Originale: The Independent In Siria è scoppiata la polio e venti milioni di bambini vanno vaccinati La tragedia siriana si fa più feroce ogni settimana che passa. Sono rimasto sconvolto nell’apprendere durante questo fine settimana che almeno 2.000 afgani, i più poveri tra i poveri nel paese più duro della terra fuggiti dall’invasione sovietica della loro terra e poi dalla guerra civile post russa e poi dai talebani post guerra civile e poi dai talebani post 11 settembre sono intrappolati in seminterrati di Damasco, incapaci di lasciate la Siria o di tornare nella loro terra abbandonata. Il loro deve essere l’incubo più orribile, perché per la maggior parte sono mussulmani sciiti, disprezzati dai talebani e adesso dai ribelli sunniti che cercano di rovesciare il governo di Bashar al-Assad. Poiché Assad è alawita, che è una forma di sciismo, questi afgani sono considerati sostenitori del regime dall’opposizione siriana e accusati di schierarsi con il governo. Almeno dieci, mi è detto, sono stati uccisi da autobombe e proiettili. Vivono principalmente intorno a un edificio e l’Alto Commissario dell’ONU per i Rifugiati lo sa, ma quando dieci famiglie si sono offerte volontariamente due settimane fa di andarsene e di tornare in Afghanistan, l’ONU ha detto loro che non poteva assisterle nell’espatrio o garantire la loro sicurezza. Oggi questa comunità miserabile si appella alla generosità del Canada per ottenere aiuto. “Non siamo per nessuna delle parti ostili in Siria”, ha scritto uno di loro da Damasco. “Siamo venuti qui soltanto per sopravvivere alla guerra che era in corso nel loro paese natale”. Forse il Canada potrà salvarli. Certamente non lo faranno i ribelli. Né riesco a immaginare il regime, mentre si apre la via tra le rovine della Siria, che si prende oggi cura delle loro vite. I libanesi hanno accolto così tante centinaia di migliaia di profughi siriani che è improbabile aprano i loro confini agli afgani. Ci importa di loro? Importerà al Canada? Non posso fare a meno di restare sbalordito per il vasto movimento di popolazioni in Medio Oriente. Negli anni ’70 e ’80 gli afgani affluivano a milioni attraverso i confini pachistano e iraniano. Decine di migliaia di libanesi fuggivano regolarmente in Siria dalla loro guerra civile. Poi, nel 1990, decine di migliaia di kuwaitiani sono fuggiti attraverso il loro confine dall’invasione di Saddam, seguiti da un esodo biblico di curdi verso la Turchia. Poi milioni di iracheni hanno lasciato le loro case dopo l’invasione statunitense del 2003 e sono affluiti in Siria e in Iran. E oggi i siriani, a centinaia di migliaia, vivono in Libano: un quarto della popolazione libanese. In alcuni paesi montani sopra Beirut le autorità locali hanno persino dichiarato un coprifuoco stradale per i siriani. Ora chiedono l’elemosina in quasi ogni strada del centro della capitale. Aggressivi ragazzi lustrascarpe infestano la Corniche fuori da casa mia. “Dalla Siria” mi ha detto uno di loro nel fine settimana, indicando i suoi abiti lerci e pretendendo denaro e seguendomi lungo la strada, tirandomi per la camicia. Naturalmente gli ho dato dei soldi. Le donne siriane oggi siedono agli angoli delle strade, bambini sudici dietro di loro, implorando anche poche monete libanesi. L’economia libanese geme sotto il peso degli enormi campi aperti lungo il confine per i profughi. Ora attraversano in gran numero il confine con l’Iraq del nord e una città-campo gigantesca esiste per loro in Giordania. E mi ritrovo a chiedermi quali effetti catastrofici stiano avendo in Medio Oriente queste migrazioni di massa, distruggendo società intere, lacerando identità tribali e famigliari, trasformando i popoli del mondo mussulmano (e cristiano) in enormi eserciti di senzatetto e di persone spezzate. Quali effetti avrà questo sulla religione, sulla loro fede? Quasi senza rendercene conto stiamo assistendo a quella che deve essere la più vasta migrazione di anime attraverso le frontiere dai cammini dei profughi che seguirono la fine della seconda guerra mondiale. Anche quel conflitto è stato seguito dalla miseria e dalla fame e dalle malattie. Non sorprendentemente in Siria è scoppiata la poliomielite e venti milioni di bambini devono essere vaccinate nell’intero Medio Oriente, dalla Turchia fin giù a Gaza e in Egitto. Ma oggi in Egitto sono tempi duri per i profughi siriani. Favoriti da Mohamed Morsi prima che l’esercito lo buttasse fuori i profughi siriani potevano accedere all’istruzione e all’assistenza sanitaria egiziana. Morsi, naturalmente, appoggiava i ribelli in Siria e ruppe le relazioni con Assad uno dei motivi, forse, per cui gli Stati Uniti gli sorrisero anche se gli statunitensi possono non aver notato i suoi rapporti con la Fratellanza Mussulmana siriana. Ma nel giro di giorni dal colpo di stato militare al Cairo, il cosiddetto governo “provvisorio” oggi in essere ha reintrodotto le limitazioni all’immigrazione e la stampa egiziana, ruffiana oggi quanto lo era ai tempi d’oro di Mubarak, ha avviato una campagna contro i profughi sia palestinesi sia siriani, affermando che i siriani avevano appoggiato Morsi. Un conduttore mediatico, come ha segnalato la ricercatrice del Cairo Jasmin Fritzsche, ha persino chiesto che gli egiziani distruggano le case e i negozi dei siriani e non ritireranno il loro sostegno a Morsi. Che cosa provocheranno alla regione questa vasta brutalizzazione e i flussi di profughi dei passati decenni (e qui vanno ricordati i 750.000 palestinesi le cui terre furono prese dal nuovo Israele più di sessant’anni fa e i cui discendenti vivono ancor oggi nel sudiciume dei campi)? Finiscono nei mari fuori dall’Australia o muoiono nel Mediterraneo o lottano in tutta la Turchia nella speranza di raggiungere l’Europa. Sono vittime dei contrabbandieri di uomini, ridotti alla fame, violentati. Quale nuova durezza d’animo emergerà da tutti questi tormenti? La Svezia forse comprende questo con la sua generosità nei confronti dei siriani. Forse il Canada aiuterà gli afgani di Damasco. Ma temo che il mondo, difficilmente incolpevole di tutto questo dolore, chiuderà più rigidamente i propri confini e incolperà le vittime della loro stessa disperazione e getterà loro qualche soldo come ho fatto io la settimana scorsa a meno di cento metri dalla mia casa di Beirut nella speranza che se ne vadano. La strada è lunga per difendere Tipperary Tornando alla Grande Guerra. Non a quei maledetti papaveri che vanno ora gettati fino allo spettacolo dell’anno prossimo ma a un magnifico libriccino sulla bella contea irlandese di Tipperary durante il conflitto del 1914-18. Tipperary era essa stessa una cittadina di guarnigione, e i feriti della Somme britannici e irlandesi in uniforme britannica arrivavano a centinaia a ricordare alla gente dell’isola il costo dell’ecatombe per la quale loro e solo loro nel Regno Unito non sarebbero stati coscritti. Ma i britannici fecero del loro meglio per convincerli ad andare in guerra. Il mio passaggio preferito in questo libro di John Dennehy oggi un collega per un giornale del Golfo Arabo ricorda come il giornale The Nationalist affermò che “i soldati del Belgio sono gli spartani dei tempi moderni che si battono alle Termopili e proteggono l’Irlanda dall’invasione”. Un bel mito da rifilare agli irlandesi da parte della stampa filo-britannica, forse, ma certamente avrebbe confuso i soldati belgi a pezzi mentre si ritiravano nella splendida, ma prossima alla distruzione, città di Ypres, l’unico pezzetto di Belgio ancora in mani alleate. Da Z Net Lo spirito della resistenza è vivo www.znetitaly.org Fonte: http://www.zcommunications.org/polio-has-broken-out-in-syria-and-20-million-children-are-to-be-vaccinated-by-robert-fisk.html
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