http://www.lafrecciaverde.it
13 dic, 2013

Clean Up Ecuador!
di Nino Paternò

Per più di trent’anni la Texaco prima e la Chevron poi hanno estratto petrolio dalla foresta amazzonica equadoriana. Attività estrattiva svolta utilizzando tecniche di estrazione obsolete, senza minimamanete preoccuparsi delle popolazioni locali, dell’ambiente, riversando in fiumi e torrenti milioni di litri di acque reflue tossiche, sversando a cielo aperto milioni litri di petrolio greggio, abbandonando rifiuti pericolosi, rilasciando consistenti quantitativi di metalli pesanti che con diverse tecniche estrattive si sarebbero potuti limitare.

Inoltre la Texaco decise di usare una parte di quelle scorie per il bitume adoperato per ricoprire le strade percorse dai suoi stessi camion. Con il risultato di devastare sistematicamente il delicato ecosistema della foresta pluviale con danni irreparabili per le popolazioni indigene che la abitano. Popolazioni che vedono crescere i casi di cancro, le malformazzioni genetiche, aborti spontanei.

Oggi, più di 30.000 ecuadoriani si battono per avere giustizia. Nonostante i ripetuti sforzi della Chevron di sabotare questa iniziativa giudiziaria, la popolazione locale è determinata a chiedere alla Chevron i costi per disinquinare le aree nonché il risarcimento per i danni subiti. Tutto inizia nel 1964 quando la Texaco, ora Chevron, scopre il petrolio nella regione settentrionale remota dell’Ecuador, conosciuta come Oriente. Gli abitanti indigeni di questa foresta pluviale incontaminata, tra cui i Cofán, i Siona, i Secoya, i Kichwa e le tribù Huaorani, vivevano stili di vita tradizionali, in gran parte incontaminati dalla civiltà moderna.

Le foreste ed i fiumi fornivano le basi per la loro sopravvivenza quotidiana. Non avevano la minima idea di cosa li aspettava quando i lavoratori del petrolio fondarono la città di Lago Agrio, o ” Sour Lake”, dal nome della cittadina in Texas, dove è nata la compagnia petrolifera Texaco. La stessa cosa per il governo ecuadoriano che affida alla Texaco il compito di estrarre il greggio imponendo l’impiego di moderne tecniche di estrazione.

Tuttavia, incurante delle leggi ambientali vigenti, la Texaco ha attuato deliberatamente una politica di riduzione dei costi a spese dell’ambiente che, per tre decenni, ha provocato una catastrofe ambientale che gli esperti hanno chiamato la “Chernobyl in Amazzonia”. In una zona della foresta pluviale circa tre volte le dimensioni di Manhattan, la Chevron ha scavato 350 pozzi di petrolio, e dopo aver lasciato il paese nel 1992, si è lasciata dietro circa 1.000 pozzi open-air, pieni di greggio e di fanghi tossici che hanno provocto l’inquinamento di torrenti e fiumi da cui decine di migliaia di persone dipendono per bere, cucinare, fare il bagno e la pesca.

La Chevron si calcola che ha scaricato oltre 18 miliardi di litri di acque reflue tossico chiamato “acqua prodotta” – un sottoprodotto del processo di perforazione – nei fiumi dell’Oriente. Gestendo i suoi rifiuti tossici in Ecuador in modi che erano illegali nel suo paese d’origine, la società ha risparmiato circa 3 dollari al barile di petrolio prodotto.

Lo sfruttamento del petrolio nell’Amazzonia ecuadoriana non ha solo prodotto l’inquinamento dell’acqua e del suolo di uno degli ecosistemi più sensibili del mondo. Si è irreversibilmente alterato e degradato un ambiente che le popolazioni locali hanno chiamato “casa” per millenni. I popoli indigeni che conoscevano la foresta intimamente e vivevano in modo sostenibile con le sue risorse per innumerevoli generazioni si sono trovati costretti in condizioni di estrema povertà, incapace di guadagnarsi da vivere nei loro modi tradizionali, ora che dai fiumi e dalle foreste sono scomparsi pesce e selvaggina.

Per i residenti indigeni, i disturbi fisici che devono affrontare sono accentuati dall’impoverimento culturale che l’industria petrolifera ha portato alla regione, in alcuni casi pari alla perdita quasi totale di antiche tradizioni. Né la società petrolifera né il governo dell’Ecuador hanno consultato le popolazioni locali prima di iniziare con l’attività estrattiva. Ora queste popolazioni sonoi impegnate in una lotta di proporzioni epiche avente il fine di far si che la Chevron si asssuma le sue responsabilità per uno dei peggiori disastri petroliferi del pianeta. Prima dell’arrivo della Texaco nel 1964, l’Oriente era scarsamente popolato e il suo ambiente incontaminato.

I popoli indigeni della zona vivevano di caccia, di pesca, di agricoltura anche se di sussistenza. Queste popolazioni avevano già subito una notevole riduzione a causa dei conflitti con i coloni, in particolare durante il boom della gomma tra la fine del 19esimo e 20esimo secolo. Tuttavia, molte tradizioni antiche erano intatti, e le popolazioni indigene vivevano in stretta armonia con la foresta, gestendo le sue risorse in modi ecologicamente sostenibili.

Due gruppi indigeni nomadi, i Tetetes e i Sansahuari, che sino allora abitavano la regione totalmente isolati dal mondo esterno, poco dopo l’arrivo della Texaco, sono scomparsi per sempre. Gli anziani ricordano lo shock derivante dall’arrivo improvviso della Texaco e delle sue maestranze. Maestranzze che non andavano molto per il sottile nei confronti della popolazione locale che veniva ridicolizzata per la sua cultura, i suoi usi, le sue tradizioni, subendo anche violenze sessuali. Inoltre l’introduzione dell’alcol fu devastante per le popolazioni locali, totlamente scunosciuto sino allora.

Questi sconvolgimenti sociali, tuttavia, erano nulla rispetto alla devastazione che le trivellazioni petrolifere avrebbero portato. Ricorda il Capo dei Secova Ricardo Piaguaje “i pozzi trivellati, la dinamite usata accanto alle nostre abitazioni, i rumori, le grandi macchine, le furuscite di petrolio, le acque inquinate, per noi erano un mondo totalmente diverso dal nostro”. Per molti popoli indigeni, le attività estrattive dell’allora Texaco, hanno distrutto un modo di vita che aveva prosperato per secoli.

Una strada completata nel 1972, che collega Lago Agrio alle montagne delle Ande ad ovest, ha favorito l’insediamento dai migranti provenienti altopiani. Insediamenti che hanno favorito una contaminazione che ha ridotto pesci e selvaggina mettendo a dura prova la sopravvivenza degli indigeni. Qualche danno ambientale forse potrà essere riparato, ma il danno Chevron ha fatto per il tessuto sociale delle comunità tradizionali non può mai essere riparato.

Problemi di salute pubblica di proporzioni immense attanagliano l’Amzzonia ecuadoriana, dovuti alla massiccia contaminazione che da 40 anni comportano le attività petrolifere. La Texaco ha scaricato 18 miliardi di litri di acque reflue tossici direttamente nei fiumi e nei torrenti fonti di vita per gli indigeni. Studi qualificati hanno tentato di quantificare l’impatto sulla salute delle attività estrattive della Chevron in Ecuador. Questi studi hanno confermato ciò che la gente locale vive sulle proprie spalle: dove c’è inquinamento di petrolio sono elevati i casi di cancro alla bocca, allo stomaco ed all’utero.

L’esperto indipendente, nominato dal tribunale a seguito dell’azione legale avviata da 30.000 indigeni contro la Chevron, stima che la Società è responsabile di almeno 1.400 morti per cancro. Altre indagini hanno trovato alti tassi di leucemia infantile, così come un numero anomalo di aborti spontanei.

I bambini le cui madri sono state esposte all’acqua contaminata sono nati con gravi malformazioni. Per non parlare delle gravi forme di eruzioni cutanee, delle diarree sistematiche per coloro che vengono a contatto con l’acqua contaminata. Quando la Texaco nel 1964 arrivò in Ecuador ha trovato un ambiente di foresta pluviale incontaminata. Quando nel 1990 è andata via ha lasciato alle spalle il peggior disastro ambientale legato al petrolio del pianeta. Le condizioni sono purtroppo peggiorate da allora. La compagnia petrolifera statale Petroecuador ha ereditato infrastrutture obsolete della Texaco e ha continuato a farlo funzionare.

La Chevron, che ha acquistato la Texaco nel 2001, continua a collezionare procedimenti giudiziari tuttora in corso. Le attività estrattive delle Texaco in tutta l’area dove ha operato hanno devastato un ecosistema forestale tropicale unico al mondo. Hanno rovinato modi di vivere delle popolazioni residenti, travolgendo i loro usi i loro costumi le loro tradizioni.

L’area Oriente dell’Ecuador deve ringraziare la Texaco per:

•                I 18 miliardi di litri di acque reflue contaminate riversate nei suoi fiumi e nei suoi torrenti.

•                La costruzione di circa 1000 pozzi open air privi di camicie che rilasciano tossine nel suolo e nelle acque sotterraneee.

•                Il rilascio di sostanze inquinanti attraverso sversamenti e la diffusione del greggio nelle strade,

•                La creazione di strade e condotte che hanno provocato più di un milione di ettari di deforestazione oltre che l’apertura della foresta amazzonica a flussi non controllabili.

Le vittime del lascito inquinante della Chevron hanno avviato una class-action contro la società Texaco a New York nel 1993. Dopo 18 anni di battaglie giudiziarie alla fine del 2012 la Corte d’Appello dell’Ecuador ha inflitto alla compagnia petrolifera americana Chevron il pagamento di un risarcimento record: 18 miliardi di dollari. I soldi dovranno ripagare gli Indigeni dei danni subiti anche dal loro habitat la Foresta Amazzonica a causa delle attività di estrazione del petrolio.

La sentenza della Corte d’Appello conferma la sentenza emessa dal Tribunale di Lago Agrio che già lo scorso 14 febbraio 2010 aveva condannato la Chevron a un risarcimento di circa 9 miliardi di dollari. Il Giudice aveva previsto il raddoppio del risarcimento se la compagnia non avesse presentato le sue scuse al Tribunale per comportamenti giudicati inappropriati.

Chevron rispose alle accuse presentando ricorso alla Corte internazionale di giustizia dell’Aia depositando una denuncia per diffamazione contro i querelanti ecuadoriani. Agli inizi di settembre 2013 la Chevron ha annunciato che il Tribunale internazionale dell’Aia le ha dato sostanzialemte ragione. La Corte sostiene che la Chevron non poteva essere perseguita in azioni collettive (class action), in ragione di un accordo che fu siglato dall’allora Texaco e dal governo ecuadoriano nel 1995.

Sulla base di tale intesa, il gruppo petrolifero si impegnava a ripulire le aree inquinate nella regione del Lago Agrio, ma in cambio, appunto, otteneva un’immunità rispetto alle class action (sic!). Comunque la Corte ha deciso solo per il ripristino delle aree danneggiate. La vicenda giudiziaria, in ogni caso, non è finita: occorreranno altri passaggi in tribunale.

Nell’ottobre del 2012, ad esempio, un giudice ecuadoriano aveva ordinato il congelamento degli asset di proprietà di Chevron presenti nel Paese, dopo che la compagnia si era rifiutata di pagare la multa da 19 miliardi di dollari. Inoltre l’agenzia stampa dell’Ecuador (Andes) ha reso noto che il prossimo dicembre il governo nazionale si appellerà alla Corte Penale Internazionale affinché venga riconosciuto il risarcimento stabilito precedentemente dalla Corte d’Appello equadoregna.

Il caso è senza precedenti, infatti, è la prima volta che una società statunitense affronta un giudizio in un tribunale straniero su reati ambientali, e una sentenza contro la Chevron avrebbe ripercussioni ben oltre l’Ecuador. L’industria petrolifera e le comunità di tutto il mondo stanno guardando e aspettando il risultato. Una vittoria per le comunità colpite segnerà un fatto importante per le multinazionali del petrolio che possono e saranno ritenuti responsabili delle violazioni dei diritti ambientali e umani, non importa dove sono impegnati.

top