare a Sebastopoli, tanto meno lo è vedere lo Juzhmash produrre motori per i missili dello scudo anti-missile che gli Usa hanno ribadito più volte voler costruire lungo i confini occidentali della Russia.
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