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25/10/2013

Non solo armi chimiche, ma anche fame, autobombe, epidemie
di F.D.

In apparenza, la situazione in Siria nelle ultime settimane è sembrata quasi migliorare. Gli esperti dell’ONU sono all’opera per identificare e distruggere l’arsenale chimico siriano. Le discussioni e gli incontri si susseguono in preparazione della conferenza di pace “Ginevra 2”, prevista teoricamente per fine dicembre. I media internazionali non parlano quasi più degli scontri, delle esplosioni e dei bombardamenti. Rispetto a fine agosto tutto sembra essere rientrato.

Invece sul terreno, lontano dai grandi schermi, il conflitto va avanti. Tra il regime e l’opposizione per il controllo delle grandi città e di altre aree strategiche. Tra i gruppi armati islamisti e le milizie curde per il controllo della regione nord-orientale e dei posti di confine con la Turchia e l’Iraq. E a volte tra i gruppi d’opposizione moderati e le milizie islamiste radicali per l’egemonia sul nord del paese. Nonostante negli ultimi due mesi non ci siano stati grandi offensive né grossi capovolgimenti di fronte, gli scontri a media e bassa intensità continuano.

Inoltre un nuovo trend molto preoccupante è apparso nelle ultime settimane: l’esplosione di autobombe in zone sotto controllo dell’opposizione. Questo tipo di attentati era stato utilizzato finora soprattutto nelle zone controllate dal regime. 27 settembre, Rankous, governorato di Damasco: oltre 25 morti e più di 100 feriti. 14 ottobre, Darkoush, governorato di Idlib: oltre 27 morti e decine di feriti. 25 ottobre, Wadi Barada, governorato di Damasco: oltre 100 morti e più di 200 feriti. In due casi l’esplosione è avvenuta a fianco di una moschea all’ora della preghiera del venerdì; in un altro caso, nel pieno del quartiere commerciale della città. Nessuno ha rivendicato questi attentati; sospetti e accuse sono stati rivolti sia verso il regime sia verso i gruppi islamisti più radicali.

Nel mezzo di questo garbuglio, tra linee del fronte confuse e fluttuanti, attacchi a sorpresa e bombardamenti alla cieca, oltre 20 milioni di siriani cercano ogni giorno di scampare alla violenza e alla miseria. Tra di loro ci sono oltre 5 milioni di sfollati interni. Nonostante le grandi acrobazie della diplomazia internazionale e gli sforzi meritevoli degli ispettori dell’OPAC per eliminare le armi chimiche, la situazione dei civili non è assolutamente cambiata rispetto a due mesi fa. Anzi, rischia di peggiorare a causa della scarsità di cibo e dell’arrivo dell’inverno.

L’aumento dei prezzi, la mancanza di lavoro, l’abbandono dei terreni agricoli e la fuga precipitosa di molti sfollati hanno contribuito a creare una crisi alimentare in molte regioni del paese. Il Programma Alimentare Mondiale (PAM) dichiara di distribuire razioni di cibo mensili a circa tre milioni di persone. Altre centinaia di migliaia di persone ricevono aiuti alimentari da altre organizzazioni locali e internazionali. Ma in molte zone gli aiuti non riescono ad arrivare. Alcune cittadine nell’hinterland di Damasco, tra cui Muadhamiyah, Daraya e Yarmouk, sono tenute sotto stretto assedio dal regime: auto e camion non possono entrare né uscire e l’approviggionamento di cibo è quasi impossibile. L’opposizione impiega delle tattiche simili ad Aleppo e in altre zone del nord del paese.

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