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01/06/2013

Il calvario di Zeynab, sola con nove bambini
di Anna Clementi

Zeynab aveva quarantasei anni ma ne dimostrava sessanta. Il capo chino, si sistemava inconsciamente i vestiti e si aggiustava il velo con un gesto automatico. I suoi occhi erano spenti, la sua voce monocorde. Seduta nella glaciale sala d’attesa di un centro di salute, sembrava sul punto di rompersi. E la sua vita, in effetti, era stata rotta.

Con suo marito Mohammed, i loro dieci figli, con età tra cinque e ventidue anni, e altri membri della loro famiglia, Zeynab aveva lasciato il suo villaggio parecchi mesi prima per rifugiarsi tra le montagne attorno a Homs. Si erano decisi a partire a causa della morte di una cognata e di sua figlia durante un bombardamento aereo.

Si lasciarono quindi alle spalle le loro case per sistemarsi dentro a delle grotte. Abbandonarono la loro vita e la loro comodità per non avere più paura, perché i bambini non avessero più incubi e gli adulti potessero finalmente dormire. Ma la tregua fu di corta durata: un giorno il loro riparo fu attaccato dall’aviazione con un lancio di barili esplosivi. Allora Zeynab, Mohammed e i loro figli presero la direzione del Libano.

Avanzarono a fatica attraverso la montagna, dalle cinque del pomeriggio alle sei del mattino successivo, portando a turno il loro figlio maggiore, portatore di handicap sin dalla nascita. In piena notte, arrivarono degli aerei e cominciarono a bombardare la zona che stavano attraversando. Morti di paura, Zeynab e i suoi famigliari si lanciarono al suolo. Passarono trenta minuti di insopportabile angoscia, prima di riprendere il loro cammino, al limite dello sfinimento.

L’arrivo in Libano fu un sollievo per loro, ma una delle bambine, la piccola Nur di dieci anni di età, aveva smesso di parlare. Delle persone generose pagarono i suoi esami medici: a conferma delle supposizioni di Zeynab, Nur non soffriva di nessuna malattia fisica, ma lo spettacolo della violenza aveva finito per traumatizzarla.

Dopo tante difficoltà Zeynab pensava di poter riprendere fiato; ma la sorte continuò ad accanirsi. Siccome erano scappati senza nessun documento di identità, Mohammed dovette tornare in Siria a cercarli: “…ma l’esercito aveva occupato il villaggio e aveva piazzato delle mine… Un uomo con suo figlio ci sono caduti sopra e sono morti. Mio marito è rimasto ferito…”

Ferito gravemente a una gamba e con delle fratture multiple, Mohammed fu amputato all’altezza del ginocchio. Non potrà mai più lavorare e dovrà imparare a vivere con questo handicap. Attualmente è in cura all’ospedale di Tripoli, dove resterà per almeno tre mesi, in compagnia di uno dei suoi figli.

Ormai Zeynab è sola con nove bambini, in un piccolo villaggio della Bekaa. Sopravvive sotto una tenda grazie alla generosità dei vicini libanesi. Nur impara di nuovo, lentamente, a parlare, “come un bambino piccolo” sospira Zeynab. Il proprietario del campo vicino la fa lavorare: con le sue due figlie maggiori, pianta la lattuga, i piselli e le fave, per una paga di 3,50 euro al giorno. Quando le viene chiesto del suo futuro, rivolge altrove lo sguardo e mormora: “Tornare a casa. Non vogliamo niente, soltanto tornare a casa.”

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