http://www.sirialibano.com Hezbollah in Siria. Non per Bashar Da circa una settimana, i media turchi e sauditi - in particolare l’agenzia ufficiale turca Anadolu e la tv panaraba (saudita) al Arabiya diffondono notizie, solo parzialmente vere o in alcuni casi addirittura infondate, su quanto avviene nella piana di Qusayr, cittadina siriana di circa 40 mila abitanti che si trova a metà strada tra l’Hermel libanese e la terza città della Siria. L’Hermel è nell’alta valle della Beqaa, è a maggioranza sciita ed è un feudo del movimento Hezbollah. Qusayr è invece abitata da sunniti ed è sin dalla primavera 2011 una roccaforte della contestazione popolare pacifica contro il regime di Bashar al-Asad che si è poi trasformata in rivolta armata. La strada che da Qusayr porta in Libano è stata per anni usata da Hezbollah e da Damasco per far arrivare armi al movimento sciita filo-iraniano. Con lo scoppio della rivolta, i ribelli sunniti di Qusayr si sono ritagliati uno spazio libero limitato però alla cittadina e a qualche orto circostante. A est ci sono le postazioni delle milizie lealiste siriane e a ovest una serie di villaggi sciiti da mesi “protetti” o “occupati” (a seconda dei punti di vista) dagli Hezbollah venuti da oltre confine. Ma la frontiera siro-libanese è tale solo sulle carte disegnate dai francesi nel 1920 e nella mente di qualche diplomatico occidentale a Beirut e a Damasco. I locali da secoli si muovono in una micro-regione integrata che trascende il confine coloniale. Per decenni e fino al 2011, nei Libano e Siria indipendenti (1943; 1946) le autorità di Beirut e Damasco hanno di fatto consentito che la pratica secolare di passaggio di uomini e merci continuasse indisturbata. Ciò non vuol dire che le comunità sciita, sunnita e cristiana (a Rable c’è un antico convento ortodosso, riferimento della comunità di Qusayr) vivessero in totale armonia, ma esse erano comunque abituate a con-vivere su uno stesso territorio. La rivolta siriana e l’intervento di Hezbollah hanno apparentemente rotto l’equilibrio. O, per meglio dire, hanno sollevato il coperchio di un pentolone di inevitabili rivalità locali, prima familiari e poi comunitarie. In gioco c’è il controllo di sorgenti d’acqua, di campi da coltivare e terreni da pascolo, di colline da cui dominare una pianura e, soprattutto, di una delle vie di transito di merci più antica del Medio Oriente. I ribelli di Qusayr affermano in particolare che Hezbollah ha occupato i villaggi di Abu Huri, Safranja e Zita (in Siria). E che da lì sparano con artiglieria e lanciagranate contro le loro postazioni. A Qusayr si sentono assediati dagli Hezbollah e dalle truppe del presidente siriano Bashar al Asad. Gli Hezbollah, dal canto loro, non negano di aver oltrepassato il confine. Ma affermano che si trovano in Siria, in quella striscia di territorio “sciita”, per proteggere le comunità aggredite “dalle bande armate“. La contesa di Qusayr va letta nel più ampio braccio di ferro per la conquista del potere politico ed economico in Siria e, dunque, nella regione. Le comunità in rivolta, per lo più sunniti delle zone periferiche, vedono ora la possibilità di alterare a proprio favore lo status quo in vigore da quasi mezzo secolo. Ma ciascuno pensa al proprio specifico orto. Dal punto di vista dei sunniti di Qusayr, la caduta del regime degli Asad ridimensionerebbe il peso locale degli sciiti filo-Hezbollah della zona. Questi temono ora di perdere i privilegi che a lungo sono stati assicurati loro dall’alleanza Hezbollah-Damasco. Il movimento sciita è un terzo attore nella contesa. La sua priorità è mantenere aperto il corridoio di Qusayr, principale canale di rifornimento per le sue retrovie nella Beqaa. La presenza di sciiti oltre confine consente al partito di Dio di giustificare il jihad (sempre difensivo, in risposta a una reale o presunta aggressione) a protezione delle comunità. Da domenica sera sono in contatto con Qusayr via Skype (le linee telefoniche difficilmente funzionano). In particolare con due fonti che per anni sono state residenti a Beirut e che ho avuto modo di conoscere ben prima del 2011. Sono due signori, padri di famiglia, che lavoravano nella capitale libanese e che inviavano i soldi a casa. Adesso combattono nelle file dell’Esercito libero di Qusayr per difendere quel che rimane delle loro case e dei loro terreni.
Non sono certo delle fonti imparziali, ma il loro punto di vista è da tenere in conto. Smentiscono con forza che i ribelli di Qusayr abbiano intenzione di colpire obiettivi Hezbollah in Libano o di lanciare una controffensiva oltre confine. Le loro testimonianze sono corroborate dalla pubblicazione nelle ultime 72 ore di due comunicati dell’Esl di Homs, da cui dipendono i ribelli di Qusayr. Nei comunicati si nega ogni progetto di allargamento del conflitto da parte dell’Esercito libero, contrariamente a quanto annunciato e ripetuto da giorni da al Arabiya e dall’Anadolu. Questi due media hanno citato a più riprese dei sedicenti portavoce dell’Esercito libero, tutti basati in Turchia, che annunciano da giorni “vendette” e “rappresaglie” contro Hezbollah e minacciano di morte il loro leader, il sayyid Hasan Nasrallah. L’ultimo in ordine di tempo ad alzare la voce sugli schermi di al Arabiya è stato “il colonnello Omar Zakariya”, disertore dell’esercito di Asad e adesso “membro dello Stato maggiore dell’Esl in Turchia”. Un altro portavoce, “il colonnello Hisham al Avvak” (grafia turca), il 21 febbraio annunciava tramite l’Anadolu che i ribelli di Qusayr avevano bombardato Hezbollah lungo il confine. “Niente di più falso”, affermavano le fonti dal terreno raggiunte sempre via Skype. “Noi resistiamo a Qusayr e fermiamo l’avanzata di Hezbollah, ma non abbiamo interesse e i mezzi per colpirli in Libano. La nostra guerra proseguiva una delle due fonti non è contro i libanesi, ma contro il regime di Asad”. Testimonianze inascoltate, nel deserto. Nonostante il 22 febbraio la notizia del giorno sia stata l’attentato suicida a Damasco, il quotidiano panarabo saudita Ash Sharq al Awsat ha dedicato la sua apertura a un fatto inesistente: “L’Esl sposta la guerra nelle roccaforti di Hezbollah in Libano”. L’attentato di Damasco è stato introdotto solo da una foto e dal sottotitolo. Al Arabiya, il giorno prima, aveva annunciato con una scritta in sovrimpressione il bombardamento dell’Esl di postazioni di Hezbollah. Ma addirittura la stessa corrispondente a Beirut per la tv saudita, in collegamento in diretta da piazza del Serraglio, smorzava i toni e affermava: “Non ci sono conferme. Ci sono voci contrastanti. Al momento non si può confermare alcun attacco dell’Esl in Libano”. La sera prima, il 20 febbraio, l’Anadolu aveva diffuso la notizia dell’abbattimento di un drone israeliano nella valle della Beqaa da parte della contraerea siriana (sic). Si citava la tv di Stato siriana e si precisava che l’aereo senza pilota era stato colpito nella zona di Dayr al Asha’ir, lungo la frontiera siro-libanese. Eppure, nessuna traccia di questa “notizia” è stata trovata nelle ore e nei giorni successivi sui media ufficiali siriani. Che avrebbero invece dovuto dare risalto a un’azione contro il nemico storico. Gli osservatori regionali sono tra l’altro tutti in attesa della “risposta a sorpresa” annunciata dal regime di Damasco all’indomani del raid aereo israeliano compiuto nei pressi della capitale siriana circa due settimane fa. L’abbattimento di un drone in Libano poteva essere la migliore risposta, almeno simbolica, a quell’azione nemica. La “notizia” di Dayr al Asha’ir avrebbe fatto ancor più clamore perché è dagli anni Ottanta che la contraerea siriana non spara contro velivoli militari israeliani in volo nei cieli libanesi. Ma niente, quelle quattro righe dell’Anadolu non sono state confermate da nessuno. Dal lato libanese, il movimento sciita non dà ovviamente troppo risalto al suo coinvolgimento a Qusayr e si limita a pubblicare eventuali annunci funebri di suoi “combattenti sulla via del jihad“. Ma è assai improbabile che la resistenza dei ribelli di Qusayr costituisca un vero ostacolo alla sua presunta intenzione di avanzare nel cuore del territorio siriano. Per una milizia abituata a confrontarsi con l’esercito israeliano, l’Esl di Qusayr non è certo un rivale invincibile. Hezbollah non avanza dunque verso est semplicemente perché non ha intenzione di avanzare. A ulteriore dimostrazione che la contesa di Qusayr rimarrà circoscritta a quel territorio. Se avanzasse verso Homs, il movimento sciita libanese si troverebbe in un territorio non più amico. Circondato da una comunità ostile. La sua presenza lì non avrebbe giustificazioni e sarebbe quindi percepita assai più di adesso come un’invasione per il solo scopo di sostenere la repressione di Damasco. È molto probabile invece che Hezbollah, oltre a cercare di non perdere il corridoio delle armi, si stia assicurando una zona cuscinetto per proteggere meglio la “sua” Beqaa in vista di una sconfitta delle forze di Asad e di una vittoria dei ribelli di Qusayr. Come per decenni ha fatto Israele nel sud del Libano e nel Golan siriano, la milizia sciita cerca oggi di assicurarsi quanta più possibile profondità territoriale di fronte a potenziali minacce di domani. Con buona pace di chi crede che sia davvero demarcato sul terreno il confine francese tra Siria e Libano (Limesonline, 22 febbraio 2013).
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