Il Manifesto
La guerra che verrà Il Parlamento siriano scrive al Congresso: "Dite no alla guerra". Roma, 7 settembre 2013, Nena News - La frattura emersa al G20 accorcia ulteriormente i tempi della guerra di Barack Obama alla Siria e i parlamentari di Damasco si rivolgono ai loro colleghi americani. «Vi chiediamo di non prendere misure irragionevoli, dal momento che avete il potere di spingere gli Stati Uniti ad abbandonare la via della guerra per quella della diplomazia», ha scritto il presidente del Parlamento siriano Jihad al Lahham ai deputati americani, in vista di un voto del Congresso atteso a partire dal 9 settembre. Le speranze che l'appello sia accolto sono minime, di fatto nulle. Gli abitanti di Damasco perciò continuano a scappare verso Libano e Giordania temendo i bombardamenti. Il dramma dei civili è immenso e ieri l'Unicef ha riferito un altro dato tragico. Circa 2 milioni di giovani tra i 6 e i 15 anni, pari al 40% della popolazione scolastica, non entrerà in classe quest'anno. «Per un paese che poco prima dell'inizio del conflitto aveva quasi raggiunto l'obiettivo dell'educazione primaria universale, queste cifre sono raccapriccianti», ha dichiarato la portavoce dell'agenzia dell'Onu. In Siria sono state distrutte o danneggiate oltre 3mila scuole, oltre 900 sono state occupate da famiglie che hanno abbandonato le loro case. Obama nel frattempo ha allungato l'elenco iniziale di 50 obiettivi da colpire in Siria, deciso nei giorni scorsi assieme all'alleato Hollande. E avrebbe dato disposizione di utilizzare anche gli aerei per gli attacchi e non solo i missili «Tomahawk». La guerra «contenuta», limitata a 2-3 giorni per «punire il regime di Assad» presunto colpevole dell'uso di armi chimiche il 21 agosto contro i ribelli a Ghouta (Damasco), assume giorno dopo giorno proporzioni sempre più ampie. Se gli Usa e i loro (pochi) alleati di guerra - Francia, Canada, Arabia saudita e Turchia - si preparano ai raid, Damasco non resta a guardare. Il fine dell'attacco franco-americano non è quello di dare sola una «sculacciata» al regime ma di creare le condizioni per rovesciarlo, offrendo ai ribelli l'opportunità di guadagnare subito terreno, ad Aleppo e a Damasco. Per questo il governo e i comandi militari stanno organizzando la protezione della capitale. Un giornale saudita, Okaz, sostiene che Hezbollah avrebbe mobilitato 10mila dei suoi combattenti per difendere Damasco da una possibile offensiva dei ribelli. Sui numeri è difficile avere conferme indipendenti. Tuttavia è probabile che il movimento sciita libanese, che combatte accanto all'Esercito siriano già da mesi, abbia inviato altre centinaia dei suoi guerriglieri in appoggio alle forze agli ordini di Bashar Assad. Ne riferiva indirettamente qualche giorno fa il quotidiano di Beirut al Akhbar. Secondo il quotidiano americano Wall Street Journal invece anche l'Iran sarebbe pronto a scendere in campo, attuando una rappresaglia con attacchi in Iraq condotti da combattenti sciiti iracheni. È difficile però credere che Tehran si lasci coinvolgere così direttamente, sapendo che ciò innescherebbe una reazione devastante degli Stati Uniti. In Libano comunque è stato evacuato il personale non essenziale dell'ambasciata Usa. Nel Mediterraneo intanto cresce la presenza della flotta russa nel porto siriano di Tartus. Putin ieri ha confermato che Mosca continuerà ad assistere e aiutare militarmente Damasco. Una grande nave da sbarco, la Nikolai Filchenkov, della flotta del Mar Nero, si è spostata da Sebastopoli a Novorossiisk da dove partirà poi per la Siria in servizio operativo. A bordo ha un carico «speciale»: forse armi e pezzi di ricambio per le forze armate siriane. O forse missili anti-nave «Yakhont», una delle poche armi già in possesso dei siriani in grado di impensierire realmente americani e francesi. La Russia ha sul posto già quattro grandi navi da sbarco e il caccia Smetlivy. Di rinforzo sono attesi un cacciatorpediniere antisommergibile (probabilmente l'Admiral Chabanenko) e l'incrociatore lanciamissili Moskva. Altre tre unità russe hanno attraversato ieri il Bosforo provenienti dal Mar Nero. Mosca è allarmata dall'eventualità che gli Usa colpiscano strutture che ospitano arsenali chimici in Siria e avverte Washington di evitare attacchi su questi obiettivi. Nena News
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