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16 aprile 2014

Difendere l’ambiente può costare la vita

Proprio nel venticinquesimo anniversario dell’assassinio del seringueiro (raccoglitore di caucciù) e sindacalista brasiliano Chico Mendes, un’inchiesta rivela che tra il 2002 e il 2013 sono state uccise almeno 908 persone impegnate nella protezione dell’ambiente e nella difesa del diritto alla terra. Parallelamente è aumentata la lotta per il controllo delle risorse naturali.

Secondo il documento Deadly environment (Ambiente mortale) presentato da Global witness, http://new.globalwitness.org/ la morte degli ambientalisti è dovuta principalmente a controversie sul disboscamento, sulle attività minerarie e sui diritti alla terra. Le zone più colpite sono state l’America Latina e la regione Asia-Pacifico.

Lo studio sottolinea soprattutto la grave mancanza di informazioni sul fenomeno. Quindi è possibile che il bilancio delle vittime sia superiore a quello documentato, anche se perfino i dati ufficiali sono paragonabili al numero dei giornalisti uccisi nello stesso periodo. La mancanza di attenzione verso i crimini contro l’ambiente e contro i difensori della terra sta alimentando la sensazione di impunità, continua il rapporto, come dimostra il fatto che solo l’1 per cento dei responsabili è stato condannato.

Ecco alcuni dati:

         Tra il 2002 e il 2013 almeno 908 persone sono state uccise in 35 paesi mentre difendevano l’ambiente e il diritto alla terra; negli ultimi quattro anni la mortalità è arrivata a una media di due attivisti a settimana.

         Il 2012 è stato l’anno peggiore per i difensori dell’ambiente, con 147 omicidi commessi, quasi il triplo di quelli commessi nel 2002. L’impunità per questi crimini è molto diffusa: solo dieci persone sono state arrestate tra il 2002 e il 2013.

         Il problema è particolarmente acuto in America Latina e nel Sudest asiatico. Il posto più pericoloso è il Brasile, con un totale di 448 omicidi. Seguono l’Honduras (109) e le Filippine (67).

        

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