Originale: TeleSUR English
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19 ottobre 2014

Ebola, razza e neoliberismo
di Bill Fletcher
traduzione di Giuseppe Volpe

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Nel caso dell’epidemia di ebola pare sia stato un bambino senza nome di due anni in Guinea. Come abbia contratto l’ebola nessuno pare saperlo, ma quello che è stato accertato è che il virus si è esteso da lui ad altri della sua famiglia e del suo villaggio, diventando il peggior focolaio di ebola della storia. Ci sono state alcune cose che hanno reso insolita questa epidemia. Innanzitutto la localizzazione. L’ebola pare aver avuto origine nell’area della Repubblica Democratica del Congo e del Sudan del Sud. In questo caso il focolaio era a miglia di distanza dall’Africa Occidentale. Secondo: l’epidemia si è diffusa parecchio rapidamente.

Quella che non è stata insolita, tuttavia, è stata la reazione della comunità globale. Il Nord globale non ha mai preso molto sul serio l’ebola. Per essere chiari: gli scienziati e i professionisti della sanità l’hanno sempre presa sul serio e hanno compreso i pericoli potenzialmente catastrofici associati a un’epidemia. Tuttavia per la maggior parte del resto del Nord globale l’ebola era una strana malattia mortale che esisteva in un luogo – l’Africa – che era pieno di malattie strane e mortali.

Sia detto a suo credito, il presidente Obama è stato uno dei pochi leader del Nord globale che ha riconosciuto piuttosto presto che l’epidemia di ebola era qualcosa che doveva essere affrontata rapidamente. La sua reazione, che è stata in un certo qual modo controversa, è stata di impiegare personale militare per l’assistenza nella crisi. Tale reazione non era del tutto priva di giustificazioni considerato che c’erano immensi fattori logistici e di sicurezza nell’affrontare la crisi. D’altro canto Cuba ha scelto una via diversa e ha impiegato personale medico per assistere direttamente sul campo. Anche se c’è stata molta retorica a proposito della crisi dell’ebola, la maggior parte delle nazioni sembra prendere la posizione di mettersi al riparo e proteggersi, piuttosto che impegnarsi in sostegno in prima linea nella battaglia in Africa Occidentale.

La portata della crisi ha radici nella razza, nella guerra e nel neoliberismo. Non è un caso che l’epidemia sia stata particolarmente devastante in due paesi che avevano vissuto brutali guerre civili. La Liberia e la Sierra Leone sono passate attraverso anni di guerre estesesi da conflitti politici militarizzati a banditismo atteggiato a rivoluzione. In entrambi i paesi, gli stati non hanno fatto che crollare e si è eroso ogni senso di fiducia sociale tra vicini, villaggi e certamente nei confronti di stranieri. La Guinea non sembra aver mai recuperato alcun senso di direzione dopo la morte di Sekou Toure e il colpo di stato che ha seguito quasi immediatamente la sua scomparsa.

In ciascun caso, paesi che sono stati vittime del sottosviluppo causato dal colonialismo sono stati privi delle risorse necessarie per affrontare la povertà sistemica e tremende necessità di assistenza medica. La Liberia, ad esempio, è andata incontro all’epidemia di ebola con soli cinquanta dottori per più di quattro milioni di persone, secondo la Reuters. L’estendersi dell’epidemia, e del panico, ha prodotto una situazione in cui un numero crescente di persone muore di ferite comuni perché ci sono strutture mediche insufficienti per affrontare le loro necessità.

La situazione estrema che hanno di fronte la Liberia, la Sierra Leone e la Guinea è emblematica di un più vasto problema fronteggiato dall’Africa. Con la crisi del debito degli anni ’70 e l’ascesa del neoliberismo e dei suoi corrispondenti approcci al Sud globale – quali l’”aggiustamento strutturale” e la “riduzione della povertà” – l’Africa è stata continuamente dissuasa da un approccio allo sviluppo che promuova l’intervento del settore pubblico e del governo. I paesi africani sono stati schiacciati per rimborsare debiti onerosi, debiti che in molti casi erano stati imposti dagli stati del Nord globale o da istituzioni finanziarie internazionali. Come è stato detto in continuazione negli anni, la pretesa che gli stati africani rimborsino debiti onerosi ha comportato che risorse preziose e limitate che avrebbero altrimenti potuto essere impiegate in progetti come la ricostruzione dei sistemi sanitari sono finite ad arricchire ulteriormente il Nord globale.

Questo fattore rende ancor più deprecabile la reazione del Nord globale alla crisi dell’ebola. Anziché un continente che, a causa di certi difetti intrinseci, dipende dal resto del mondo, la realtà è che è il Nord globale a essere in realtà dipendente dall’Africa. Il deflusso di denaro dal continente, sia legale sia illecito, è stato sbalorditivo, sollevando la fondamentale domanda su chi in realtà stia aiutando chi.

Avendo condannato il continente al rimborso del debito e a un approccio denazionalizzato all’assistenza sanitaria (e a tutto il resto) non è se non offensivo che il Nord globale se ne stia seduto a trattare l’epidemia di ebola come una questione di protezione dei suoi confini dall’ingresso di questo virus.

Implicita nella reazione alla crisi dell’ebola è la questione della razza. Sarebbe difficile immaginare il genere di reazione globale che questa epidemia ha ricevuto se essa si fosse verificata in Europa o in Nord America. Anche se è vero che l’opinione pubblica globale sembra essere spesso scossa da eventi traumatici, come lo tsunami asiatico del 2006, rispetto a catastrofi striscianti come l’epidemia di ebola o la pandemia di HIV/AIDS, è molto degno di nota che quando i focolai risultano ristretti a popolazioni “indesiderabili”, ad esempio africani, haitiani, omosessuali, c’è una sorprendente capacità di darsi a un negazionismo su vasta scala.

In tal senso la reazione globale all’epidemia di ebola non può essere considerata solo nel contesto di questo più recente focolaio, ma deve risalire indietro, da un lato, al focolaio originale del 1976, assieme alla reazione del Nord globale ad altre “sfide” emerse dal continente. Presumere che l’ebola di auto-conterrà e si limiterà alla sola morte di decine di migliaia di africani può essere considerato da molti nel Nord globale triste e tuttavia accettabile.

Con la prospettiva che possa essere un aumento di 10.000 casi di ebola la settimana, accompagnato da un tasso di mortalità tra il sessanta e il settanta per cento, deve esserci una fondamentale riconsiderazione di come affrontare una crisi di queste dimensioni. Va notato che in questo discorso non c’è posto per il panico. Ha, tuttavia, un ruolo l’urgenza. Ed è qui che il mondo può e dovrebbe osservare le azioni del governo cubano. Con risorse di gran lunga minori di quelli di ogni altro grande paese del Nord globale, si è dedicato a quello che potrebbe essere descritto come un impegno “fuori misura”. Tale impegno, radicato sia nell’attenzione di lungo corso di Cuba nei confronti dell’Africa sia nella sua reazione generale alle crisi umanitarie, dovrebbe essere preso come un segnale al resto del pianeta che la reazione all’epidemia deve essere simile alla reazione a un’invasione. Non si aspetta che il nemico arrivi e consolidi le proprie posizioni. Ci si deve muovere rapidamente e con una velocità decisa. Le tragedie associate alla pandemia di HIV/AIDS dovrebbe avercelo insegnato anni fa. Ma, come nel caso dell’HIV/AIDS, la noncuranza e il razzismo sembrano ostacolare il buon senso, rispetto alla scienza e all’urgenza.

L’orologio fa tic tac.


Bill Fletcher Jr è conduttore di ‘The Global African’ su Telesur English. E’ un attivista e giornalista per la giustizia razziale, il lavoro e la giustizia globale. Può essere seguito su Facebook, Twitter e sul sito www.billfletcherjr.com


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Fonte: http://zcomm.org/znetarticle/ebola-race-and-neo-liberalism/

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