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La sentenza sul genocidio dà ragione alla sofferenza del Tibet, ma non allevia il dolore Il 9 ottobre 2013, l'Alta Corte spagnola ha accusato Hu Jintao, ex leader supremo della Repubblica Popolare Cinese, di essere stato il fautore del genocidio in Tibet. La sentenza ha dato ragione ai querelanti tibetani che avevano intrapreso l'azione legale nel 2005, un gruppo composto da vari individui che hanno sopportato anni di prigionia e tortura nelle prigioni cinesi per 'crimini' come rifiutarsi di rinunciare alla fede buddista. Questa non è la prima volta che la Cina è stata giudicata colpevole del genocidio tibetano. Nel 1959, dopo che il fallimento dell'insurrezione provocò l'esilio del Dalai Lama e di migliaia di tibetani in India, Nepal e Butan, Purushottam Trikomdas, giurista e avvocato indiano nonché sostenitore gandhiano della pace, si è recato alla Commissione Internazionale dei Giuristi a Ginevra per verificare e documentare il crimine di genocidio commesso dalla Cina contro il popolo tibetano: più di un milione di persone uccise da Mao Zedong tramite conflitti armati, incarcerazioni e carestie. La relazione della Commissione ha dichiarato: «Le prove evidenziano un progetto sistematico per sradicare e separare la vita nazionale, culturale e religiosa del Tibet». Hu Jintao, governatore del Tibet, prima della sua ascesa all'apice del Politburo, ha perpetuato la politica del 'Colpire Duramente' di Mao contro il popolo tibetano, con un'intensificazione della persecuzione del Buddismo tibetano. Hu JIntao era presidente della Rpc durante le rivolte tibetane nel marzo del 2008, quattro mesi prima la Cina aveva ospitato le Olimpiadi. Ha inflitto al Tibet una punizione brutale dopo le Olimpiadi. Fotografie e filmati dell'esercito usciti clandestinamente dai confini tibetani hanno mostrato incursioni porta a porta, pestaggi, plotoni d'esecuzione e fosse comuni. PROPAGANDA Malgrado la sentenza della Corte spagnola della scorsa settimana, gli alleati e i sostenitori della Rpc continueranno probabilmente a proporre la versione del regime cinese della vicenda tibetana. La propaganda cinese è stata estremamente efficace. Per anni, i sinologi delle università occidentali hanno insegnato come il Tibet avesse una società organizzata come 'servitù arretrata', che godeva ora di una nuova e ben accolta prosperità grazie alla 'liberazione pacifica del Tibet' attuata dalla Cina. Per anni i funzionari comunisti cinesi hanno parlato del Dalai Lama, illustre vincitore del Premio Nobel per la pace, come un 'assassino incestuoso', un 'bandito controrivoluzionario' e un 'carnefice con il miele sulle labbra e l'omicidio nel cuore'. Questa demenza staliniana è ridicola, ma ha comunque ostacolato i ripetuti tentativi del Dalai Lama di negoziare con Pechino. Il Dalai Lama costituisce una minaccia per i leader cinesi, come Hu Jintao e l'attuale capo del regime Xi Jinping, per due ragioni: è la personificazione dello stato del Tibet ed è il simbolo vivente della fede buddista tibetana. 'MALATTIA DA ESTIRPARE' Un esame del caso tibetano rivela la politica dura della Repubblica Popolare Cinese nei confronti del Buddismo. Per un millennio i monasteri tibetani hanno avuto la funzione di distretti centrali per l'educazione, l'arte e il commercio all'interno di una cultura nomade. Dopo che nel 1959 il Dalai Lama si recò in India, le Guardie Rosse di Mao saccheggiarono e rasero al suolo oltre seimila monasteri tibetani. Monaci e monache vennero torturati pubblicamente e condannati a morte in quanto avevano lo 'status di classe cattiva'. La Rivoluzione Culturale (1966-1977) fu particolarmente crudele in Tibet. Ogni forma di religione e folclore, dalla danza alla pratica di bruciare l'incenso, venne bandita. I capelli lunghi, portati indiscriminatamente da uomini e donne, erano etichettati come 'la sporca coda nera della servitù'. Ci sono voluti 30 anni prima che queste storie raggiungessero la stampa internazionale. La 'Campagna di distruzione della quattro cose vecchie' di Mao fu l'apice della patologia comunista, La Guardia Rossa bruciò templi, libri e oggetti d'arte e massacrò studenti, monaci e artigiani in nome della distruzione dei 'vecchi insegnamenti'. Quando gli stati del Sud Est asiatico uscirono dalla loro limitazione totalitaria negli anni 90, il Buddismo riemerse e le sangha -comunità monastiche - vennero velocemente ristabilite. Ma il Tibet è un Paese occupato sottomesso dal Partito Comunista Cinese. Il culto di Mao è molto più affermato in Tibet che nella Cina centrale. I comunisti affermano che l'indipendenza tibetana potrebbe 'dividere la madrepatria'. Il collasso dell'Unione Sovietica mandò in frantumi il principio marxista che il socialismo avrebbe sconfitto le stratificazioni sociali di classe e di etnia. La bandiera comunista cinese rappresenta uno stato multietnico: la grande stella rappresenta gli Han ed è circondata da altre stelle più piccole che rappresentano Mongoli, Manciù, Uiguri, Wei e Tibetani. Sotto gli esperimenti sociali ed economici di Mao, i 60 milioni di persone che facevano parte di minoranze vennero forzate a incarnare l'identità di cittadini cinesi 'rossi ed esperti'. I Tibetati e altre 'minoranze' vengono puniti se esprimono identità etniche e culturali. La campagna del 'Colpire duro', attuata nel 1995, qualche attimo dopo che l'amministrazione Clinton ha svincolato gli scambi commerciali dal rispetto dei diritti umani, si concentrò sul clero buddista del Tibet per infliggere punizioni estreme. Si tratta di un pio desiderio sperare che Xi Jinping porterà una riforma significativa quando sono gli uffici del Partito Comunista Cinese il principio organizzatore della burocrazia statale. Nel suo primo anno al potere, Xi Jinping ha intensificato la 'rieducazione' e 'riforma del pensiero' maoista in Tibet. I Tibetani che sono restii a condannare il Dalai Lama durante le sessioni obbligatorie di 'ri-educazione patriottica' ricevono punizioni particolarmente cruente. Dal 1996, il Pcc ha bandito ogni fotografia o immagine del Dalai Lama in quanto etichettata come 'letteratura reazionaria', e il Buddismo è stato ufficialmente bollato come 'malattia da estirpare'. DESCRIVERE LA CATASTROFE Il ventesimo secolo è stato una catastrofe per la fede buddista, eppure alcuni studiosi hanno esaminato la collisione disastrosa del Buddismo con la modernità. I Governi totalitari del ventesimo secolo hanno raso al suolo milioni di comunità buddiste. Come descrivere dunque la tragedia buddista del ventesimo secolo? L'Oxford English Dictionary definisce così il termine genocidio: «Dal greco genos ossia razza + cidio, quindi l'uccisione intenzionale di un vasto gruppo di persone, in particolare di un gruppo etnico definito o una Nazione». 'Conquista' sarebbe più accurato? La definizione di conquista è «sottomissione o assunzione del controllo di un luogo o popolo tramite l'uso delle forze militari». In ogni caso, la comunità mondiale non ha fatto niente mentre il Tibet veniva invaso dalla Cina e veniva sigillato dietro la Tenda di Bamboo. L'avvocato indiano J.S. Verma ha scritto successivamente: «Se ci fosse stata una mobilitazione mondiale quando la Cina invase il Tibet nel 1951, il Tibet sarebbe sicuramente stato salvato. La Cina si stava riprendendo da una guerra civile disastrosa e non aveva le risorse per gestire due conflitti: la Corea a Est e il Tibet a Ovest... L'India pagò per questo errore quando la Cina affermò il suo controllo sul Tibet nel 1959 e poi invase l'India nel 1962». Nel suo racconto in prima persona relativo al sequestro della sua patria da parte della Cina, il Dalai Lama racconta il suo viaggio a Pechino nel 1955. Alla cena di stato, Mao si voltò verso il Dalai Lama e disse: «Vedi, la religione è veleno. Ha due grandi difetti: Indebolisce la razza e in secondo luogo, ritarda il progresso della comunità. Tibet e Mongolia sono stati entrambi avvelenati da essa». Il Dalai Lama chinò la testa e tremò. «Così voi siete i nemici del dharma dopotutto». Maura Moynihan è una giornalista e ricercatrice che ha lavorato per molti anni con i rifugiati tibetani in India e Nepal. Tra i suoi lavori di narrativa ci sono Yoga Hotel e Kliyuga. Articolo originale in inglese: Genocide Ruling Vindicates Tibet’s Suffering, Offers No Relief Articoli correlati: Genocidio tibetano: accusato Hu Jintao, ex leader del Partito Comunista Cinese
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