Fonte: theguardian.com
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5 gennaio 2014

Il clima ucciso da 90 aziende
di Suzanne Goldenberg
tradotto da Gianluca Martin

Due terzi dei gas serra emessi dall’inizio dell’Età industriali sono riconducibili a novanta aziende solamente. Petrolio, gas e combustibili fossili che hanno cambiato per sempre il clima e minacciano oggi la vita sulla terra. Il paradosso? Che i loro padroni, siano Stati siano privati, non accennano a voler cambiare le cose.

La crisi del clima del ventunesimo secolo è stata causata per gran parte da sole novanta aziende, che hanno prodotto complessivamente circa due terzi del gas serra generato a partire dall’inizio dell’era industriale, questo è ciò che dimostra una nuova ricerca. Queste aziende variano dalle multinazionali di proprietà di investitori, nomi molto conosciuti come Chevron, Exxon e BP, ad aziende statali sotto controllo del governo.

L’analisi, pubblicata dalla rivista Climatic Change, accolta dall’ex vicepresidente Al Gore come “un importante passo avanti”, ha stabilito che la maggior parte delle aziende operano nella produzione e commercio di petrolio, gas e carbone.

Richard Heede, climatologo e redattore presso il Climate Accountability Institute, in Colorado, ha affermato che “Nel mondo ci sono migliaia di produttori di petrolio, gas e carbone. Però prendendo solo quelli con poteri decisionali, i direttori esecutivi, o i ministri del carbone e petrolio si potrebbero riempire un autobus Greyhound o due”.

La metà delle emissioni prese in considerazione sono state prodotte solo negli ultimi 25 anni, ben oltre la data in cui i governi e le società avevano preso coscienza del fatto che le crescenti emissioni di gas serra da carbone e olio combustibile stavano causando un pericoloso cambiamento climatico.Molte di queste aziende hanno anche sostanziose riserve di combustibile fossile che, se bruciato, metterebbe il pianeta di fronte a un rischio molte volte superiore al pericoloso cambiamento climatico.

Gli esperti dei cambiamenti climatici dicono che la raccolta di questi dati è lo sforzo più ambizioso fatto per responsabilizzare i singoli produttori in possesso di carbone, al posto del Governo. L’IPCC (Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico) delle Nazioni Unite avvertiva a settembre che, al ritmo attuale, il mondo corre il pericolo di esaurire entro 30 anni la percentuale della quantità di biossido di carbonio che poteva emettere senza entrare nella fascia di pericolo sopra i 2 gradi di riscaldamento globale.

L’ex vice presidente degli Stati Uniti, difensore dell’ambiente, Al Gore, ha detto che il nuovo calcolo potrebbe rivedere il dibattito sulle responsabilità della crisi climatica. I leader riuniti a Varsavia questa settimana per dei convegni dell’ONU sul clima, si sono scontrati ripetutamente sulla questione di quali paesi abbiano la responsabilità di risolvere la crisi climatica, produttori storici come gli USA e l’Europa o le nuove economie emergenti come India e Cina.

Gore, nei suoi commenti, ha detto che le analisi segnalano che non era solo compito dei governi fare qualcosa per il cambiamento climatico. “Questo studio è un passo fondamentale verso la nostra evoluzione nel comprendere la crisi del cambiamento climatico. Il settore pubblico e privato in ugual maniera devono fare tutto il necessario per frenare il riscaldamento globale”, ha detto Al Gore al The Guardian. “I responsabili storici di questo problema hanno un chiaro obbligo di aiutare a trovare una soluzione”. Tra questi, le 90 compagnie nella lista delle più colpevoli nell’emissione di gas serra hanno prodotto il 63% del biossido di carbonio industriale e di metano tra il 1751 e il 2010, pari a circa 914 miliardi di tonnellate di emissioni di CO2, secondo la ricerca.

Tutte, ad eccezione di sette delle novanta sono compagnie energetiche produttrici di petrolio, gas e carbone. Le sette restanti sono fabbricanti di cemento. La lista delle 90 compagnie include 50 aziende di proprietà di investitori, soprattutto compagnie petrolifere molto note, come la Chevron, la Exxon, la BP e la Royal Dutch Shell, e i produttori di carbone come la British Coal Corp, Peabody Energy e BHP Billiton.

Trentuno compagnie della lista sono statali, come la Saudi Aramco dell’Arabia Saudita, Gazprom della Russia e Statoil della Norvegia.Nove sono industrie dirette dai governi, che producono soprattutto carbone in paesi come Cina, nell’ex Unione Sovietica, Corea del Nord e Polonia, l’ospite dei colloqui svolti questa settimana.

Esperti pratici con gli studi di Heede e la politica del cambiamento climatico sperano che queste analisi aiutino a superare lo stallo delle conversazioni internazionali sul clima. “Sembra come se questo potesse rompere il blocco”, ha detto Naomi Oreskes, professoressa di storia della scienza a Harvard. “Un po’ tutti i paesi hanno prodotto una quantità enorme di emissioni, anche paesi che di solito non vengono mai menzionati. Non vengono mai citati la Polonia, il Messico o il Venezuela. Pertanto non si tratta solo di ricchi contro poveri, ma di produttore contro consumatore e ricco di risorse contro povero di risorse”.

Michael Mann, climatologo, spera che questa lista porti ad una maggiore responsabilizzazione delle compagnie petrolifere e dell’uso delle sue restanti riserve di carbone. “Quello che sarebbe un cambiamento radicale in questo caso sono le potenzialità di identificare chiaramente le fonti delle future emissioni”, ha detto. “Si hanno maggiori responsabilità bruciando combustibili fossili. Non possono bruciare così senza che il resto del mondo ne venga messo al corrente”.

Altri si mostrano meno ottimisti sul fatto che tenere conto in maniera più approfondita delle fonti di emissione di gas serra faciliterà il compito di ridurre le emissioni necessarie per evitare cambiamenti climatici catastrofici. John Ashton, per sei anni capo negoziatore per il cambio climatico del Regno Unito, suggerisce che i risultati non fanno altro che confermare il ruolo centrale nell’economia dei paesi produttori di combustibili fossili. “La sfida che affrontiamo è di passare da un uso energetico intensivo a un sistema energetico neutro, senza emissioni, questo nell’arco di al massimo una generazione. Se non ci riuscissimo non avremo alcuna possibilità di mantenere il cambiamento climatico entro una soglia di 2 gradi”, ha detto Ashton.

Nel frattempo, Oreskes, che ha scritto molte smentite sul clima, finanziato dalle società, segnala che molte delle compagnie sulla lista hanno finanziato il movimento del cambiamento climatico. “Per me una delle cose più interessanti da studiare è la coincidenza tra i grandi produttori con i finanziamenti per le campagne di disinformazione, e come questo abbia ritardato l’azione”, ha detto. I dati rappresentano otto intensi anni di ricerche sulle emissioni nel corso del tempo, così come la storia delle proprietà dei vari inquinatori.

Le attività delle aziende coprono l’intero pianeta con sedi in 43 paesi. “Queste estraggono risorse da ogni paese con petrolio, gas naturale e carbone, e lavorano i combustibili per ottenere prodotti commerciali venduti ai consumatori in ogni nazione della Terra”, scrive Heede nel documento. Le più grandi aziende di proprietà di investitori sono state responsabili della maggioranza delle emissioni. Quasi un 30% delle emissioni furono prodotte solo dalle maggiori 20 compagnie, ha stabilito l’indagine.

Secondo il calcolo di Heede, le compagnie statali di petrolio e carbone che producono nell’ex Unione Sovietica hanno prodotto più gas serra di qualsiasi altro soggetto, qualcosa meno dell’8,9% del totale prodotto nell’arco del tempo. La Cina si avvicina al secondo posto con l’8,6% delle emissioni totali del mondo. ChevronTexaco è stato il principale inquinatore tra le aziende private controllate da investitori, causando il 3,5% delle emissioni di gas serra fino ad oggi, Exxon è abbastanza vicina col 3,2%. Al terzo posto BP, con il 2,5% delle emissioni globali fino ad oggi.

Il record storico di emissioni si basa sull’utilizzo dei registri pubblici e dati del Centro di Informazione e Analisi di Biossido di Carbonio del Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti, e prendono in considerazione le emissioni in tutta la catena, dalla produzione alla distribuzione.Il centro stima che dal 1751 le emissioni globali industriali siano state di 1450 miliardi di tonnellate.

 

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