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https://now.mmedia.me Dove va la Siria? Così sembra che ora abbiamo un accordo russo-americano di sorta su tali armi chimiche brutte in Siria. È ben vero che il Presidente Putin ha risparmiato l’imbarazzo del Presidente Obama con un affare astuto e anche auto-interessato che viene presumibilmente a liberarsi di quelle armi chimiche siriane. Tuttavia, mentre esaminano questo accordo o ascolto le numerose conferenze stampa dopo i colloqui che hanno avuto luogo tra John Kerry e Sergey Lavrov a Ginevra, ho questa fastidiosa sensazione che lascia la porta aperta su ciò che accade in seguito alla guerra tra la regime di Assad, con i suoi alleati, e i ribelli dell'opposizione, con i loro alleati. Questa proposta di distruggere le armi chimiche, non sarà un altro ingegnoso stratagemma per salvare il regime di Assad, sprofondando il paese in nuove violenze? Dopo tutto, il regime di Assad pretendeva, soltanto una quindicina di giorni fa, di non possedere nemmeno le armi chimiche. Oppure potrebbe essere questa una misura di fiducia che avrebbe creato una soluzione che accompagni fino ad una soluzione negoziata al tavolo Ginevra II? Quali grandi elefanti nella stanza dovrebbero essere invitati al tavolo delle trattative non solo in termini di principali protagonisti, ma anche dei loro alleati? In effetti, è fin troppo semplice che la sopravvivenza del regime di Assad sia l'unico antidoto contro le fazioni islamiste estreme, poco più di 10.000 in tutto, con un gran numero di loro che sono stranieri e autonominatisi jihadisti, che non hanno alcun interesse in questo conflitto in Siria? O forse l'antidoto all’attuale violenza potrebbe essere il rafforzamento di quelle forze che fanno riferimento al Supremo Comando Militare del generale Salim Idris, che vuole mantenere una Siria multi-confessionale e pluralista, e non vuole finire sulla strada delle vendette religiose o della pulizia etnica? Oggi, mi preoccupo per quei profughi siriani. Sono attualmente oltre 2 milioni di uomini, donne e bambini nei paesi vicini (come la Giordania, il Libano, o la Turchia) e altri 4 milioni all'interno della Siria stessa. Questi numeri potrebbero certamente aumentare se i bombardamenti con armi convenzionali non accennano a diminuire, come sta accadendo in questo momento, e mi chiedo a volte se noi occidentali siamo così incapaci o ingenui da aspettarci che Giordania e Libano si assumano l’onere di questi rifugiati da soli, solo per vedere le strutture del loro sistema economico, e quindi anche politico, crollare inevitabilmente. Possiamo immaginare le conseguenze non intenzionali, e terribili, regionali e globali di un tale tracollo? Un’altra delle mie preoccupazioni sono le diverse comunità indigene cristiane in Siria, in gran parte ortodossi e cattolici, ma anche anglicani e della Riforma, che portano ugualmente il peso della violenza in corso in molte parti del paese. La mia comunità armena ha una presenza consistente in Aleppo e spesso parlo con loro e mi meraviglio delle loro speranze e paure. Ma sono altrettanto preoccupato per le molte altre comunità, come drusi, curdi, sunniti o alawiti, che sono tutti presi per le corna di un grosso dilemma in termini di sicurezza e di benessere. Come Jeremy Bowen ha riferito per la BBC da Damasco la scorsa settimana, "il mosaico religioso di diverse sette si sta rompendo." Eppure, so anche per esperienza pluridecennale con politici ed ecumenici della regione mediorientale, che i capricci e i lamenti continui per la sorte dei cristiani, il villaggio pittoresco e storico di Maalula viene in mente, supponendo che tutti i cristiani sostengano senza riserve il regime siriano come si sostengono alcuni gerarchi li espone ad ulteriori pericoli. Dopo tutto, i cristiani hanno molte opinioni in Siria. Inoltre, l'esodo dei cristiani indigeni dalla regione mediorientale, dal 20% nel 1900 a meno del 5% di oggi, non ha avuto inizio con la cosiddetta primavera araba. E' andata avanti per molti decenni. In effetti, una questione fondamentale è che molti cristiani, a differenza dei molti musulmani, non guardano al loro nazionalismo e alla cittadinanza attraverso la lente della loro identità religiosa. A volte, mentre discuto di Siria con i colleghi, mi chiedo ad alta voce perché in Occidente rimanemmo in silenzio per più di due anni senza mostrare alcuna preoccupazione o adeguata compassione verso la popolazione siriana e poi ci precipitammo ad agire con tanta alacrità. Per quanto l’uso di armi chimiche sia davvero un crimine contro l'umanità, lo sono anche le morti di 117.000 esseri umani. E così è il disperato bisogno all'interno di parti della Siria per acqua, luce, casa, cibo, ospedali, cliniche, medici e medicine, per non parlare della povertà dilagante e la distruzione indiscriminata della Siria. Come è vero che la regione mediorientale è diventata un vero e proprio nido di vespe. Eppure, nonostante questo vortice di caos, di esperti e di spostamenti e slittamenti politici continui, e i giochi di prestigio, penso sempre prima di tutto a tutti quegli uomini, donne e bambini che sono vittime inermi, impauriti da una guerra che auspica ulteriore anarchia e atrocità. Per me, l'accordo sulle armi chimiche non è l'unico segno qualificante. Vero, è una grande passo per liberarsi dell’arsenale di agenti tossici in possesso di un regime, forse uno dei più grandi del mondo. Ma non è il vero problema per me. Permettetemi di essere coraggioso e di suggerire quello che considero il reale e pressante problema: questo affare che si concentra esaustivamente sulle armi chimiche significa che abbiamo purtroppo deciso che, molto semplicemente, non presteremo alcuna attenzione a tutti i morti siriani che muoiono di sole armi convenzionali? E se è davvero così, che cosa vuol veramente dire di noi? https://now.mmedia.me Syria: Where to Now? So it seems that we now have a Russo-American deal of sorts over those nasty chemical weapons in Syria. It is quite true that President Putin spared President Obama’s blushes with an astute (and also self-interested) deal that purportedly gets rid of those Syrian chemical weapons. However, as I peruse this deal or listen to the numerous press conferences following the talks that took place between John Kerry and Sergey Lavrov in Geneva, I have this niggling feeling that it leaves the door wide open on what happens next in the war between the Assad regime (with its allies) and the opposition rebels (with their allies). Would this proposal to destroy those weapons be another clever ploy to save the Assad regime only to mire the country down into further violence? After all, the Assad regime was claiming only a fortnight ago that it did not even possess any chemical weapons. Or could this be a confidence-building measure that would create a win-win solution and lead up to a negotiated settlement at the Geneva II table? Which big elephants in the room should be invited to the table of negotiations not only in terms of the main protagonists but also of their allies? In fact, is it so simple that the survival of the Assad regime is the only antidote against extremist Islamist factions just over 10,000 altogether, with a great many of them being foreign and self-appointed jihadis who have no business in this conflict in Syria? Or perhaps should the antidote to the current violence be the reinforcement of those forces under the Supreme Military Command of General Salim Idris he wants to maintain a multi-confessional and pluralist Syria and does not wish to go down the road of religious vendettas or ethnic cleansing? Today, I worry about those Syrian refugees. They now number over 2 million men, women, and children in neighbouring countries (such as Jordan, Lebanon, or Turkey) and another 4 million inside Syria itself. Those numbers would certainly increase (I have seen this happen during wars and earthquakes) if the bombardments with conventional arms continues unabated (as is happening right now), and I do wonder sometimes if we in the West are so clueless or naïve to expect Jordan and Lebanon to shoulder this burden alone only to have their economic and therefore also political structures crumble inevitably. Could we imagine the regional and global unintended, and dire, consequences of such a meltdown? It is also one of my jobs to worry deeply about the diverse indigenous Christian communities in Syria largely Orthodox and Catholic, but also Anglican and Reform who are equally bearing the brunt of the ongoing violence across many parts of the country. My own Armenian community has a substantial presence in Aleppo and I often talk to them and wonder about their hopes and fears too. But I equally worry about the many other communities such as the Druze, Kurds, Sunnis, or Alawites who are all caught on the horns of a big dilemma in terms of their security or welfare. As Jeremy Bowen reported for the BBC from Damascus last week, “the religious mosaic of different sects is breaking up.” Yet, I also know from my own decades-long experiences with the political and ecumenical vagaries of the MENA region that bemoaning constantly the fate of Christians the quaint and historic village of Maalula comes to mind here and assuming that all Christians unreservedly support the Syrian regime as it is claimed by some hierarchs does them a huge disservice and exposes them to further perils. After all, many Christian have many opinions in Syria. Besides, the exodus of indigenous Christians from the MENA region from 20% in the early 1900s to less than 5% today did not start with the so-called Arab Spring. It has been going on for many decades. In fact, one key issue is that many Christians, unlike many Muslims, do not look at their nationalism and citizenship through the lens of their religious identity. Sometimes, as I discuss Syria with colleagues, I wonder out loud why we in the West stood by silently for well over two years without showing any hands-on concern or adequate compassion toward the Syrian population and then rushed to act with such alacrity. Much as using chemical weapons is indeed a crime against humanity, so are the deaths of 117,000 human beings. And so is the desperate need within parts of Syria for water, electricity, shelter, food, hospitals, clinics, doctors and medicines, let alone the rampant poverty and indiscriminate destruction being visited upon Syria. How true it is that the MENA region has become a veritable hornet’s nest. Yet, despite this maelstrom of expert confusion and constant shifts, the political slipups and sleights-of-hand, I always think first and foremost of all those men, women, and children who are the hapless and fearful victims of a sorry war that augurs further anarchy and atrocity. For me, the deal over chemical weapons is not the only qualifier. True, it is a huge achievement to rid a regime of an arsenal perhaps one of the largest in the world of toxic agents in its possession. But it is not the real issue for me. Let me be bold enough to suggest what I consider the real and pressing issue: does this CW deal that focuses exhaustively on chemical weapons mean that we have alas decided that we will simply not pay Syrian deaths much mind at all so long as they die by conventional arms only? And if that is indeed so, what does it really say about us?
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