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09/09/2013

Le prime parole di Domenico Quirico: “Come aver vissuto 5 mesi su Marte”
di Francesco Grignetti Giordano Stabile

L’inviato libero dopo la prigionia in Siria: non mi hanno trattato bene «Ho cercato di raccontare la rivoluzione ma forse mi ha tradito»

«È come se fossi stato cinque mesi su Marte. E ho scoperto che i marziani sono molto cattivi». Sono le prime parole di Domenico Quirico subito dopo l’atterraggio a Ciampino a mezzanotte e venti di ieri notte. È libero da poche ore, dopo 150 giorni di prigionia in Siria. Lo accoglie il ministro degli Esteri Emma Bonino con il segretario generale Michele Valensise. Dal Falcon di Stato Quirico scende accompagnato da Claudio Taffuri, capo dell’Unità di crisi della Farnesina. È molto provato, gli occhi infossati, indossa una maglietta bianca, un giaccone rimediato, ha un accenno di barba, zoppica leggermente. Ma non perso nulla della sua lucidità, della capacità di lettura immediata della realtà, conserva il suo understatement invidiabile. Alla domanda se ha avuto paura, ci pensa un attimo: «Penso di sì». Come l’hanno trattato? «Non bene». Ma più che la paura, traspare la delusione. «È possibile chi io sia stato tradito dalla rivoluzione». Quella rivoluzione che ha raccontato per due anni dal fronte, da testimone, al prezzo di gravissimi rischi: «Non è la rivoluzione che ho conosciuto due anni fa ad Aleppo, laica, tollerante. È diventata un’altra cosa». 

La notizia delle sua liberazione è arrivata poco prima delle 20. Quirico era libero, al sicuro, si stava per imbarcare su un aereo che lo avrebbe riportato in Italia. Sano e salvo, in buone condizioni fisiche e psicologiche. È stata per prima la Farnesina ad avvertire il direttore de «La Stampa» Mario Calabresi. Poco dopo è arrivata la chiamata del presidente del Consiglio Enrico Letta. Era il lieto fine di una battaglia lunga cinque mesi per riportare il nostro inviato a casa. Domenico ha chiamato moglie e figlie prima di salire sull’aereo. Un «come state?, che avete fatto senza di me?» nel suo stile sobrio, di chi ha affrontato pericoli lungo tutta la sua carriera. 

Ma questi sono stati i mesi più difficili. Quirico è entrato in Siria, dal confine libanese, il 6 aprile. Era già stato ad Aleppo e a Idlib, nelle zone liberate dagli insorti. Questa volta voleva arrivare sul fronte più difficile, nelle aree contese fra ribelli ed esercito regolare a Homs, città martire della rivolta. Si è trovato investito in pieno dalla controffensiva condotta dai militari e dai miliziani libanesi di Hezbollah. Il 9 aprile il suo ultimo sms. Poi il silenzio. 

È cominciata la caccia per individuare i rapitori, stabilire i contatti, avviare le trattative. Con tempi mediorientali, giorni che diventano settimane, mesi. Il terreno non aiuta: a Qusayr infuria la battaglia, Quirico, assieme all’altro occidentale rapito e liberato ieri assieme a lui, il belga Pierre Piccinin, viene spostato in un altro nascondiglio, sempre nella zona di Homs. Dall’Italia arriva l’appello-video delle figlie Metella ed Eleonora, diffuso anche dalle più importanti tv arabe e libanesi. Dopo due mesi di tentativi, il gruppo che lo tiene prigioniero gli concede di usare il telefono. Una chiamata di pochi secondi alla moglie Giulietta: «Sto bene, mi hanno tenuto prigioniero». È il 6 giugno, il rapimento sembra a una svolta.  

Ma ci vuole ancora tempo. Il gruppo che lo ha preso appartiene alla galassia degli insorti, una giungla di sigle, movimenti, profittatori della guerra, dove è difficilissimo districarsi. Gli apparati di sicurezza dello Stato, coordinati dall’Unità di crisi della Farnesina, lavorano senza sosta. La guerra si incattivisce ancora di più, è un bagno di sangue, Quirico è nel centro del vulcano. La cosa più importante è non perdere i contatti, tenere vivo il filo. Dopo la telefonata del 6 giugno, Quirico chiama altre due volte l’Italia, per rassicurare, dare una prova che è ancora vivo e sta bene, come chiesto dalla Farnesina. 

La guerra civile siriana sta assumendo dimensioni mondiali. Dopo l’attacco con armi chimiche del 21 agosto, l’America, con il segretario di Stato John Kerry, rompe gli indugi. Si parla di raid per punire il regime di Bashar al Assad, distruggere il suo apparato di morte. Un’accelerazione che allarma la Farnesina. Nel caos immaginabile di un dopo attacco missilistico c’è il rischio di un rapido spostamento del fronte e di perdere i contatti con i sequestratori. Anche le trattative accelerano. Un pressing martellante per arrivare prima del probabile blitz americano. 

Alla fine ha vinto la caparbietà. Di Domenico, del suo giornale, della Farnesina e di tutto il governo italiano. Alle 21 di ieri il tweet del direttore annuncia la buona notizia: «Domenico #Quirico libero: Erano esattamente 5 mesi che aspettavamo questa notizia, commovente telefonata di Emma #Bonino». La tensione si scioglieva anche al giornale. Non restano che poche ore per poterlo riabbracciare. 

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