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From Wikipedia, the free enciclopedia: Yusuf Hussein Kamal Ibish è senior fellow presso la Task Force americana sulla Palestina. E' nato a Beirut, in Libano nel 1963. Ha un dottorato di ricerca in Letteratura comparata presso l'Università del Massachusetts ed è attivo nella difesa delle cause arabe negli Stati Uniti. E’ anche un columnist del settimanale NOW Libano. Si descrive come un agnostico della comunità musulmana americana.


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September 3, 2013

Lettera aperta al Congresso sulla Siria
di Hussein Hibish

La credibilità degli Stati Uniti, non solo in Medio Oriente, ma a livello globale, richiede un intervento militare in Siria

Il voto che vi sta di fronte, è una delle decisioni epocali degli ultimi decenni di politica estera, che il Congresso dovrà affrontare. Vi esorto ad avere il coraggio di sostenere il presidente Barack Obama nel difendere l'interesse nazionale americano che autorizza l'azione militare in Siria.

So che per molti di voi, soprattutto alla Camera, la pressione dei vostri elettori a votare no è estremamente forte.

Il popolo americano viene da grandi fatiche in Medio Oriente. Il fiasco in Iraq, tra i più grandi errori di politica estera nella storia americana, il fallimento in Afghanistan, una guerra necessaria, che è stata successivamente gestita male, e la crisi fiscale del 2008, da cui stiamo ancora lottando per recuperare, ci hanno lasciato tutti con una comprensibile avversione per qualsiasi ulteriore avventurismo in Medio Oriente.

Così anche la delusione per la primavera araba, che, nonostante l'ottimismo iniziale, ancora stenta a produrre stabili democrazie amiche dell’occidente.

Pertanto, non si può incolpare il popolo americano per il suo scetticismo o riluttanza. Ma è anche molto importante per tutti gli americani capire che cosa è realmente in gioco.

Il vostro ruolo nel sistema di governo americano è duplice. È necessario rappresentare i migliori interessi dei vostri elettori, ma non necessariamente essere guidati dai loro impulsi immediati. Occorre anche rappresentare i migliori interessi della nazione nel suo complesso.

Nel decidere come votare, è necessario rispondere a due domande fondamentali. Se gli Stati Uniti hanno il desiderio di restare una grande potenza a livello internazionale? E non è il Medio Oriente ancora di importanza cruciale per quel ruolo globale? Se le risposte sono sì, allora dobbiamo agire ora in Siria.

Ci sono quelli che si lamentano del fatto che gli Stati Uniti non hanno mai deciso di diventare una potenza mondiale. Molti di loro identificano il Medio Oriente come il primo posto per una ritirata strategica nell’America neo-isolazionista.

Ma i paesi non diventano grandi potenze per capriccio, e la proiezione della forza militare è necessaria, tra l'altro, al fine di proteggere gli investimenti e le attività all'estero.

Né gli americani né il mondo sono pronti per un nuovo ordine in cui gli Stati Uniti siano, nella migliore delle ipotesi, primus inter pares. Perché ciò non rispecchia gli interessi americani ne la realtà internazionale.

Il regime siriano ha violato una delle conquiste fondamentali del diritto internazionale moderno usando armi chimiche contro i civili inermi. Nessun altro sta preparando una risposta a questo. Se anche gli Stati Uniti non faranno niente, allora non vi sarà più, nei fatti, alcun divieto, e non ci saranno conseguenze per l'uso di armi di distruzione di massa.

Se, dopo gli interventi del presidente Obama e del Segretario di Stato John Kerry, gli Stati Uniti non riusciranno ad agire, amici e nemici potranno trarre la logica conclusione: gli Stati Uniti hanno finalmente iniziato il loro ritiro, lento e doloroso dal Medio Oriente, e in ultima analisi, anche dalla leadership globale.

Gli Stati Uniti apparirebbero alla comunità internazionale come un potere esausto, letteralmente e figurativamente in bancarotta. E' fondamentale che tutti gli americani capiscano che questo minerebbe gravemente il ruolo di leadership globale che abbiamo a cuore.

La Siria non sarà una ripetizione di Iraq o Afghanistan. Abbiamo imparato la lezione di quegli errori. Lo scetticismo pubblico è pienamente giustificato circa un altro pantano, ma non sta per accadere. Nessuno negli Stati Uniti, in Siria, o in qualsiasi altro luogo, vuole una maggiore presenza militare americana lì, e non accadrà. Gli Stati Uniti non si stanno preparando ad entrare in un'altra trappola inestricabile o donchisciottesca campagna di costruzione della democrazia nazionale.

Allo stesso tempo, un attacco missilistico ha senso solo se combinato in collaborazione con i nostri alleati per rafforzare e consolidare l'Esercito Libero Siriano e altri gruppi che si distinguono nell’opposizione sia alla dittatura di Damasco che ad al-Qaeda.

E bisogna dire molto chiaramente sia a voi che ai vostri elettori: nonostante tutte le affermazioni in senso contrario, che al-Qaeda non domina l'opposizione dei ribelli in Siria. Questo è semplicemente falso.

Se lavoriamo per rafforzare i ribelli patriottici, mentre indeboliamo il regime, al-Qaeda sarà compromessa e non rafforzata dal nostro intervento limitato. Invece la negligenza americana potrebbe rafforzare notevolmente al-Qaeda.

Il Congresso e la pubblico opinione hanno ragione di preoccuparsi per i pericoli e le conseguenze di un'azione militare, anche se possono risultare molto meno costosi di ciò che molti temono.

Ma il danno che ci sarà certamente verrà dall’inazione in questa fase, e sarà grave e garantito. Il risultato in Siria, che piaccia o no, è diventato una caratteristica distintiva della nostra credibilità internazionale.

Il presidente ha chiesto al Congresso di condividere il peso di questa decisione, anche se i precedenti dimostrano che non è necessario averne l’approvazione. I valori americani e, ancora più crudamente, gli interessi americani forniscono entrambi un imperativo travolgente che si approvi la sua richiesta.


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September 3, 2013

Open letter to Congress on Syria
By Hussein Ibish

US credibility, not only in the Middle East, but globally, requires military action in Syria

The vote facing you when you return after September 9 is one of the most momentous foreign policy decisions Congress has faced in decades. I urge you to have the courage to support President Barack Obama in defending the American national interest by authorizing military action in Syria.

I know that for many of you, especially in the House, pressure from your constituents to vote no is extremely strong.

The American people came by "Middle East fatigue" honestly. The fiasco in Iraq, among the greatest foreign policy blunders in American history; the failure in Afghanistan, a necessary war that was subsequently mismanaged; and the fiscal crisis of 2008 from which we are still struggling to recover, have all left them with an understandable aversion to any further "adventures" in the Middle East.

So has disappointment with the "Arab Spring," which, despite the initial optimism, has yet to produce stable, Western-friendly democracies.

Therefore, no one can blame the American people for their skepticism or reluctance. But it's also extremely important for all Americans to understand what is actually at stake.

Your role in the American system of government is twofold. You must represent the best interests of your constituents, but not necessarily be guided by their immediate impulses. But you must also represent the best interests of the nation as a whole.

In deciding how to vote, you must answer two fundamental questions. Does the United States wish to remain a great power internationally? And isn't the Middle East still crucially important to that American global role? If the answers are yes, then we must act now in Syria.

There are those who bemoan the fact that the United States ever decided to become a global power at all. Many of them would identify the Middle East as the very first place for a strategic withdrawal into a neo-isolationist, America-first, foreign policy.

But countries do not become great powers capriciously, and military force projection is necessary, among other things, in order to protect investments and assets overseas.

Neither the Americans nor the world are ready for a new order in which the United States is, at best, first among equals. That does not reflect either American interests or international realities.

The Syrian regime has violated one of the most fundamental tenants of modern international law by using chemical weapons against defenseless civilians. No one else is going to act in response to that. If the United States also does nothing, then there is, in fact, no prohibition against, and no consequences for, the use of weapons of mass destruction.

If, after the speeches by President Obama and Secretary of State John Kerry, the United States fails to act, friend and foe alike will draw the logical conclusion: the United States has finally begun its slow and painful withdrawal from Middle Eastern regional, and ultimately global, leadership.

The United States would be creating a widespread international misapprehension that it is an exhausted power, literally and figuratively bankrupt. It is crucial all Americans understand that this would severely undermine the role of global leadership we cherish.

Syria is not going to be a repetition of Iraq or Afghanistan. We have learned the lessons of those mistakes. The public is fully justified in skepticism about another quagmire, but that is not going to happen. No one in the United States, Syria, or anywhere else, wants a major American military presence there, and it's not going to happen. The United States is not preparing to walk into another inextricable trap or quixotic nation-building campaign.

At the same time, missile strikes only makes sense when combined with efforts in conjunction with our allies to strengthen and reinforce the Free Syrian Army and other groups that will stand in opposition to both the Damascus dictatorship and al-Qaeda.

And it needs to be said very clearly both to you and to your constituents: despite all the claims to the contrary, al-Qaeda does NOT dominate the rebel opposition in Syria. That is simply false.

If we work to strengthen patriotic rebels while also weakening the regime, al-Qaeda will be undermined and not strengthened by our limited intervention. Further American neglect, though, will greatly strengthen al-Qaeda.

Congress and the public are right to worry about the dangers and consequences of military action, although they are likely to prove far less costly than many fear.

But the damage we will certainly incur by inaction at this stage is both severe and guaranteed. The outcome in Syria, like it or not, has become a defining feature of our international credibility.

The President has asked Congress to share in the burden of this decision, though precedent demonstrates he need not have. American values and, even more starkly, American interests both provide an overwhelming imperative that you endorse his request.

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