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Friday, 22 November 2013

Siria: la rivoluzione che non c’è mai stata
di Asa Winstanley

Che cosa è successo nel mondo arabo da quando l’icona tunisina Muhammad Bouazizi si diede fuoco per protesta nel dicembre 2010?

Una serie di rivolte popolari, ognuna delle quali ha innescato la successiva, spazzandoo la regione. Dal Marocco all’Oman, ci sono stati diversi gradi di protesta contro i regimi ossificati, chiedendo di tutto, dalla caduta del regime alle più semplici riforme.

Ma ora possiamo dire con sicurezza che nessuna di queste insurrezioni ha costituito una rivoluzione. Naturalmente, le immense lotte e sacrifici che le persone hanno fatto possono ancora essere feconde per il futuro.

Ma, in ogni caso, che cosa è una rivoluzione, se non è una lotta per trasformare completamente lo stato e la società? La più vicina alla rivoluzione delle rivolte avvenute, è stata in Tunisia, un paese che deve ancora affrontare immensi problemi interni.

Come il mio collega di Electronic Intifada, Ali Abunimah, ha messo in evidenza, l'Egitto è di nuovo dietro quella piazza. Il Regime sanguinoso del colpo di stato dei generali sta adempiendo al suo contraente minore come parte del brutale assedio israeliano su Gaza, oggi molto più efficace di quando era gestito da Mohammed Morsi. Il presidente egiziano eletto la prima volta è stato rapito dai militari e ora siede nei loro sotterranei, in attesa dell'esito di uno spettacolare processo farsa.

La Libia è un disastro assoluto. Milizie brutali percorrono il paese, sparando ai manifestanti, e sequestrando ministri del governo e funzionari della sicurezza. Le stesse milizie che hanno ripulito etnicamente un'intera città dai Libici neri ed ancora impediscono il loro ritorno. Questi sono i frutti della campagna di bombe NATO per la "liberazione", che è stata scioccamente sostenuta anche da anche alcuni esponenti della sinistra.

Sono sempre stato contro i bombardamenti della NATO sulla Libia. Ma se guardo ora ad alcune delle mie reazioni su Twitter nella prima parte del 2011, è chiaro che ero troppo ottimista circa l'Egitto e altrove. Anch'io ho parlato a favore delle prime manifestazioni contro il regime siriano, nonostante i timori che, fin dall'inizio, sarebbero stati dirottati.

Come molti altri, ho sperato in un cambiamento positivo per della regione. Così come nel valore intrinseco di un tale cambiamento di per sé, un mondo arabo libero è nella posizione migliore per affrontare il regime di apartheid di Israele. La strada per Gerusalemme passa però per le capitali arabe, come il compianto leader palestinese George Habash ebbe a dire per enfatizzare.

Gli americani, i suoi clienti e alleati sono stati colti di sorpresa e sembravano paralizzati. Ma, spronati dal tag team israelo-saudita che guida le forze controrivoluzionarie della regione, la potenza egemone ha subito radunato le sue forze e perso poco tempo in operazioni segrete.

E così vengo alla parte mancante di questa immagine: la Siria.

Dire che la Siria è ormai un disastro è un enorme eufemismo. Questa è una guerra civile settaria che potrebbe continuare per un decennio se i nemici del regime, guidati dalla brutale tirannia saudita, continuano a condurre la loro guerra per procura nel paese.

L’Osservatorio siriano per i diritti umani, su cui si fa ampiamente affidamento per la conta dei morti, un gruppo vicino a ribelli armati, e la cui affidabilità ho messo in discussione in passato, ora afferma che 120.000 siriani sono stati uccisi. L'Osservatorio siriano sostiene che la maggior parte di questi sono combattenti. Sostiene anche, che la maggior parte di questi combattenti fossero dalla parte di Assad.

Questo squilibrio è convenientemente ignorato dai media occidentali, che continuano con la narrazione insostenibile in merito ad una rivoluzione di manifestanti siriani disarmati che ha preso le armi dopo essere stati aggrediti dal maligno regime di Assad.

Se questo fosse vero, perchè anche i dati dell'Osservatorio siriano non mettono a nudo questa immagine? Non c'è mai stata una rivoluzione in Siria.

Come ho detto, questo è vero anche per altri paesi, ma ci sono importanti differenze.

In primo luogo, dittatori filo-occidentali come Ben Ali e Mubarak stavano riposando sugli allori, e non erano riusciti a coltivare una significativa base popolare. Presumibilmente e scioccamente pensando di poter contare che i loro finanziatori americani ed europei non li avrebbero. Come si sbagliavano.

Questo è il motivo per cui, per esempio, nella prima parte del 2011, non si è mai visto nulla di più di piccole manciate di dipendenti pubblici sottomessi a patetiche manifestazioni pro-Mubarak.

Ma che differenza in Siria. Sì, il regime è dittatoriale e spietato. Ma dall'inizio della rivolta, che inizialmente chiedeva solo una riforma, la Siria è stata suddivisa. Insieme con grandi manifestazioni anti-Assad, ci sono stati altrettanto grandi manifestazioni pro-Assad.

Quando le dimostrazioni a sostegno di un tiranno brutale sono assistite su scala così massiccia, non ci si deve lasciar ingannare dalla farsesca teoria della BBC che decine di migliaia di persone sono state costrette sulle strade.

Ormai, non ci sono più manifestazioni di rilievo su entrambi i lati, e queste mobilitazioni pro-Assad si sono verificate prima che fossero commessi alcuni dei suoi peggiori crimini. Ma non c'è dubbio che questo sostegno popolare liberò la sua mano ad ulteriori, e spesso indiscriminate, repressioni militare di gruppi "terroristici".

Questo è un tiranno che, come affermato dagli ispettori delle Nazioni Unite, ha usato armi chimiche contro i civili, e che ha bombardato indiscriminatamente intere aree urbane, nella sua lotta contro i gruppi armati. E tuttavia, continua ad avere una vera e propria base di sostegno che sta crescendo, mentre gli insorti armati diventano sempre più apertamente allineati a gruppi di islamisti fanatici come al Qaida.

Il sempre discutibile Esercito Siriano Libero si sta disintegrando, con molti dei suoi membri che si uniscono alle brigate di al Qaida, allineati come il Jabhat al- Nusra e lo Stato Islamico dell'Iraq e Sham, o anche disertano di nuovo verso i lealisti del regime. Sorprendentemente, alcuni leader di queste brigate, presunti "moderati" ora non vogliono più che Assad lasci il potere.

Qualcuno, di recente, ha detto al giornalista del Guardian Ghaith Abdul Ahad: "Ho bisogno che Bashar al Assad duri per altri due anni ... Sarebbe un disastro se il regime cadesse ora: avremmo due mini-stati  che si combatterebbero tra di loro massacrandosi a vicenda … tribù, islamisti e battaglioni ... Ci saranno sia alawiti che sunniti. O loro o noi. Forse in 10 anni saremo tutti annoiati dalla lotta e impareremo a coesistere ... In 10 anni, forse, non oggi."

Come mostra questo odio settario, nessuno è mai stato moderati. Il che spiega perché così tante unità FSA ora hanno aderito ai gruppi fedeli al leader di al Qaeda Ayman al- Zawarhari, ex numero due di Osama bin Laden.

E qui sta la seconda chiave del mistero della continua crescita della base di sostegno ad Assad. Polarizzata com’è, l'alternativa è considerata da molte persone normali in Siria e nella regione nel suo insieme, di gran lunga peggiore.

Takfiri fanatici armati, in particolare dell’ISIS, ora controllano gran parte della campagna siriana, anche se le forze del regime stanno avanzando costanti. Attualmente, l'unica rivoluzione con qualsiasi prospettiva di successo è quella di al Qaida. E, naturalmente, non è la rivoluzione di tutti.

Questa è la rivoluzione che, a quanto pare inosservata dai suoi tifosi occidentali, ha espulso i cristiani siriani all'ingrosso dalla città di Quseir, molto prima che la resistenza del partito libanese Hezbollah iniziasse il suo intervento a sostegno del regime.

Questa rivoluzione, di cui le brigate dell'esercito libero, presumibilmente moderate, hanno combattuto con i gruppi di al Qaeda invadendo le zone siriane che consideravano roccaforti della religione o della setta sbagliata. Unità del FSA hanno combattuto con Jabhat al Nusra quando invase la storica città di Maloula, a maggioranza cristiana, nel mese di settembre, fino a quando non sono state cacciate fuori dal regime.

Il leader esiliato del FSA, Salim Idriss, che è abbastanza apertamente armato e finanziato da Francia, Regno Unito e Stati Uniti, ha partecipato, a quanto pare in persona, nell'invasione congiunta FSA-al Qaeda dei villaggi intorno a Latakia nel mese di agosto. Dove si è consumato un massacro puramente settario di almeno 190 civili alawiti, con nemmeno la pretesa di un obiettivo militare.

Un testimone oculare legato al giornalista del Guardian Jonathan Steele: "Quando siamo arrivati ​​ a Balouta nella zona di Latakia, ho visto la testa di un bambino appesa ad un albero. C'era il corpo di una donna che era stata tagliata a metà dalla testa ai piedi, e ogni metà pendeva da alberi di mele separati. Mi ha fatto sentire l’impulso di fare qualcosa di selvaggio".

Idriss ha descritto questa campagna come "una delle importanti vittorie che i nostri rivoluzionari hanno guadagnato". Una vittoria.

In un articolo del novembre 2011, Joseph Massad, ai tempi controverso e rinomato accademico e intellettuale palestinese, ha scritto che i siriani "devono affrontare la difficile conclusione che siano stati effettivamente sconfitti, non dalla repressione terrificante del proprio regime dittatoriale cui hanno coraggiosamente resistito, ma piuttosto dalle forze internazionali che sono impegnate come il regime siriano stesso a negare la democrazia ai siriani che tanto la meritano ... la lotta per rovesciare Assad può benissimo avere successo, ma la lotta per realizzare un regime democratico in Siria è stata completamente sconfitta."

Purtroppo, oggi, possiamo vedere che Massad era nel giusto e forse anche troppo ottimista.


Un editore associato a The Electronic Intifada, Asa Winstanley è un giornalista investigativo che vive a Londra.


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Friday, 22 November 2013

Syria: the revolution that never was
By Asa Winstanley

What has happened in the Arab world since Tunisian icon Muhammed Bouazizi burned himself to death in protest in December 2010?

A series of popular uprisings, each feeding off the next, swept the region. From Morocco to Oman, there were varying degrees of protest against ossified regimes, demanding everything from the downfall of the regime to more simple reforms.

But we can now say with confidence that none of these uprisings has constituted a revolution. Of course, the immense struggles and sacrifices that people have made may yet sow seeds for the future.

But what is a revolution anyway, if not a struggle to completely transform the state and society? The closest any of the uprisings has come to revolution has been in Tunisia, which still faces immense internal problems.

As my colleague at The Electronic Intifada Ali Abunimah has put it, Egypt is now back behind square one. The generals' bloody coup regime is fulfilling its junior contractor roll as part of the brutal Israeli siege on Gaza far more effectively than they managed under Mohammed Morsi. The first elected Egyptian president was kidnapped by the military and now sits in their dungeons, awaiting the outcome of a farcical show trial.

Libya is an absolute disaster. Brutal militias now run the country, gunning down demonstrators, and kidnapping government ministers and security officials at will. The same militias that ethnically cleansed an entire town of black Libyans and still blocks their return. These are the fruits of the NATO "liberation" campaign of bombs, which was foolishly supported by even some leftists.

I was always against NATO bombing of Libya. But if I look now back at some of my reactions on Twitter in the early part of 2011, it's clear I too was over-optimistic about Egypt and elsewhere. I too spoke in favour of the early demonstrations against the Syrian regime, notwithstanding fears from the beginning they would be hijacked.

Like many others, I hoped for positive change to the sweep the region. As well as the inherent value of such a change in itself, a free Arab world is best placed to confront Israel's apartheid regime. The road to Jerusalem runs though Arab capitals, as the late Palestinian leader George Habash used to emphasise.

The American imperial power and its clients and allies were caught off guard and seemed paralysed. But, spurred on by the Israeli-Saudi tag-team that leads the counter-revolutionary forces of the region, the hegemon soon rallied its forces and wasted little time engaging in covert operations.

And so I come to the missing part of this picture: Syria.

To say Syria is now a disaster is a massive understatement. This is a sectarian civil war which could continue for a decade if the regime's enemies, led by the brutal Saudi tyranny, continue to wage their proxy war on the country.

The mostly widely-relied-on body-count, that of the Syrian Observatory for Human Rights (a group which is close to armed rebels, and whose reliability I have questioned in the past), now states that 120,000 Syrians have been killed. The Syrian Observatory claims that the majority of these are combatants. It also says the majority of these combatant dead on have been on the pro-Assad side.

The fact of this imbalance is conveniently ignored by western media reporting, which continues with its untenable narrative about about a revolution of unarmed Syrian protesters which only took up arms after being shot down by the evil Assad regime.

If that was true, why do even the Syrian Observatory's figures not bare this picture out? There was never a revolution in Syria.

As I have said, that is also true of other countries, but there are important differences.

Firstly, pro-Western dictators like Ben Ali and Mubarak were resting on their laurels, and failed to cultivate a significant popular base. (Presumably they foolishly thought they could rely on their American and European funders not to sell them down the river. How mistaken they were.)

This is why, for example, in the early part of 2011, you never saw anything more than small handfuls of cowed government workers in pathetic little pro-Mubarak demonstrations.

But what a difference in Syria. Yes, the regime is dictatorial and ruthless. But from the beginning of the uprising, which initially only demanded "reform," Syria was split. Along with large anti-Assad demonstrations, there were equally huge pro-Assad demonstrations.

When demonstrations supporting a brutal tyrant are attended on such a massive scale, you shouldn't fool yourself with the farcical BBC theory that tens of thousands of people were "forced" onto the streets.

By now, there are no demonstrations of significance on either side, and these pro-Assad mobilizations occurred before he committed some of his worst crimes. But there is no doubt this popular support freed his hand for further (and often indiscriminate) military crackdowns on the "terrorist" groups.

This is a tyrant who has (as strongly implied by UN weapons inspectors) used chemical weapons against civilians, and who has bombed whole areas indiscriminately in his fight against armed groups. And yet, Assad has a genuine support base which, almost by default, is only growing as the armed insurgents fighting him become more and more openly aligned to fanatical groups like al-Qaida.

The always questionable "Free Syrian Army" is disintegrating, with many of its members either joining the al-Qaida-aligned brigades such as the Jabhat al-Nusra and the Islamic State of Iraq and Sham - or even defecting back to the regime. Astonishingly, some leaders in these supposedly "moderate" brigades now no longer want Assad to leave power.

One recently told the Guardian's reporter Ghaith Abdul-Ahad that: "I need Bashar [al-Assad] to last for two more years... It would be a disaster if the regime fell now: we would split into mini-states that would fight among each other. We'll be massacring each other - tribes, Islamists and battalions... There will be either Alawites or Sunnis. Either them or us. Maybe in 10 years we will all be bored with fighting and learn how to coexist... In 10 years maybe, not now."

As this sectarian hatred shows, they were never moderate anyway. Which explains why so many "FSA" units have now joined groups pledging allegiance to al-Qaida leader Ayman al-Zawarhari (formerly Osama bin Laden's number two).

And herein lies the second key to the mystery of Assad's continued support base (polarised as it is): the alternative is considered by many normal people in Syria and in the region as a whole, to be far worse.

Armed takfiri fanatics, particularly the Islamic State of Iraq and Sham, now control large parts of the Syrian countryside, even as the regime's forces are making steady gains. The only "revolution" with any current prospect of succeeding is an al-Qaida revolution. And of course that is no revolution at all.

This is the "revolution" which, apparently unnoticed by its Western cheerleaders, expelled Syrian Christians wholesale from the town of Qusair, long before the Lebanese resistance party Hizballah began its divisive intervention in support of the regime there.

This the "revolution" whose supposedly moderate "Free Army" brigades fought with al-Qaida groups who invaded Syrian areas which they considered strongholds of the wrong religion or sect. FSA units fought with Jabhat al-Nusra when it invaded the historic Christian-majority town Ma’loula in September (until they were fought off by the regime).

The exiled and nominal head of the FSA, Salim Idriss (who is quite openly armed and funded by France, the UK and US) participated – apparently in person – in a joint FSA-al-Qaida invasion of Latakia villages in August. This was a purely sectarian slaughter of at least 190 Alawite civilians, with not even a pretence of a military target.

An eyewitness related to the Guardian journalist Jonathan Steele: "When we got into the [Latakia-area] village of Balouta I saw a baby's head hanging from a tree. There was a woman's body which had been sliced in half from head to toe and each half was hanging from separate apple trees. It made me feel I wanted to do something wild".

Idriss described this campaign as one of their "important successes and victories that our revolutionaries have gained". Some victory.

In a November 2011 article, most controversial at the time, renowned Palestinian academic and intellectual Joseph Massad wrote that Syrians "must face up to the very difficult conclusion that they have been effectively defeated, not by the horrifying repression of their own dictatorial regime which they have valiantly resisted, but rather by the international forces that are as committed as the Syrian regime itself to deny Syrians the democracy they so deserve... the struggle to overthrow Asad may very well succeed, but the struggle to bring about a democratic regime in Syria has been thoroughly defeated."

Unfortunately, today we can see that Massad was both right and possibly even over-optimistic.


An associate editor with The Electronic Intifada, Asa Winstanley is an investigative journalist who lives in London.

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