March 10 2013
63rd Years Of Tibetan Resistance To China’s Tyranny
Support the Tibetan people’s resistance to China’s tyranny by taking part in the online Lobby of Members of the European Parliament, Your action will help ensure that the political hopes of Tibetans for a free and independent Tibet is heard within the European Parliament.
phayul.com - March 6 - A partire da quest'anno, il 10 marzo, Giornata Nazionale della rivolta tibetana, sarà anche osservato come Giornata del Martire Tibetano. La decisione di osservare formalmente il giorno del martire per commemorare i sacrifici fatti dai tibetani dentro e fuori il Tibet è stato approvato all'unanimità durante la seconda Assemblea straordinaria del popolo tibetano del settembre 2012.
english version below

http://www.italiatibet.org
10 marzo 2013

Discorso del Sikyong Dr. Lobsang Sangay nel 54° Anniversario dell’Insurrezione Nazionale Tibetana

Nel 1959, in questo stesso giorno, migliaia di tibetani di ogni categoria sociale e di tutte le tre regioni del Tibet (U-Tsang, Kham e Amdo) si ritrovarono a Lhasa per protestare e opporsi all’invasione cinese e all’occupazione del Tibet. Noi siamo figli di questo tragico quanto storico momento della ricca, peculiare e due volte millenaria storia del Tibet. Oggi siamo qui riuniti per proseguire la coraggiosa lotta iniziata dall’altruistica generazione dei più anziani. Rendiamo omaggio a tutti coloro che hanno sacrificato la loro vita per il Tibet. Il desiderio di libertà che li spinse a dare vita ai memorabili eventi del 10 marzo 1959 è lo stesso che oggi è alla base della nostra lotta per la libertà, la dignità e l’identità culturale.

In Tibet, l’ininterrotta spirale di repressione e collera si è tradotta nel devastante numero di tibetani che si sono dati fuoco. Dal 2009, si sono autoimmolati 107 tibetani, 28 nel solo mese di novembre 2012, poco prima dell’inizio e durante il 18° Congresso del Partito Comunista Cinese. Purtroppo 90 di loro sono morti. Questo alto prezzo è forse senza precedenti nella recente storia del mondo. Nonostante il maggior numero delle vittime sia costituito da monaci, tra le fila degli autoimmolati si contano tibetani appartenenti a ogni categoria sociale – nomadi, contadini, insegnanti e studenti – provenienti da tutte le tre regioni tibetane dell’U-tsang, del Kham e dell’Amdo, compresa Lhasa, la capitale. Dedichiamo questo giorno a tutti coloro che si sono autoimmolati e a quanti sono morti per il Tibet.

L’occupazione e la repressione attuata dal governo cinese in Tibet sono all’origine dell’autoimmolazione dei tibetani. I tibetani sono testimoni e allo stesso tempo subiscono il continuo attacco portato alla civiltà buddista, fulcro della loro identità e dignità. Sono profondamente irritati per la demonizzazione della figura di Sua Santità il Dalai Lama operata dalla Cina. Assistono preoccupati al continuo affluire in Tibet di coloni cinesi che sottraggono ai tibetani posti di lavoro, terra e il loro stesso futuro trasformando le città tibetane in città cinesi. Si oppongono al trasferimento forzato dai pascoli alle residenze ghetto di centinaia di migliaia di nomadi, trasferimento che riduce in povertà famiglie che prima erano del tutto autosufficienti. Nel nome di uno sviluppo neo coloniale, vedono trasferire in una Cina affamata di materie prime risorse naturali tibetane del valore di miliardi di dollari. In considerazione di queste politiche possiamo tranquillamente concludere che la Cina vuole il Tibet ma non i tibetani.

Ma quando i tibetani rispondono a questi soprusi esprimendo anche in modo del tutto pacifico il loro dissenso, rischiano lunghi periodi di detenzione, la tortura, l’umiliazione in pubblico e la scomparsa. Il divieto di ogni pacifica protesta e le durissime punizioni spingono i tibetani ad auto immolarsi.  Scelgono la morte al posto del silenzio e della sottomissione alle autorità cinesi. I recenti tentativi delle autorità di criminalizzare gli autoimmolati e perseguitare i membri delle loro famiglie e i loro amici istituendo finti processi sembrano destinati a far proseguire la spirale senza fine di immolazione – repressione - nuova immolazione.

Attraverso svariati mezzi di comunicazione il Kashag ha ripetutamente chiesto ai tibetani in Tibet di non ricorrere all’autoimmolazione come forma di protesta. La vita è preziosa e, come esseri umani, desideriamo che nessuno muoia in questo modo. Come buddisti, preghiamo per l’anima del defunto. Come tibetani, è nostro sacro dovere supportare ciò che i tibetani all’interno del Tibet chiedono: il ritorno di Sua Santità il grande Quattordicesimo Dalai Lama, la libertà del popolo tibetano e l’unità tra tutti i tibetani.

Il solo modo in cui la Cina può porre fine a questa grave e spietata situazione consiste nel cambiare la sua attuale, dura linea politica rispettando le aspirazioni del popolo tibetano.

Per risolvere la questione del Tibet, il Kashag abbraccia totalmente l’Approccio della Via di Mezzo. Sua Santità il 14° Dalai Lama ha mostrato come questa sia la via più percorribile e durevole. Dopo ponderate riflessioni, il Parlamento Tibetano in Esilio ha a sua volta adottato l’Approccio della Via di Mezzo che è supportato dai tibetani dentro e fuori il Tibet e che gode del sostegno di importanti governi stranieri, di leader mondiali e di premi Nobel. In particolare, ha l’appoggio di un crescente numero di intellettuali, studiosi e scrittori cinesi.

In questo momento, per risolvere la questione in modo vincente per entrambe le parti, il Kashag spera che la nuova dirigenza cinese prenda in considerazione questo approccio politico del tutto pragmatico che tiene conto degli interessi sia dei tibetani sia dei cinesi. Nel 2002, la ripresa del dialogo tra i rappresentanti tibetani e quelli cinesi fece sperare in una soluzione pacifica della questione del Tibet. Sfortunatamente, questa speranza è stata spazzata via dall’attuale stallo del processo di dialogo.

Per il governo della Repubblica Popolare Cinese, la soluzione del problema tibetano non è un problema costituzionale o istituzionale. Con l’articolo 31 della Costituzione, la Cina ha previsto per Hong Kong e Macau una distinta configurazione istituzionale denominata “un paese, due sistemi”. La dirigenza cinese ha inoltre espresso la volontà politica di formare un comitato ministeriale per i rapporti con Taiwan (Repubblica Cinese). Tuttavia, quando si tratta di Tibet, la leadership cinese non tiene conto né delle normative già contemplate nella sua costituzione né ha mai mostrato la volontà politica di risolvere pacificamente la questione.

Una giusta e durevole soluzione del problema tibetano è anche nell’interesse di tutto il mondo. Il Tibet, una delle civiltà più antiche, è considerato il Terzo Polo perché i suoi ghiacciai alimentano i dieci maggiori fiumi dell’Asia. In quanto Terzo Polo terrestre, il Tibet potrebbe contribuire alla pace e alla prosperità di oltre un miliardo di persone che, in Asia, vivono lungo il corso dei fiumi e la cui vita dipende dall’acqua che scende dal Tibet.

Una soluzione in tempi brevi del problema tibetano invierà un messaggio positivo e, poiché la lotta dei tibetani è saldamente ancorata ai principi della non-violenza e della democrazia, servirà di modello a quanti si battono per la libertà. Ultimo punto, ma non di minor momento, la soluzione della questione del Tibet potrebbe essere un elemento catalizzatore delle forze moderate in Cina.

Esprimiamo la nostra più profonda gratitudine al governo dell’India e al suo grande popolo. Siamo inoltre immensamente grati a tutti i governi, alle organizzazioni internazionali, ai Gruppi di Sostegno al Tibet e a quanti in tutto il mondo ci supportano per le risoluzioni adottate, le dichiarazioni formulate a nostro favore e il loro fermo e generoso sostegno. Riteniamo inoltre che sia giunto il momento in cui i governi e la comunità internazionale compiano passi concreti per convincere la Cina a dare inizio a un significativo dialogo con la leadership tibetana.

Chiediamo alla comunità internazionale di esercitare pressioni sulla Cina affinché consenta all’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani, ai diplomatici e ai media internazionali di recarsi in Tibet. Solo così sarà possibile conoscere la verità su quanto sta accadendo nel paese e si potrà arrivare alla cessazione delle autoimmolazioni.

Il Kashag ha proclamato il 2013 l’anno della Campagna di Solidarietà per il Tibet. Ognuno dei numerosi eventi organizzati sarà pacifico, legale e dignitoso. Il 30 gennaio migliaia di tibetani assieme agli amici indiani si sono riuniti a New Delhi in una manifestazione di massa organizzata dall’Amministrazione Centrale Tibetana. Molti importanti leader indiani ed esponenti di diversi partiti politici hanno preso parte all’evento e si sono impegnati ad agire concretamente per il Tibet. Oggi, a Bruxelles, i tibetani e i nostri sostenitori in Europa partecipano al Raduno di Solidarietà per il Tibet. In questo stesso mese, i tibetani residenti nel nord America e in altre parti del mondo organizzeranno delle giornate di lobby per il Tibet. Tre sono i messaggi che chiediamo a tutti di trasmettere: devoluzione, democrazia e dialogo.

La tempra di un popolo si forgia sulla sua capacità di affrontare le avversità. Sotto la guida illuminata del grande Quattordicesimo Dalai Lama abbiamo affrontato questa sfida con eccezionale unità, fiducia e dignità. Prego con fervore per la lunga vita di Sua Santità il Dalai Lama.

Voglio concludere rendendo ancora una volta omaggio ai nostri fratelli e sorelle in Tibet. Il Kashag apprezza profondamente il sostegno e la solidarietà ricevuta dai tibetani dentro e fuori il paese. Sorretti dai fondamentali principi dell’unità, della fiducia in noi stessi e dell’innovazione, siamo decisi a soddisfare le aspirazioni di tutti i tibetani così da poter godere in tempi brevi della libertà e della dignità che meritiamo e della quale abbiamo diritto.

 


http://tibet.net
March 10, 2013

The Statement Of Sikyong Dr. Lobsang Sangay On The 54th Anniversary Of The Tibetan National Uprising Day

On this day in 1959, thousands of Tibetans from all walks of life and all three regions of Tibet (U-Tsang, Kham and Amdo) converged in Lhasa to resist and protest the Chinese invasion and occupation of Tibet. We are the children of this tragic yet historic moment in Tibet’s rich, unique, 2,000-plus year history. Today, we are gathered here to re-dedicate ourselves to the brave struggle started by the selfless elder generation. We pay tribute to all those who have sacrificed their lives for Tibet. The yearning for freedom that moved our elders to undertake the epochal events of March 10, 1959 is a beacon that guides our present-day struggle to secure our basic freedom, dignity and identity.

The continuing vicious cycle of repression and resentment in Tibet is manifested in the devastating number of Tibetans setting themselves on fire. Since 2009, 107 Tibetans have self-immolated including 28 in November 2012 just before and during the 18th Party Congress of the Chinese Communist Party. Sadly, 90 of them have died. Such a high toll is perhaps unprecedented in recent world history. Though most of the self-immolators are monks, their ranks include the full spectrum of Tibetans – nomads, farmers and students – from all three Tibetan regions of U-Tsang, Kham and Amdo including the capital city of Lhasa. We dedicate this day to all the self-immolators and those who have died for Tibet.

The occupation and repression in Tibet by the government of the People’s Republic of China are the primary conditions driving Tibetans to self-immolation. Tibetans witness and experience China’s constant assault on Tibetan Buddhist civilization, their very identity and dignity. They deeply resent China’s demonization of His Holiness the Dalai Lama. They look on with alarm as Chinese settlers stream into Tibet, taking away Tibetan jobs, land and their very future – –and in the process, transforming Tibetan towns and cities into Chinatowns. They oppose the forced removal of hundreds of thousands of nomads from the grasslands to permanent ghettos, reducing formerly self-sufficient families to impoverishment. They see colonial-like development activities cart away billions of dollars worth of Tibetan natural resources to a resource-hungry China. These policies could easily lead one to suspect that China wants Tibet but not the Tibetan people.

Yet when Tibetans respond to these violations with even the slightest show of dissent, they risk prolonged imprisonment, torture, public humiliation and disappearance at the hands of security forces. The prohibition of peaceful protest and harsh punishments compel Tibetans to resort to self-immolation. They choose death rather than silence and submission to the Chinese authorities. Recent attempts by the authorities to criminalize self-immolators, and persecute their family members and friends through sham trials are likely to prolong the cycle of self-immolation, persecution, and more immolation.

Through various media, the Kashag has consistently appealed and categorically discouraged Tibetans in Tibet from self-immolating as a form of protest. Life is precious and as human beings we do not want anyone to die in such a manner. As Buddhists, we pray for the soul of the deceased. As Tibetans, it is our sacred duty to support the aspirations of Tibetans in Tibet: the return of His Holiness the great Fourteenth Dalai Lama to Tibet, freedom for the Tibetan people, and unity among Tibetans.

The only way to end this brutal and grave situation is for China to change its current hard line Tibet policy by respecting the aspirations of the Tibetan people.

The Kashag is fully committed to the Middle Way Approach, which seeks genuine autonomy for Tibetans, to solve the issue of Tibet. His Holiness the Fourteenth Dalai Lama has shown this to be the most viable and enduring approach. After careful deliberations, the Tibetan Parliament-in-Exile unanimously adopted the Middle Way Approach. It is supported by Tibetans inside and outside Tibet, and has garnered the support of key foreign governments, world leaders, and Nobel laureates. It has, in particular, resonated and supported by a growing number of Chinese intellectuals, scholars and writers.

At this time, the Kashag hopes that the new Chinese leadership will view this pragmatic political approach, which bridges both Tibetan and Chinese interests, as a win-win solution. In 2002, the resumption of dialogue gave hope to Tibetans for a peaceful resolution of the issue of Tibet. Unfortunately, this hope has been shaken by the present stalemate in the dialogue process.

Tibet is not a constitutional or an institutional problem for the government of the People’s Republic of China. As per Article 31 of the PRC Constitution, China has created a separate institutional mechanism of one country, two systems for Hong Kong and Macau. The Chinese leadership has also displayed the political will by forming a cabinet level committee to deal with Taiwan (Republic of China). However, when it comes to Tibet, the Chinese leadership has neither employed the available constitutional mechanism at its disposal, nor has it shown the political will to resolve the issue peacefully. From our side, we consider substance primary and process secondary, and are ready to engage in meaningful dialogue anywhere, at any time.

Finding a just and lasting solution to the issue of Tibet is also in the interest of the world at large. Tibet, one of the oldest civilizations is viewed as the Third Pole as its glaciers feed the 10 river systems of Asia. It will contribute to the peace and prosperity of over a billion people in Asia who live downstream and depend on Tibet’s water for sustenance. A speedy resolution will send the right message and serve as a model for other freedom struggles as the Tibetan struggle is one firmly anchored in non-violence and democracy. Last, but not the least, solving the issue of Tibet could be a catalyst for moderation of China.

We extend our deepest gratitude to the great people and government of India. We are also immensely grateful to all governments, international organizations, Tibet Support Groups and individual supporters across the globe for their supportive resolutions, statements, and for their unflinching and generous support. At the same time, we believe that the moment has come for governments and the international community to take concrete actions to press the Chinese government to enter into meaningful dialogue with the Tibetan leadership.

We call on the international community to press the Chinese government to allow the UN High Commissioner for Human Rights entry into Tibet, and also to give access to diplomats and the international media. Only in this way can the truth about the grave situation in Tibet be unveiled and the self-immolations abated.

The Kashag has announced 2013 as a year of Solidarity With Tibet Campaign. Each of our numerous events are organized peacefully, legally and with dignity. Thousands of Tibetans and Indian friends gathered in New Delhi on January 30 for a 4-day mass campaign organized by the Central Tibetan Administration. Many prominent Indian leaders representing various parties attended and pledged action for Tibet. Tibetans and friends in Europe today are holding The European Solidarity Rally for Tibet in Brussels. This month Tibetans in North America, Europe and elsewhere are organizing Tibet Lobby Days. The core message we request everyone to communicate are the three Ds: Devolution, Democracy and Dialogue.

The character of our people is being shaped by our endurance of the darkest period in Tibet’s history. Under the enlightened leadership of His Holiness the great Fourteenth Dalai Lama, we continue to meet adversity with exceptional unity, resilience, and dignity. I fervently pray for the long life of His Holiness the Dalai Lama.

The Kashag is uplifted and deeply gratified by the support and solidarity it has received from Tibetans inside and outside Tibet. With unity, self-reliance and innovation as the guiding principles, we are determined to fulfill the aspirations of all Tibetans to enjoy the freedom and dignity, which we deserve and is our right.

Let me conclude by again paying homage to our brothers and sisters in Tibet.

Dharamsala

March 10, 2013


top