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May 16, 2013
La Reazione alle bombe
di John Beck
Reyhanli, Turchia - Nei momenti dopo la prima autobomba, strappati attraverso la piazza centrale di Reyhanli, la gente si precipitò sulla strada principale per aiutare i feriti. Fu allora che esplose la seconda autobomba. - Circa 15 uomini sono morti davanti ai miei occhi, dice Kasseim, 26 anni, che era fuggito dal suo ufficio presso il vicino Media Center siriano per fornire assistenza ai feriti dall'esplosione. Molti residenti sono fuggiti dopo la seconda esplosione, pensando che l'attacco fosse un bombardamento da oltre confine. Quando sono tornati, egli sostiene, i siriani sono stati presi di mira - attaccati con cinghie e coltelli, anche se avevano aiutato a tirare fuori le vittime dalle macerie.
I residenti di Reyhanlı sono arrabbiati, e giustamente. Almeno 46 morti e più di 100 feriti nelle due esplosioni, che hanno lasciato il centro della città in rovina e distrutto numerose aziende e mezzi di sussistenza. Nella città, la cui popolazione raggiunge le 60.000 persone, pochi saranno stati esclusi dalla massiccia perdita di vite umane e beni.
Sulla scena internazionale, il ministro degli esteri turco Ahmet Davutoglu ha accusato gli agenti del regime del presidente siriano Bashar al-Assad per gli attacchi, mentre Damasco ha, a sua volta, negato le accuse, puntando il suo dito insanguinato sui cosiddetti gruppi terroristici. In Reyhanli, però, la rabbia è diretta altrove. Molti accusano il governo di provocare gli attacchi sostenendo i ribelli siriani, anche i media vengono criticati. Le peggiori critiche però, sono dirette in generale ai profughi siriani che cercando riparo dalle atrocità commesse oltre confine, con la loro presenza, hanno reso Reyhanli un obiettivo per il regime di Assad.
Reyhanli non è più un rifugio. Dal momento del bombardamento, i siriani sono stati inseguiti e picchiati da folle inferocite, le loro imprese saccheggiate e le auto vandalizzate. Ora, alcuni hanno deciso che il risentimento popolare ha reso la vita, in una città dove un tempo si rifugiavano, più pericolosa della guerra civile da cui sono fuggiti.
Alle 09:00 di Mercoledì mattina, una folla di siriani, molti dei quali donne e bambini, si sono accalcati contro le porte in metallo sul lato turco della vicino frontiera di Bab al-Hawa, con la speranza di passare di nuovo nella patria dilaniata dalla guerra. Non volendo rischiare un viaggio su di un veicolo con targa siriana, la maggior parte ha impegnato autisti turchi, che, inpossibilitati ad attraversare la frontiera, erano tornati a Reyhanli, lasciando i loro carichi in piedi, a gruppi, sull’asfalto in attesa che le porte del confine si aprissero. Molti non avevano i passaporti, persi mentre fuggivano dalla Siria o mai posseduti, mentre funzionari annotavano i loro nomi su pezzi di carta nel tentativo di documentare chi era entrato ufficiosamente.
In piedi tra i sacchetti, le scatole, i tappeti, e un enorme frigorifero che compone i possedimenti della sua famiglia, un uomo, che ha dato il suo nome come Abu Rami, aveva poco da fare se non aspettare, e sperare che il passaggio e il trasporto fosse imminente. "Reyhanli era un bel posto, siamo fuggiti dai nostri morti in Siria. Ma ora, a causa delle esplosioni, forse torniamo a loro. Poi aggiunge che con la sua famiglia, avevano pagato tre mesi di affitto o anticipato per una casa in Turchia, ma ora non hanno altra scelta che partire al fine di garantire la loro sicurezza. Torneranno ad un villaggio nei pressi di Aleppo, teatro di alcuni dei più feroci combattimenti della guerra civile. - Adesso scappiamo dalla Turchia, andremo a casa a chiedere a Dio di aiutarci
Appoggiato alle stampelle nelle vicinanze c’era Hassan Al-Shamrani - un combattente del Libero Esercito Siriano che è stato ferito un anno fa, in uno scontro con le forze di Assad ed è stato curato in Turchia, a seguito di un intervento chirurgico. Ha detto che stava tornando alla sua famiglia in Siria, nonostante la mancanza di strutture ospedaliere disponibili là per continuare la sua convalescenza. - Sono ancora in via di guarigione, ma ora uccidono i siriani qui, e quindi ho paura.
Torno a Reyhanli, le tensioni sono ancora alte, con storie di abusi, pestaggi e perfino omicidi di siriani per una rappresaglia a causa dei bombardamenti e delle false voci di roghi di bandiera e altre attività anti-turche.
Di conseguenza, la maggior parte rimangono nascosti, hanno paura e non vogliono lasciare le loro case. - Mi ha ricordato la vita in Siria, dice Kasseim, che ha trascorso la notte del bombardamento bloccato in un ufficio con altri 11 … Eravamo soli, avevamo paura della polizia e dei gruppi armati, e nessuno avrebbe risposto ai telefoni. - Per molti rifugiati, andarsene per non tornare mai più, appare ora come l'unica opzione, dice. - Ogni siriano che ha vissuto e sperimentato questa situazione non tornerà in Turchia. -
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May 16, 2013
Bombing backlash
By John Beck
Reyhanli, Turkey In the moments after the first car bomb ripped through Reyhanli’s central square, people rushed from the main road to help the injured. That was when the second blast happened. “About 15 men died in front of my eyes,” says Kasseim, 26, who had run from his office at the nearby Syrian Media Center to provide assistance to those injured from the blast. Many local residents fled after the second explosion, thinking the attack was a shelling from across the border. When they returned, he claims, Syrians were targeted attacked with belts and knives, even as they helped pull victims from the rubble.
Reyhanli’s residents are angry, and justifiably so. At least 46 were killed and more than 100 injured in the two explosions, which left the town center in ruins and destroyed countless businesses and livelihoods. In the town, whose population numbers around 60,000, few will have been completely untouched by the massive loss of life and property.
On the international stage, Turkish foreign minister Ahmet Davutoglu has blamed agents of Syrian President Bashar al-Assad's regime for the attacks, while Damascus has, in turn, denied the allegations, pointing its bloody finger at so-called terrorist groups. In Reyhanli, however, anger is directed elsewhere. Many accuse the government of provoking the attacks by backing the Syrian rebels, while the media comes under criticism too. The worst ill will, however, has been directed at the town’s large population of Syrian refugees, who, some local residents say, made it a target for the Assad regime by seeking shelter there from the atrocities being committed across the border.
It is a shelter no longer. Since the bombing, Syrians have been chased and beaten by angry mobs, their businesses looted and cars vandalized. Now, some have decided that popular resentment has made life in a town where they once sought refuge more dangerous than the civil war they came there to escape.
By 9 AM on Wednesday morning, crowds of Syrians, many of them women and children, were already pressed up against the metal gates on the Turkish side of the nearby Bab al-Hawa border crossing, hoping to pass back to their war-torn homeland. Unwilling to risk a journey with a Syrian plated vehicle, most had engaged Turkish drivers, who, unable to cross the border, had returned to Reyhanli, leaving their charges standing in groups on the tarmac waiting for the gates to open. Many did not have passports lost as they fled Syria or never owned in the first place and officials noted down names on bits of paper in an attempt to document those who had entered unofficially.
Standing amongst the bags, boxes, rugs, and huge refrigerator that made up his family’s possessions, a man, who gave his name as Abu Rami, had little to do but wait, and hope that passage and transport would be forthcoming. “Reyhanli was a nice place, we escaped from our deaths in Syria there. But now, because of the explosions, perhaps we go back to them.” He adds that his family, who are giving up the three months’ rent they paid in advance for a house in Turkey, felt they had no choice but to leave in order to ensure their safety. They will return to a village near Aleppo, scene of some of the fiercest fighting of the civil war. “Now we escape Turkey, we will go [home] and ask God to help us”
Propped up on crutches nearby was Hassan Al-Shamrani a Free Syrian Army fighter who was injured over a year ago in a skirmish with Assad’s forces and has been recuperating ever since in Turkey, following extensive surgery. He told NOW that he was returning to his family in Syria despite the lack of available hospital facilities there to continue his convalescence. “I am still healing, but they kill Syrians here now, so I am scared.”
Back in Reyhanli, tensions are still running high, with stories of abuse, beatings, and even murders of Syrians in perceived retaliation for the bombings and rumors (untrue, Kasseim says) of flag burnings and other anti-Turkish activity.
Most are in hiding as a result, afraid and unwilling to leave their homes. “It reminded me of life in Syria,” says Kasseim, who spent the night of the bombing locked in an office with 11 others and no food supplies. “We were alone, afraid of the police and of armed groups, and no one would answer their phones.” For many refugees, leaving and never coming back, now feels like the only option, he says. “Any Syrian who has lived and experience the situation here will not return to Turkey.”